mercoledì 19 settembre 2012

UNA DECRESCITA PER NON MORIRE TUTTI KEYNESIANI




Si è parlato di Decrescita, come ha fatto per primo l'economista rumeno Nicholas Georgescu-Roegen, Guido Viale ricorda il termine Conversione Ecologica usato da Alex Langer, Francesco Gesualdi con Sobrietà vuole soffermare l'attenzione sull'overdose materialista che l'economia neoliberista ha determinato.

il manifesto | Autore: Gianluca Ferrara
  Maurizio Pallante, del movimento della Decrescita Felice, ritiene che andrebbe messo in discussione il concetto di crescita che non deve necessariamente avere una accezione positiva, infatti la crescita di un tumore non è da ritenersi positiva, in quel caso sarebbe auspicabile una decrescita. A prescindere dai termini, su cui sarebbe auspicabile trovare una convergenza, sta di fatto che oggi un modello economico deve tenere in considerazione l'impronta ecologica altrimenti è da ritenersi anacronistico e dannoso.
Per superare la crisi si vorrebbero somministrare due terapie quella di stampo neoliberista e quella Keynesiana, entrambi aventi come fine la crescita. La prima viene somministrata nell'Ue e consiste nel ridurre il debito tagliando la spesa sociale. Ma se si riduce il debito, come si fa a sostenere la domanda in grado di assorbire un'offerta già eccessiva? Ne consegue che la terapia imposta per curare l'economia è prescritta da medici schizofrenici e di questo ne sono consapevoli dato che anche la presidentessa del Fmi Christine Lagarde ha detto che occorre accelerare e frenare contemporaneamente. E il nostro futuro, quello dei nostri figli, deve essere nelle mani di una politica economica schizoide? L'alternativa da più parti suggerita è quella keynesiana. Ma data la crisi ambientale che stiamo vivendo, della quale sembra che gli economisti a prescindere dagli schieramenti non siano interessati, la differenza tra la visione neoliberista e quella keynesiana è come scegliere tra una morte dolente o una indolore. Una notevole differenza, ma resta che in comune alle due visioni c'è la morte. Sarebbe auspicabile trovare una soluzione in cui vinca la vita. Va da se che un intervento dello Stato nell'economia è indispensabile per generare quell'effetto moltiplicativo che fa aumentare la domanda e quindi la tanto acclamata crescita. Ma di che tipo di crescita si parla? Abbiamo bisogno ancora di crescita? Keynes sosteneva: «Che è bene pagare lavoratori per scavare buche e poi per riempirle perché ciò aumenta la domanda e combatte la recessione». Tra i suoi attuali sostenitori c'è l'economista premio Nobel Paul Krugman che nel suo ultimo libro ha ricordato una sua ilare dichiarazione del 2011 in cui affermava che avremmo bisogno di una falsa invasione degli extraterrestri in modo da poter giustificare una grossa spesa in difesa antialieni. Ma riflettendoci non è quello che è successo con la guerra fredda e che in buona parte continua oggi investendo ingenti capitali in armamenti? Gli alieni di ieri non erano i comunisti e quelli di oggi i mussulmani? Allora è fondamentale mettersi d'accordo su che tipo di società si voglia costruire, perché un intervento dello Stato che crea un benefico effetto moltiplicativo lo si ha anche dissestando un intero territorio per scavare un tunnel al fine di far transitare ad altissima velocità un vagone merci con al suo interno solo un provolone. Un benefico effetto per l'economia lo si ha persino distruggendo un Paese come l'Iraq dato che poi la sua ricostruzione fa crescere l'economia.

Temo che la prevalente visione keynesiana con i paraocchi incapace di vedere il dissesto ambientale sia in grado di prolungare solo l'agonia. Questo sta bene ai politici che hanno una visione di breve periodo come il loro mandato, sta bene alle multinazionali che possono continuare a esternalizzare i costi e sta bene anche alla vanagloria degli economisti che vedono crescere il Pil sebbene questo sia solo perché si sta scavando e riempiendo la stessa buca. E se Keynes va compreso dato che scriveva circa 80 anni fa, poche giustificazioni possono averle coloro che oggi sono a conoscenza di fenomeni quali l'aumento delle temperature e hanno a disposizione tutti i dati per capire che una crescita infinita in un mondo fatto di risorse finite è da ingenui. Non sarebbe opportuno evidenziare l'origine del problema e asserire che, in occidente, siamo in sovrapproduzione e che quindi la crescita è una chimera? Non sarebbe auspicabile costruire un nuovo paradigma in cui si prediliga la qualità e non la quantità e al cui centro ci sia l'uomo e l'ambiente invece che il mercato e la finanza?

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