globalprojectRedazione Asterisco
23 / 1 / 2016
La discussione di questi
mesi sulle unioni civili non poteva essere meno interessante. Abbiamo faticato
e fatichiamo non poco a scrivere qualcosa al riguardo; non perché il tema non
meriti attenzione, ma perché, come accade ormai da anni in Italia, il tutto è
schiacciato da questioni altre, fuorvianti, che non permettono un confronto
serio e concreto sul tema.Si tratta di una strategia ben nota, per spostare il dibattito pubblico su temi che possano, per così dire, dividere le masse, provocando un’impasse. In questo ci dispiace costatare come alcune voci storiche del femminismo italiano si siano prestate a un gioco così subdolo, contribuendo a spostare l'asse della discussione dai diritti civili alla gestazione per altri. La GPA non centra con le unioni civili; se il problema fosse davvero questo, dovremmo vietare a tutte le coppie, anche quelle etero e sposate, l’adozione del figlio del coniuge. Eppure pare non si possa parlare del sacrosanto diritto di avere il matrimonio egualitario per le coppie dello stesso sesso e il riconoscimento delle coppie di fatto senza parlare in maniera strumentale e paternalista dello sfruttamento delle donne in tale pratica e della tutela dei bambini (non si sa bene da cosa). I figli delle coppie same-sex, quelli sì, vanno salvaguardati, ma da chi vuole negare loro il diritto di veder riconosciuto il legame familiare con i propri genitori.
La stepchild adoption è un istituto giuridico che esiste in Italia dal 1983, ma che a oggi è accessibile solo per le coppie eterosessuali, e permette l’adozione del figlio da parte del partner del genitore biologico. L’accesso al suddetto istituto “rappresenta la garanzia minima per i bambini che vivono oggi con genitori dello stesso sesso”, come ci ricorda il documento promosso da ARTICOLO29 che vede oltre 620 firmatari tra docenti, magistrati e avvocati. Il testo ci ricorda anche che “Il riconoscimento giuridico della relazione anche nei confronti del genitore sociale assicura difatti al bambino i diritti di cura, di mantenimento, ereditari ed evita conseguenze drammatiche in caso di separazione o intervenuta incapacità o morte del genitore biologico, salvaguardando la continuità della responsabilità genitoriale nell’esclusivo interesse del minore.” Perché “queste bambine e questi bambini esistono. Il Legislatore non può cancellarli, non può voltarsi dall’altra parte, ignorandone le esigenze di protezione.” Purtroppo questa garanzia rischia di non essere riconosciuta nel disegno di legge che è in discussione ormai da molti mesi in parlamento.
Ciò che rende poi la discussione ancora meno appassionante è che quasi tutte le voci che si levano in difesa dei diritti civili, dalle associazioni LGBT ai loro maggiori esponenti, sembrano incapaci di dire di no ai ricatti istituzionali che trasformano un dignitoso e doveroso riconoscimento (se non altro perché richiesto dalla Corte Costituzionale, dopo la condanna di Strasburgo per inottemperanza del luglio scorso) in un contentino dai contenuti per nulla soddisfacenti, che tutto sembrano tranne un' equiparazione dei diritti. In Italia pare ci si debba sempre accontentare delle briciole che concede questo o quel governo, e ogni dichiarazione che cerca di puntare timidamente i piedi sembra iniziare con uno “scusate se esistiamo”.
Si scende in piazza per dire che “è ora di essere civili”, ma si ha il coraggio di dire che il così detto DDL Cirinnà è solo un ripiego mal confezionato? Sì, è ora, ma di una legge seria e di una discussione laica e costruttiva a riguardo. Abbiamo bisogno di leggi che parlino di uguaglianza, e che sia chiaro, che quell’uguaglianza riguarda tutti, non soltanto chi si sente un “prodotto tipico italiano”.
Il rischio che si corre oggi è chiaro: da un lato potremmo trovarci con in mano un pugno di mosche e dall’altro con una legge-contentino, che avrà l’unica utilità di tappare la bocca definitivamente a chi chiede pari diritti. Non è certo la prima volta che ci si trova a questo bivio, prima di arrivare a una “formazione sociale specifica” siamo passati per PACS, DICO e chi più ne ha più ne metta. L'importante è che non si parli in nessun modo di matrimonio, che si mantenga inviolata quell’istituzione il cui scopo è ricordarci che l’unica famiglia valida è formata da un padre padrone, una donna sottomessa e dei figli pronti a replicare le gesta dei genitori. Istituzione che per altro sta morendo, e per cui l’accesso alle coppie same-sex rappresenterebbe un’iniezione salvavita.
Come faceva notare Chiara Lalli in un recente articolo o come ci ricordano anche Maria Rosaria Marella e Giovanni Marini nel volume “Di cosa parliamo quando parliamo di famiglia”, la sfida difronte alla quale il diritto di famiglia Italiano si troverà nei prossimi anni, va ben oltre il sacrosanto riconoscimento di pari diritti a tutte le coppie, perché già in molti paesi si levano voci che chiedono riconoscimenti per le relazioni poli-amorose. Ovviamente, per un paese come il nostro, incastrato in discussioni che puzzano sempre troppo di stantia morale cattolica, parlare di ciò è assolutamente impossibile.
Detto ciò noi siamo e saremo sempre dalla parte di chi chiede diritti, nella speranza, che anche quelle leggi fatte a pezzi e mal confezionate siano un primo passo verso qualcosa di meglio e non si trasformino in bavagli, e che chi lotta per i diritti delle coppie same-sex sia pronto a scendere in piazza anche per chi i propri diritti, ad oggi, non li vede nemmeno presi in considerazione.
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