Ne ho sott’occhio una, quella, eccellente per molti motivi, di Ferruccio Sansa in Liguria, aggraziata allegoria della coalizione governativa declinata su scala, in quanto appoggiata, pare, dal Partito Democratico in temporanea associazione di impresa – augurandosi che non sia di pompe funebri, con il Movimento 5 Stelle, “per assestare un duro colpo nel cuore del Nord al Centrodestra e soprattutto alla Lega di Matteo Salvini” come scrivono in questi giorni le cronache politiche.
Tanto che le solite fonti accreditate citano un sondaggio che darebbe il fronte Pd-M5S più altri partiti come Leu/Mdp e Verdi, a distanza di un solo punto rispetto a quello di Lega-Fratelli d’Italia-Forza Italia, guidato dal presidente uscente Toti, che malgrado le performance negative sarebbe ancora favorito.
Sansa sta riscuotendo il caldo appoggio di quelle personalità che ormai servono a ravvivare un po’ l’elenco delle firme in calce agli appelli degli intellettuali organici, cantanti e attori, filosofi e sociologi del pensiero debole e del presenzialismo forte, vignettisti e comici.
E in effetti il giornalista del Fatto ha tutti i numeri per piacere alla gente che piace: ed è anche noto anche al pubblico televisivo per avere anticipato l’ideologia delle sardine opponendo negli anni un certo garbo agli attacchi virulenti di figuri aggressivi, da Gasparri a Rondolino e alla Santanchè.
Ma anche per essersi fatto interprete e portatore di begli affetti familiari cari allo schieramento dell’Amore, difendendo la figura del padre, Adriano, magistrato e ex sindaco di Genova, cui sono state attribuite, probabilmente non a torto, responsabilità politiche e amministrative per la “decadenza” della Superba, anche da irriducibili marpioni quali Burlando, noto più per aver percorso contromano un tratto autostradale che per le sue imprese di governatore della Regione o per quelle di vice e poi primo cittadino del capoluogo, quando, lui vigente, si verificarono due alluvioni catastrofiche e si consolidò il sacco della città grazie a operazioni immobiliari speculative.
Secondo poi una tradizione che riguarda proprio quelle geografie potrebbe contribuire al successo della candidatura anche la sua personalità incolore, almeno quanto lo era e lo è quella dei predecessori di tutto l’arco costituzionale, sia in regione che nel comune, a conferma di quei caratteri etnici contrassegnati da dimessa modestia e poca appariscenza.
E chi meglio di facce poco distinguibili, temperamenti educatamente scialbi potrebbe dare il senso del contrasto e della dissonanza con i versi belluini del pericolo numero 1, con i suoi suoni inarticolati e la sua violenza ferina? Infatti mica servono più competenza, esperienza, conoscenza dei problemi, accertata capacità di gestione della macchina amministrativa.
Non si guarda più nemmeno alle prestazioni date nel passato di primi mandati e meno che mai agli scarni programmi per il domani, perché quello che conta è la rivendicazione e l’accreditamento nella funzione di simulacro contro il feroce spauracchio, il gran maleducato, il rumoroso e sgradevole ospite che si è imposto nella casa degli italiani, nessuno dei quali si direbbe l’abbia invitato e men che mai votato.
Quello che conta è batterlo nella tornata elettorale, dare un segnale forte grazie alla cambiale della quale non si esige il pagamento ai diversamente Salvini (ne ho scritto qui: https://ilsimplicissimus2.com/2020/01/31/diversamente-salvini/) , quelli ammodo e cortesi in modo che con il consenso generale raggiungano gli stessi obiettivi della controparte battuta, si tratti della secessione regionale che rompe l’unità nazionale, si tratti di grandi opere, si tratti delle cravatte imposte dal racket dell’Ue, si tratti del salvataggio di banche criminali o di quello tramite prescrizione o immunità o regime di concessione perenne per imprenditori altrettanto criminali.
Il vero successo di tutte le formazioni partitiche presenti in parlamento, maggioranze e opposizioni, consiste nella permanenza di sistemi elettorali che scoraggiano e inibiscono la partecipazione: l’elettore mette un segno, di solito contro, sigillo notarile, voto di protesta o pretesa di innocenza, poi si chiama fuori per impotenza o abiura.
È appena successo in Emilia Romagna e succederà ancora, come dimostrano altri appelli e altre proposte, quelle che riguardano Venezia ad esempio per scegliere candidati che si oppongano all’impresentabile Brugnaro.
E dove fa spicco la proposta di una donna, avvocatessa e capogruppo del Pd, che rappresenta esemplarmente tutti i valori combinati del politicamente corretto, del progressismo dei notabilati con un pizzico del vecchio e dimenticato Senonoraquando aggiornato dal Nonunadimeno, cui affidare la sostituzione meccanica di un maschio rappresentante del sistema, arrivato e arrivista, con una femmina rappresentante del sistema, arrivata se non ancora arrivista.
Si tratta, maschi o femmine, di un target che non condivide più le condizioni materiali (livelli di reddito, qualità dei servizi sociali, luoghi di vita, livelli di mobilità sociale e fisica) né la cultura dei ceti e delle classi popolari, che disprezza per il loro linguaggio politicamente scorretto, accusandoli di xenofobia e razzismo, di ignoranza e qualunquismo, temuti e isolati perché personificano il rancore degli esclusi nei confronti delle èlite intermedie al servizio del sistema.
Sempre sulla stessa linea ha circolato la proposta di una compagine di signore tutte affermate professioniste, manager, docenti in vista, in qualità di giunta rosa nell’amministrazione guidata da un prestigioso super partes, a garanzia che il sodalizio di tutte donne, appartenenti al ceto dirigente della città, quando non proprio apparatchik delle cerchie che comandano, voglia cancellare come per una magia le politiche seguite da giunte di centrosinistra prima e di Brugnaro poi, che ad onta delle etichette, non sono distinguibili: gentrificazione, Mose, svendita del patrimonio immobiliare, assoggettamento ai corsari delle Grandi Navi, consolidamento del destino turistico della Serenissima con l’espulsione delle attività tradizionali soppiantate dallo spaccio di prodotti tutti uguali a tutte le latitudini, conversione definitiva della Terraferma in territori senza vocazione e missione se non quella di servizio al baraccone della disneyland lagunare.
Intanto è naufragata l’ipotesi della candidatura del rettore dell’Università di Venezia, scappato a gambe levate dopo aver misurato l’impossibilità di superare divisioni e presentarsi come rappresentante unitario del centro sinistra.
È amabile e gentile come un verso gozzaniano, come un bozzetto goldoniano che ci sia qualcuno che pensa di interpretare e testimoniare la società civile che si definisce di sinistra, facendosi indicare dal Pd, la forza che meglio incarna il neoliberismo progressista, e che infatti, proponendo ipotesi irrealistiche e impraticabili, porta acqua al suo candidato più affine, Brugnaro, impareggiabile esponente e portavoce dei poteri che comandano in città e incaricato della sua distruzione ormai inarrestabile e veloce.
Non si possono non rimpiangere dunque le Tribune Elettorali con Jader Jacobelli, i corsivi di Fortebraccio, le liste del Pci con l’operaio, l’artigiano, il maestro in rappresentanza del popolo che ancora si chiamava così senza essere presi per populisti, la casalinga e la bracciante.
No, la bracciante è meglio di no, a vedere la carriera della Bellanova.
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