mercoledì 12 febbraio 2020

Il vero virus è la paura.

Ieri in aeroporto, mangiando una brioche di fretta in un bar affollato, mi è andata una briciola di traverso e ho iniziato a tossire. Pur non essendo cinese e pur non venendo dalla Cina, intorno a me si è improvvisamente creato il vuoto. 

infosannio.wordpress.com(Giuliana Mazzoni*  il Fatto quotidiano   
*Insegna Psicologia alla Sapienza di Roma ed è professore emerito all’Università di Hull Ha più di 200 pubblicazioni all’attivo, ed è membro del direttivo della Società italiana di psicologia giuridica e dell’Association for Psychological Science (APS) 



Ho visto una certa diffidenza sul volto delle persone che, con maggiore o minore grazia, si sono allontanate al quarto colpo di tosse.
In aeroporto c’ è tanta gente che viaggia, sistemi di condizionamento d’ aria che notoriamente albergano e diffondono virus Meglio non rischiare.
E così, sola, sono rimasta a finire, tossendo, la mia brioche.


Tra il 2002 e oggi, il mondo ha conosciuto due epidemie importanti: SARS ed Ebola. Il primo caso di SARS fu dovuto probabilmente a un pipistrello nella provincia di Guandong, in Cina: uccise 349 persone su 5.327 casi dichiarati e si diffuse in 26 altri Paesi, per un totale di circa 8 mila contagi. Per Ebola, 28.600 casi dichiarati con 11.325 morti, a partire dal 2013, in Guinea (un bambino venne infettato da un pipistrello in una foresta), e poi Liberia e Sierra Leone e altri cinque Paesi tra cui l’ Italia. SARS , quindi, ha fatto più paura, ma meno danni dell’ Ebola. Non si è assistito, però, a un panico diffuso come per il Coronavirus.
A ieri, i casi dichiarati sono 40.631 e 910 i morti, su 27 Paesi coinvolti oltre alla Cina.
Dobbiamo avere paura?
Il timore (precauzione o paura?) della diffusione del Coronavirus ha portato alla cancellazione di viaggi e voli, alla chiusura di fabbriche e di scuole. In Cina, città con decine di milioni di abitanti sono in quarantena. Da quando il virus ha iniziato a diffondersi oltre i confini cinesi si è parlato di possibile pandemia. Su Twitter, diversi giorni fa, un epidemiologo dell’ Harvard T.H. Chan School of Public Health, testualmente ha scritto (e poi cancellato): “Santa madre di Dio! Il nuovo coronavirus: quanto è alto il suo valore di riproduzione? È a livello di una pandemia termonucleare!!!! Non sto esagerando!!!! È il virus più virulento che il mondo abbia mai visto!!!!”.
Nella realtà, a oggi, il Coronavirus avrebbe come valore R0 (“R naught” in inglese), ovvero il numero medio di persone che una singola persona infetta può contagiare, 2.5. Mentre i case fatality, i casi letali, sarebbero 2 ogni 100. Livelli di contagio e tassi di letalità pari quindi a quelli di una epidemia di influenza (non semplice influenza stagionale, ovviamente).
Allora perché parliamo senza paura dell’ influenza? Perché è familiare, la conosciamo e sappiamo che è controllabile e gestibile dall’ Oms e dai sistemi sanitari nazionali. Se ci si pensa un attimo, il caso Coronavirus è in realtà molto interessante e paradigmatico del fatto che, paradossalmente, il vero virus è la paura, il panico. La paura un virus? Sì, la paura è oggettivamente contagiosa. La paura passa di persona in persona, si diffonde nei gruppi e nelle società, diventa la nostra paura.
Nel 2008, in una ricerca sui ferormoni è stato raccolto e nebulizzato il sudore delle ascelle di uomini e donne quando stavano per lanciarsi col paracadute (paura), e quando erano in una situazione normale da sforzo (in palestra). I due tipi di sudore, fatti annusare a un gruppo di volontari ignari, hanno attivato in questi aree cerebrali diverse: solo il sudore da paracadute ha attivato parti dell’ amigdala e dell’ ipotalamo, due aree del cervello tipicamente coinvolte nella paura. La frase banale “l’ odore della paura” ha un fondo di verità: la paura dell’ altro ha un odore, che trasmettendosi, rende la sua paura nostra.
Ma l’ odore è solo uno dei possibili veicoli di contagio della paura.
C’ è anche il fatto che, a molti livelli, gli esseri umani sono esseri sociali e in quanto tali hanno una forma di elevata empatia (nel suo significato neutro). Si parla molto di neuroni specchio, e del loro ruolo nel permettere la relazione sociale. È un dato stabilito che quello che accade all’ altro, di fronte a me, in realtà accade anche a me: se vedo una persona afferrare un oggetto si attivano nel mio cervello, benché io resti ferma e non ne sia assolutamente consapevole, le sue stesse aree motorie, come se io stessa afferrassi l’ oggetto. In modo simile – e attraverso meccanismi cerebrali in parte sovrapponibili – nella relazione con un altro si vivono, sia pure a un livello più debole, le sue stesse emozioni. Per esempio, nel vedere una persona soffrire si attivano aree cerebrali che suscitano una sensazione di sofferenza. In modo simile, se vedo una persona che ha paura, anche io provo paura: e la sua paura diventa la mia.
Il contagio della paura si diffonde come un virus anche a livello sociale. Ne sono testimonianza i fenomeni detti di isteria di massa, che hanno molte manifestazioni interessanti. Tra queste ci sono forme quali le “malattie psicogene di massa” (mass psychogenic illness), un tipo di effetto nocebo. Scoppiano, come vere e proprie epidemie, in luoghi affollati quali fabbriche e scuole, causando sintomi fisici anche gravi. Decine e decine di persone improvvisamente si sentono male, manifestano gli stessi sintomi, e spesso vengono portate in ospedale per accertamenti, senza che venga riscontrato un elemento patogeno reale.
La gente si ammala di empatia con gli altri, e della loro paura di ammalarsi. Questi fenomeni sono dovuti a forme di contagio psicologico, in cui difficoltà respiratorie, nausea, vomito, dolori, ipotensione, dipendono dalla capacità dell’ individuo di “condividere” la paura e i sintomi osservati nel gruppo. Il fenomeno è talmente ampio ed evidente che, da una decina di anni a questa parte, sono stati sviluppati in epidemiologia modelli matematici che considerano il contagio da paura come fattore cruciale.
Nel caso del Coronavirus a questo si aggiunge l’ eco mediatica e la trasmissione tramite social media, che, diffondendo notizie in modo “virale” e, come nel caso dell’ epidemiologo di Harvard non ben documentate, hanno fatto del Coronavirus un elemento che può causare la distruzione dell’ umanità. Come in 28 days later, Outbreak, Contagion. La paura del Coronavirus non nasce dai film, sono i film che nascono dalla paura nei confronti di un qualcosa di alieno, un virus sconosciuto e in quanto tale incontrollabile.
Mentre finisco in pace la mia brioche, mi dico che la paura per il Coronavirus svanirà col tempo, come è svanita quella per altre forme di potenziali epidemie, fortunatamente contenute ( SARS , Ebola, influenza aviaria, influenza suina). Ma il contagio della paura, quello, non passerà. Si sposterà semplicemente su altro. La paura è un’ emozione di base ed è molto potente. È il campanello di allarme che suona in caso di pericolo, che spinge all’ azione ai fini della sopravvivenza individuale e della specie. In quanto tale, è sempre stata e sempre sarà, è necessaria e connaturata con l’ uomo e l’ animale. E io sono contagiata dalla paura? Non so. Tempo di salire in aereo, e per precauzione metto la mascherina, e mi disinfetto le mani.

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