Una giornata di studi e dibattito dell’Associazione La Rossa per puntualizzare che la questione ambientale è una questione di classe. I benefici del progresso tecnico finiscono nelle tasche dei capitalisti, mentre i danni ambientali sulla testa delle classi sfruttate.
- di Ascanio Bernardeschi 23/02/2020
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L’Associazione “La Rossa” di Lari (PI), cittadella a
cavallo fra le province di Pisa e di Livorno, organizza ogni anno due
feste partecipate da migliaia di persone e in cui lavorano decine di
compagni volontari. Nelle feste si tengono anche dibattiti assai
interessanti a cui mi capita di partecipare. Oltre a questi eventi
maggiori, ne organizza altri, e aderisce a iniziative politiche, tra
cui i presidi davanti alla base americana di Camp Darby, le
manifestazioni di solidarietà internazionalista, il sostegno alle cause
legali dei lavoratori, le raccolte di fondi e altre iniziative
solidali.
Quest’anno ha voluto fare un salto di qualità andando
oltre i pur interessanti dibattiti delle feste che, per evidenti
motivi, non potevano superare una certa soglia di approfondimento, e si
accinge a organizzare seminari tematici. Il primo di questi, a
iscrizione (seminario@festarossalari.it, cell.340-0721810), si terrà il 1 marzo 2020 al teatro comunale di Lari (PI) e si intitola “Capitalismo ed emergenza climatica”. Sono programmate tre relazioni al mattino e 4 interventi più la discussione il pomeriggio.
Dopo una mia introduzione, Salvatore Torre, geografo
dell’Università di Catania, parlerà del conflitto fra capitale e
vivente, mettendo in rilievo che i danni ambientali vengono patiti soprattutto dalle classi sfruttate. Evidenzierà anche l’inadeguatezza delle politiche pubbliche che tendono ad astrarre da questo aspetto.
L’economista marxista Carla Filosa, dell’Università
Popolare Antonio Gramsci, dopo un sintetico excursus storico sulle
catastrofi naturale in epoche precapitalistiche, evidenzierà la cesura intervenuta con l’affermazione del modo di produzione capitalistico,
puntualizzando la necessità di distinguere fra le caratteristiche
comuni a tutte le epoche e quelle specifiche di questa fase storica.
Senza l’analisi congiunta di entrambi gli aspetti, natura e storia, non
può darsi né consapevolezza dei problemi né conseguentemente la
capacità di intervenire per la loro soluzione. Metterà altresì in
risalto la stretta relazione fra lo sfruttamento insostenibile della Natura e lo sfruttamento capitalistico del lavoro.
Bruno Buonomo, fisico Università di Napoli e del
Collettivo Ecosocialista, terrà una relazione intitolata “Ecosocialismo
o barbarie”, riprendendo alcuni temi che ha già sviluppatosu questo giornale. In particolare, di fronte alla devastazione ambientale in atto, occorre sfidare le leggi del capitalismo e programmare i bisogni reali, in un quadro di sostenibilità ecologica (ecosocialismo).
Angelo Baracca, dell’Università di Firenze, attivista
e saggista, tratterà del rapporto fra guerra, scienza e ambiente,
sottolineando fra l’altro gli stretti legami fra la ricerca per scopi militari e quella per scopi civili,
per cui non è esente da responsabilità e può costituire un grave
pericolo anche un certo modo di fare scienza per scopi “pacifici”, non
solo nel campo dell’energia nucleare, ma anche in quello, per esempio,
delle biotecnologie.
Francesco Cappello, docente di fisica e matematica,
si soffermerà sui rapporti fra liberismo, mercantilismo, finanza
speculativa ed ambiente, denunciando il pericolo che si produca una bolla finanziaria legata alla cosiddetta green economy.
Jacopo Simonetta, divulgatore scientifico, dottore in scienze naturali, ecologo e divulgatore scientifico illustrerà l’importanza dei servizi ecosistemici. Tratterà anche degli ingenti costi di una adeguata politica ambientale.
Andrea Vento, docente di geografia economica e del
Gruppo Insegnanti Geografia Autorganizzati (Giga), parlerà delle
migrazioni causate dai cambiamenti climatici. La sua relazione si porrà
l’obiettivo di illustrare come un centinaio di grandi società
capitalistiche sia responsabile della maggior parte dei cambiamenti
climatici e come le conseguenze di ciò ricadano prevalentemente sui
popoli più poveri del pianeta.
Le conclusioni saranno svolte da Mario D’Acunto, ricercatore Cnr.
Sono convinto che il seminario centrerà l’obiettivo
di dimostrare che il problema ambientale non può essere compreso nelle
sue cause né risolto se si prescinde da una critica al capitalismo.
La consapevolezza di questo nesso non è così diffusa,
nonostante vada crescendo l’attenzione al problema dei cambiamenti
climatici. E spesso assistiamo a raccomandazioni piene di buone
intenzioni – per esempio l’enciclica Laudato Sì, le teorie
della decrescita e le impostazioni più innocue del movimento Friday For
Future – che non colgono questo aspetto fondamentale e mettono sul
banco degli imputati l’assenza di buone pratiche o i conflitti
intergenerazionali.
L’assenza di un segno di classe prevale nelle
posizioni rese più note dai media, tacendo sulle posizioni maggiormente
schierate verso il fronte dei lavoratori, come per esempioun recente documento del Friday for Future italiano, e nascondendo un dato di fatto: il capitalismo degrada l'ambiente colpendo in modo sproporzionato i più poveri.
Verranno ricordate fra l’altro alcune osservazioni
non marginali di Marx ed Engels sull’ecologia, fortemente anticipatrici
dei problemi attuali. Infatti la produzione consiste, per il Marx del
Capitale, nel ricambio organico fra l’uomo e la natura,
ma la produzione su base capitalistica, guidata dalla brama di
profitto e non da un programmazione socialmente e scientificamente
fondata, tende a superare ogni limite di compatibilità con l’equilibrio
ecologico, sfuggendo quindi all’imperativo di lasciare la natura “in uno stato migliore in eredità alle generazioni successive".
Al contrario i “produttori associati”, devono
regolare “razionalmente questo loro ricambio organico con la natura,
portarlo sotto il loro comune controllo, invece di essere da esso
dominati”, produrre “con il minore possibile impiego di energia”.
Se Marx non poteva nel XIX secolo immaginare che la
combustione dei fossili avrebbe prodotto l’effetto serra e i
cambiamenti climatici, non significa che non ci serva ancora il suo
metodo di analisi della dialettica fra natura e società, perché ci fa
capire che la tecnologia da sola, all’interno delle relazioni
capitalistiche non può alleviare il problema delle mutazioni climatiche
in modo significativo. Ci vuole ben altro che la sharing
economy, un buon pretesto per il supersfruttamento, o la green economy,
un’occasione per fare lauti affari, e attingere a finanziamenti
pubblici. Occorre rimuovere il meccanismo di fondo, che è la ricerca di
efficienza fine a sé stessa, per vincere la concorrenza fra
capitalisti e per espandere la produzione senza limite, fintanto il limite non emerge con una bella crisi o con il disastro ecologico.
I tentativi dei singoli capitalisti di
aumentare il saggio del profitto individuale introducendo innovazioni
che risparmiano lavoro, portano beffardamente a una caduta del saggio
generale del profitto a cui si cerca di rimediare colpendo salari,
diritti, democrazia, qualità della vita ed equilibrio ecologico.
Il fallimento del protocollo di Kyoto e delle varie conferenze COP
sono una prova che la logica del profitto prevale su tutto e che non si
risolvono i problemi senza un cambiamento di paradigma.
Non si può comprendere quindi la questione ecologica
se non si vede che la nostra società si basa sull’antagonismo fra le
classi e che la questione ambientale è una questione di classe.
Infatti i benefici del progresso tecnico finiscono nelle tasche dei
capitalisti, mentre i danni ambientali si scaricano soprattutto sulla
classe lavoratrice, sui ceti più deboli della società e sui popoli
dominati dal neocolonialismo.
Il problema non si risolve quindi con la
collaborazione interclassista, che può esserci solo se non contraddice
gli interessi dei padroni del vapore. Chi deve sostenere gli enormi
costi necessari per il risanamento ambientale?
Nell’ambito di una collaborazione fra le classi, in
assenza di lotte dei lavoratori, ci diranno che bisognerà stringere la
cinghia, diminuire il costo del lavoro, e intensificarne lo
sfruttamento, anche attraverso un intervento su orari, ritmi,
flessibilità e diritti; ridurre la spesa sociale per i servizi pubblici
e il welfare, insomma deve decrescere il tenore di vita di chi sta più in basso nella società. Noi, insieme ai compagni della Rossa, pensiamo l’esatto contrario e riteniamo indispensabile accumulare le forze per estendere la consapevolezza di ciò.
Per questo ci proponiamo di pubblicare, ad avvenuta iniziativa, alcuni materiali scritti che sono in corso di preparazione.
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