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Il sistema repressivo è sempre una porcata inumana, ma è riuscito a peggiorare parecchio, negli ultimi 30 anni.
Pubblichiamo
questa recentissima lettera di Nicoletta Dosio, permettendoci soltanto
una chiosa. Che una donna di 74 anni, condannata a un anno di carcere
(una delle pene minime, nel codice italico, quindi “non pericolosa”
secondo le categorie del carcere), venga portata in manette a un
controllo ospedaliero è qualcosa che non si vedeva neanche negli anni in
cui una “guerra”, in qualche misura, c’era.
L’uso
della “traduzione in manette” (il linguaggio burocratico-carcerario
assume una nota involontariamente comica, spesso) e “sotto scorta” è
motivato in casi di pericolo di fuga del prigioniero. O per capacità
propria o per “intervento armato dei suoi complici in libertà”.
Una
donna di 74 anni, pacifista da sempre, che ha atteso con fermezza e
dignità a casa sua l’ordine di carcerazione, condannata per aver
“danneggiato” il Gruppo Gavio di ben 38 euro (trentotto!) lasciando
passare alcune auto al casello autostradale… Volto noto di un movimento
di resistenza popolare che da decenni si oppone a una “grande opera
inutile”, che piace soprattutto ad alcuni gruppi privati e alla
‘ndrangheta, e contro cui non ha mai ovviamente usato altro strumento
che i propri corpi…
Ecco,
chiamatelo come volete, ma un sistema repressivo del genere occupa
l’ultimo e insuperabile posto nella scala della fetenzia.
L’intervento di Giorgio Cremaschi:
Continua la vergognosa persecuzione carceraria verso la nostra Nicoletta Dosio , in manette alla visita.
Questa volta ce lo racconta lei stessa, leggete le sue parole, con la sua bella scrittura.
È
stata portata in ospedale a Rivoli per i risultati del suo precedente
intervento. La buona notizia è che va tutto bene per la salute di
Nicoletta. La pessima è che il trattamento carcerario che lei subisce
continua ad essere vergognoso.
Nicoletta è stata condotta alla visita con grande scorta e in manette.
Una
guardia carceraria entrando in ospedale le ha proposto di coprire i
ferri con il cappotto, ma la nostra compagna ha rifiutato, non ha nulla
di cui non essere fiera, è lo stato che deve vergognarsi perché la
tratta come il pericoloso capo di un clan criminale. Poi le guardie l’
hanno accompagnata alla visita e “assistita” in ogni momento. Anche
quando l’infermiera l’ha abbracciata come sorella NOTAV.
Quello
che è accaduto è l’ennesima vergogna per uno stato che vuole umiliare
Nicoletta, ma che in realtà umilia ed offende solo sé stesso, mentre la
nostra compagna ancora di più mostra la sua grandezza di fronte alla
bassezza meschina delle pubbliche autorità. Forza Nicoletta, forza
NOTAV. Estendiamo la solidarietà con lei e con chi lotta ed chi è
colpito dalla stupida ferocia della repressione.
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