Monte Sacro è un bel quartiere di Roma dove si sono svolti avvenimenti importanti per la storia mondiale, dalla secessione della plebe del 494 a.C. al giuramento di Simon Bolivar il 15 agosto del 1805. Sabato scorso Monte Sacro è stato teatro di un corteo partecipato e combattivo per ricordare Valerio Verbano a quarant’anni dal suo assassinio.
Valerio Verbano era un giovane militante dell’Autonomia Operaia romana che stava svolgendo un’opera di controinformazione sui fascisti e sui loro legami con settori della malavita, del potere economico e degli apparati statali. Fu per questo motivo che il giovane fu ucciso in casa il 22 febbraio 1980 da un commando altamente professionalizzato di killer, che tuttora restano anonimi e sulla cui identità né la polizia giudiziaria né la magistratura parrebbero essere mai riuscite a raccogliere in 40 anni qualche elemento degno di nota.
Il 23 giugno 1980, a breve distanza dal luogo dell’assassinio di Valerio, veniva ucciso anche il magistrato romano Mario Amato che stava lavorando anch’egli sui fascisti e aveva acquisito fra l’altro la documentazione ritrovata a casa del giovane autonomo, in seguito misteriosamente scomparsa.
Quello tra le bande fasciste e settori del potere costituito, legale e illegale, è un intreccio alla cui base sono molti degli episodi di stragi ed esecuzioni che si sono registrate in grande quantità nella storia recente del nostro Paese. Di recente la Procura di Bologna ha chiuso l’ennesima indagine sulla strage del 2 agosto di quello stesso anno, il più grave atto di terrorismo della nostra storia, individuando quattro mandanti, tutti nel frattempo morti e sepolti.
Si tratta di Licio Gelli – la vera eminenza grigia presente in tutte le trame sanguinose che hanno attraversato il nostro Paese e ideatore del Piano di Rinascita Nazionale, insieme di misure “riformatrici” cui si sono in seguito ispirati vari politici di spicco -, del banchiere Umberto Ortolani, tesoriere della P2 fondata da Gelli, di Federico Umberto D’Amato direttore dell’Ufficio affari riservati del Ministero dell’Interno e di Mario Tedeschi, direttore della rivista fascista “Il Borghese” ed esponente di spicco del Movimento Sociale Italiano.
Un bel campione dell’intreccio obbrobrioso di cui si parlava. L’unico esecutore in carcere per la strage di Bologna è com’è noto il Nar Gilberto Cavallini, condannato anche per l’omicidio del giudice Amato insieme a Luigi Ciavardini.
Un intreccio mortifero e inquietante, che con ogni probabilità è ancora in atto, anche se i protagonisti sono nuovi e noti solo in parte. Oggi i fascisti paiono tornati in grande spolvero e si alimentano dell’imbelle incapacità della sinistra di rappresentare quelli che dovrebbero essere i suoi settori sociali di riferimento, nonché di psicosi e paranoie diffuse e spesso alimentate dai media, dall’immigrazione al coronavirus.
Un clima che porta a stragi come quelle compiute di recente negli Stati Uniti, in Nuova Zelanda e in Germania – di quest’ultima autore un tizio che aveva deciso di sfogare le proprie paure e frustrazioni massacrando immigrati kurdi e turchi. Pur soffrendo di disturbi mentali aveva potuto acquistare legalmente tre micidiali armi da fuoco. Di stragi di questo tipo ne abbiamo avute del resto anche in Italia, riuscite come a Firenze e fortunatamente fallite come a Macerata. Riprendono anche gli attentati ai simboli della Resistenza partigiana e gli atti odiosi di antisemitismo, anche e soprattutto da noi.
Un clima malsano nel quale i fascisti sembrano intenzionati a rialzare la testa e Salvini e la Meloni, che della fine dell’antifascismo hanno fatto una delle loro bandiere, sembrerebbero volare nei sondaggi.
Così non si va da nessuna parte. Se è vero che chi dimentica i propri errori (e i propri orrori) è destinato a ripeterli, occorre dispiegare con forza energie vitali volte a recuperare e conservare ben viva la memoria dell’antifascismo, così come a prevenire la crescita di gruppi e organizzazioni fasciste, anche in attuazione di una disposizione transitoria della nostra Costituzione repubblicana che mantiene grande attualità e di varie leggi nazionali a volte non rispettate da forze dell’ordine e magistratura.
E’ importante che lo Stato italiano si mobiliti compattamente e rapidamente contro il fascismo, ma è altrettanto, se non ancora più importante, che la pratica dell’antifascismo sia attuata in modo militante a livello popolare, perché solo l’esistenza di una coscienza antifascista viva e operante a livello di massa può garantire un comportamento coerente ed efficace da parte delle istituzioni.
“Fiducia nello Stato non ne abbiamo, l’antifascismo è rosso e non lo deleghiamo” diceva uno slogan degli anni Settanta e che è risuonato anche sabato scorso al corteo per Valerio. La fiducia nello Stato è certamente auspicabile e doverosa, ma secondo me a volte dipende dalle circostanze. E ad ogni modo è bene non dimenticare un vecchio detto intriso di saggezza popolare, buono per tutti gli usi e in tutti i casi: “Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio”.
Assume quindi grande valore, a quarant’anni dal loro assassinio ancora impunito, il ricordo di Valerio Verbano, militante dell’Autonomia operaia, e di Mario Amato, giudice della Repubblica, uccisi perché, ognuno a modo suo, combattevano il fascismo.
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