giovedì 27 febbraio 2020

Occupazione sempre più precaria e sempre meno impegnativa, e quindi anche meno retribuita, quella che il mondo del lavoro riserva alle donne in Italia

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Secondo la fotografia scattata dall'Istat, portata all'attenzione della Commissione lavoro della Camera, precarietà, minore accesso alle figure apicali, crescita del part time involontario e della 'sovraistruzione' sono le caratteristiche del lavoro femminile nel nostro Paese.
Le donne che lavorano a tempo determinato sono nella media dei primi tre trimestri 2019 il 17,3% e quelle in part time sono ormai un terzo, il 32,8% contro l'8,7% degli uomini. Ma l'aspetto peggiore è che il part time "non è cresciuto come strumento di conciliazione dei tempi di vita, ma nella sua componente involontaria" che ha superato il 60% del totale contro il 34,9 dello stesso periodo del 2007. Il lavoro a tempo parziale sta insomma diventando "sempre più uno strumento utilizzato per la flessibilità dal lato delle imprese piuttosto che dal lato delle persone e delle loro esigenze".
La scarsa qualità delle tipologie di lavoro riservate alle donne si riflette anche sulle retribuzioni. Stando ai dati del 2017, evidenziati da Linda Laura Sabbadini, responsabile della Direzione delle statistiche sociali e demografiche dell'Istituto, i redditi complessivi guadagnati dalle donne sono in media del 25% inferiori a quelli degli uomini (15.373 euro rispetto a 20.453 euro). Il divario di genere è più basso per i redditi dei dipendenti: il 24% contro il 30% nel caso di occupazione autonoma.

I numeri non sono lusinghieri nemmeno se si guarda più in generale al tasso di occupazione: dal 1977 al 2018 il divario di genere è così diminuito da 41 punti a 18 rimanendo però tra i più alti di Europa, quasi doppio rispetto alla media europea di 10 punti. E nel Mezzogiorno due anni fa risultava occupato solo il 32,2% delle donne tra i 15 e i 64 anni (contro il 59,7% nel Nord), un valore inferiore alla media nazionale delle donne nel 1977 (33,5%).

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