Dalla filosofa alessandrina Ipazia fino ai nostri giorni, nel suo recente libro, “Il genio delle donne”, Piergiorgio Odifreddi ci racconta ventiquattro donne che si sono contraddistinte nel campo scientifico, scontrandosi con coraggio e caparbietà contro misoginia, pregiudizi e luoghi comuni. Lo abbiamo intervistato.
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micromega Maria Mantello
Nel suo recente libro, Il genio delle donne. Breve storia della scienza al femminile, Piergiorgio Odifreddi ci presenta quella che definisce «la faccia nascosta» della narrazione sulle donne.
Appunto il genio delle donne, spesso misconosciuto e represso dal sistema di controllo patriarcale e sessista. A tutto questo, con la sua narrazione brillante e sferzante di sempre, Piergiorgio Odifreddi contrappone la sua rassegna di donne che si sono contraddistinte nel campo scientifico, scontrandosi con coraggio e caparbietà contro misoginia, pregiudizi e luoghi comuni.
Dalla filosofa alessandrina Ipazia fino ai nostri giorni, nel libro vengono proposti i ritratti di ventiquattro donne: distanti per contesti storici e aree geografiche, nonché per modi di sentire e pensare; ma che tutte insieme hanno dato il loro significativo apporto per uscire dalla gabbie della supposta inferiorità delle donne.
Uno schema che l’autore ribalta decisamente, contrapponendovi, però, una sorta di essenza di donna che ne caratterizzerebbe la sua specificità di genere.
Una questione che farà discutere.
Partiamo dal titolo. Cosa intende con «Genio delle donne» e «Scienza al femminile»?
In realtà, il sottotitolo del libro recita «Breve storia della scienza al femminile", ma sarebbe stato più accurato scrivere «Brevi storie di scienza al femminile». Mi sono infatti limitato a raccontare le storie di alcune donne, le cui vicende mi avevano colpito nell'ambito scientifico, mentre non ho affatto cercato di scrivere una storia sistematica delle donne nella scienza. In altre parole, si tratta più di un libro di racconti, che non di un saggio con pretese sociologiche: anche perché in quest'ultimo campo (dell'analisi sociologica) non ho alcuna competenza, e neppure un particolare interesse.
Lei parla di specificità femminile, non pensa che questa sia una riproposizione di modelli arcaici del dualismo "culturale" maschile/femminile?
Dipende naturalmente da come si pone il dualismo. Se uno pensa che le donne siano buone solo a fare "le mogli e le madri", come Rita Levi Montalcini lamentava di suo padre, e che la cultura sia una faccenda per soli uomini, allora effettivamente questo sarebbe vetero-maschilismo. Se uno pensa invece che le donne e gli uomini siano diversi, cosa che sembra difficilmente negabile, e che questa diversità si debba o si possa incarnare in attitudini, capacità e modelli di vita diversi, allora siamo in un altro campo.
Cosa intende per altro campo?
Credo che qui, più che la contrapposizione tra maschilismo e femminismo, sia in gioco la complementarietà tra due modelli di femminismo: per semplificare, da un lato quello americano, alla Betty Friedan, e dall'altro quello francese, alla Simone de Beauvoir. Il primo sottolinea il fatto che le donne devono avere diritti uguali agli uomini: in particolare, per quanto riguarda la scelta degli studi, l'ammontare degli stipendi, la scala delle carriere, eccetera. Il secondo va oltre, e suggerisce che le donne non debbano soltanto essere pari agli uomini in un mondo creato a immagine e somiglianza di questi ultimi, ma possano invece proporre modelli alternativi di vita e di lavoro, basate sulle proprie specificità.
«Specificità»! Una parola con cui oggi si mascherano i cantori della “complementarità” di genere: forma metabolizzata del maschilismo odierno che cerca di riproporre divisioni di compiti e ruoli sulla base di attitudini prefissate nell’essere uomo o donna….
Certamente non è la scienza l’ambito in cui si manifesta questo maschilismo. Ad esempio, oggi negli Stati Uniti e in Iran (e non a caso cito due stati così antitetici) le donne sono in maggioranza nei dottorati e nelle lauree scientifiche complessive, ma l’aspetto interessante è che si distribuiscono in maniera regolare nello spettro delle varie discipline, diminuendo gradualmente nel passaggio dalla medicina, alla biologia, alla chimica, alla fisica e alla matematica. I dati che riporto nel libro, sia pure en passant, mostrano una regolarità che dovrebbe essere studiata, e non rimossa, e spiegata in maniera convincente, e non superficiale. Per me, una parte della spiegazione sta appunto nell'idea che le donne siano più portate verso materie legate alla vita e alla concretezza, e meno per quelle astratte.
Ma in nome di questa distinzione le donne sono state relegate al ruolo di accudimento (madri e spose per vocazione sempre e comunque). Facendo del pensiero che comunque è astrazione, una prerogativa maschile.
Questo è un altro problema. Io parlavo di come le donne che hanno fatto del pensiero scientifico la propria professione, sembrano prediligere certi aspetti della ricerca scientifica ad altri. A questo proposito, il premio Nobel per l'economia John Nash, protagonista del film A beautiful mind, mi ha detto una volta che certe parti della matematica particolarmente astratte, come la logica (e lo diceva appunto a me, che sono un logico di professione...), fanno male alla salute mentale e tendono ad attrarre e a produrre un numero esagerato di "matti". C'è da riflettere sulla personalità di chi preferisce certe discipline (come me, appunto), e chi invece se ne sta saggiamente alla larga e preferisce campi più concreti.
A proposito di "matti", la percentuale maggiore sta forse tra gli scacchisti, un campo nel quale nessuna donna è mai diventata campione mondiale. Uno che invece lo è diventato, come Aleksandr Alechin, disse una volta al proposito, a mo' di spiegazione, che «le donne dimostrano la loro intelligenza non giocando a scacchi».
Cambiando scacchiera prospettica… Le donne e la politica…
Il rapporto fra donne e politica è un esempio della contrapposizione di cui ho appena parlato. Le grandi donne della politica (Golda Meir, Margaret Thatcher, Sonia Gandhi, Angela Merkel, Hillary Clinton, eccetera) non sembrano aver proposto un modo molto diverso di affrontare i problemi sociali, economici e politici rispetto agli uomini dei loro paesi, purtroppo. Se questo cambiasse, sarebbe un grande giorno per l'umanità, perché non se ne può veramente più di una certa politica, equamente suddivisa fra gli affaristi e gli incompetenti, di entrambi i generi, ma soprattutto maschi. Io guardo con interesse a politiche quali la statunitense Alexandria Octavio-Cortez o la finlandese Sanna Marin, che potrebbero proporre nuovi modelli alle donne in politica del futuro.
E le scienziate in politica? lei porta un esempio notevole…
Nel mio libro parlo soltanto di una donna in politica, perché il mio focus era sulle scienziate. Si tratta di Margaret Thatcher, che tutto era, tranne che una femminista (come dimostra il fatto che portava il cognome del marito), ma che aveva un background scientifico di tutto rispetto: un dottorato in chimica, preso sotto il premio Nobel per la chimica Dorothy Hodgkin (questa sì un modello in tutti i campi, compreso quello politico). È significativo che quando Thatcher arrivò a Downing Street, si vantò non di essere la prima donna a diventare primo ministro, ma di essere la prima scienziata.
E infatti ha fatto la differenza non come donna, visto che non era molto diversa politicamente da Ronald Reagan, ma come scienziata: in particolare, nell'appoggiare la costruzione e il finanziamento del Cern di Ginevra.
Quali difficoltà ancora oggi per la ricerca scientifica “al femminile”?
Oggi l'accesso alle università e ai laboratori di ricerca non è più il problema maggiore che le donne devono affrontare nella scienza. I problemi le donne li trovano nel proseguimento delle carriere, una volta entrate nel posto di lavoro o di ricerca. Molti di questi problemi sono ovviamente legati al maschilismo esistente, ma altri sono probabilmente prodotti dalla "specificità" alla quale alludevo in precedenza.
In altre parole, il modello di carriera che oggi impera nelle industrie e nelle università richiede una dedizione totale e assoluta, per poter scalare i vari gradini che portano al vertice, uno dei quali è un orario di lavoro da ottanta ore alla settimana. È un modello insensato e inumano, oltre che stupidamente maschilista e machista. Io non mi stupisco che molte donne preferiscano fare altro nella vita, dall'essere presenti in famiglia e in società, all'avere del tempo libero da utilizzare per se stesse: mi stupisco piuttosto che gli uomini siano così ciechi e sciocchi da perseguire essi stessi un modello del genere. E qui si potrebbe ripetere la battuta di Alechin: le donne dimostrano la loro intelligenza, non vendendo l'anima al diavolo per diventare manager.
La scelta di quelle che lei chiama le top model della scienza. C’è un filo che le lega?
Direi di no, a parte il fatto di essere tutte appunto delle "top model", nel senso positivo dell'espressione: cioè, modelli da additare agli uomini che pensano che le donne non possano eccellere nella scienza, e alle donne che vogliono perseguire una carriera scientifica. A parte l'eccellenza di ciascuna nel proprio campo scientifico, la mia scelta è stata fatta in base all'interesse delle loro vite. Alla fine ne cito alcune altre, che non ho trattato in esteso perché non sapevo come raccontare la loro storia in maniera avvincente e attraente.
Tra tutte le scienziate che presenta nel suo libro, quale ha sentito più vicina per “affinità elettive”?
Direi due, sopra le altre: la marchesa di Chatelet, compagna di Voltaire e traduttrice di Newton in francese, e Sofja Kovalewskaja, la cui vita dovrebbe diventare il soggetto di un romanzo o di un film. Quest'ultima, in particolare, mi ha permesso di citare da un lato Dostoevskij, Marx e Darwin, che lei e sua sorella hanno conosciuto e frequentato personalmente, e di mostrare come si possa essere allo stesso tempo grandi scienziati (matematici, nella fattispecie) e grandi umanisti (scrittori di romanzi e di teatro, nel caso suo). A conferma che la cultura non ha divisioni di genere, nei due sensi della parola (biologico e disciplinare).
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