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28 / 2 / 2020
Per continuare a riflettere su quanto si sta verificando nel nostro Paese, e non solo, da quando si è iniziata a diffondere l’epidemia si SARS-CoV-2 abbiamo intervistato Donatella Di Cesare , docente di filosofia teoretica all’Università La Sapienza di Roma e autrice di diversi saggi e scritti che hanno come affrontano il tema della logica immunitaria come protezione da ogni “minaccia esterna” (tra gli altri segnaliamo Stranieri residenti. Una filosofia della migrazione, 2017 e Terrore e modernità, 2017).
Nel suo articolo apparso sul Corriere della Sera lo scorso 16 febbraio[1], prima dell’esplosione del contagio di Coronavirus in Italia, lei poneva l’attenzione sul concetto di “democrazia immunitaria”, proprio delle società postmoderne. Come possiamo leggere questo concetto alla luce di quello che sta accadendo in questi giorni nel nostro Paese, anche rispetto ai fenomeni di psicosi collettiva che si stanno diffondendo?
In questo articolo sottolineavo l’idea che la democrazia post-moderna si basa sull’immunizzazione e quindi il cittadino è spinto a chiedere innanzitutto la protezione e non la partecipazione, che sarebbe l’idea cardine della democrazia. La protezione comporta una serie di misure, di isolamento o perfino di autoisolamento, che si trasformano nella paura del contatto con gli altri. Nel concetto di “democrazia immunitaria” è presente in maniera profonda lo “spettro del contagio”: l’altro” visto come portatore di morbo e si insinua la volontà di non essere toccati, e quindi contagiati.
Quello che è avvenuto in questi giorni spinge al parossismo tutto questo, facendoci addirittura vedere la democrazia immunitaria nel caleidoscopio di questa crisi che è scoppiata, in particolare in Italia. Crisi che è immediatamente diventata panico irrefrenabile in cui emerge il paradigma del cittadino nevrotico, ossessionato dalle minacce, dalle regole igienico-sanitarie, dalla propria protezione e pronto dunque ad accettare misure straordinarie che non sarebbero accettabili all’interno di una democrazia. Pensiamo a tutte le misure che riguardano la mobilità, a quelle che riguardano l’aggregazione: sarebbero le misure stesse a dover terrorizzare i cittadini e invece vengono accettate, con il risultato di essere spinti nella propria nicchia, nel proprio isolamento, anche nel senso fisico e corporeo del termine.
Quanto successo ci fa vedere, in modo estremo e parossistico, tutti i limiti e i pericoli che sono insiti in questo paradigma di democrazia che è diventato purtroppo accettato e normalizzato. Anzi, io credo che – purtroppo in questo sono pessimista – la crisi del coronavirus avrà, tra le varie ripercussioni, anche dei profondi effetti sul piano politico, di cui nessuno sta parlando. Effetti che saranno negative sulla democrazia e sulla accettazione di misure e norme che la minano profondamente nel suo significato.
Uno degli elementi di maggior interesse nel suo articolo riguarda la “normalizzazione del razzismo” che è insita nei fenomeni che descrive: si assiste a una razzializzazione della democrazia immunitaria?
Assolutamente si, perché l’idea che passa è quella che “l’altro” sia il portatore di contagio, che è quasi peggio dell’altro come nemico. Ma soprattutto passa l’idea della divisione dell’umanità in quelli che sono immunizzati, e che hanno il diritto di protezione chiedendola allo Stato, e quelli che sono “esposti”.
Si tratta non solo di razzismo, ma di una versione sovranista del razzismo, che non per caso si è diffusa enormemente in Italia. È come dire: «chi di sovranismo ferisce, di sovranismo perisce», perché se fino a qualche giorno fa per noi il cinese era quello che incorporava l’incarnazione del virus, adesso siamo noi italiani quelli esposti e non più immunizzati.
Siamo passati dall’altra parte e questo ci dovrebbe far riflettere, perché l’Italia è stata il primo Paese ad attuare misure nei confronti della Cina nella prima fase di diffusione del virus, bloccando ad esempio i collegamenti aerei con dichiarazioni politiche altisonanti, senza pensare che queste misure, in un mondo globalizzato, si possono sempre ritorcere contro. I “cinesi” siamo adesso diventati noi, per diversi Paesi europei e non, e questo dovrebbe far riflettere su cosa comporta un razzismo sovranista che si basa proprio sull’idea che sia lecito discriminare e distinguere tra un’umanità che ha diritto alla protezione e una sub-umanità che può essere esposta a tutto. Ed è chiaro che in un mondo del genere vince il cittadino che ha il passaporto più forte, che ha lo Stato più forte, etc e questo è gravissimo.
Nella risposta istituzionale molto confusa che si è avuta nei giorni scorsi in Italia c’è stato un tratto comune: si sono colpiti i luoghi della cultura e dell’aggregazione sociale, con limitazioni anche al diritto di manifestare e scioperare, ma non sono stati toccati i luoghi della produzione e del consumo. Come legge questa contraddizione?
Questo è davvero eclatante e di nuovo deve far riflettere su queste misure, accettate così supinamente. È vero infatti che c’è stata molta confusione, ma è anche vero che c’è stato un filo conduttore tra decreti, ordinanze regionali, comunali e via discorrendo. Le misure colpiscono il cinema, il teatro, varie forme di aggregazione, un raduno, un sit-in o un corteo, ma non vedono come un problema la ressa al supermercato o al centro commerciale, per non parlare di tutto il processo produttivo. I cittadini e le cittadine dovrebbe riflette sul perché sta accadendo tutto questo e su quali effetti produce, al di là della confusione politica e mediatica.
Da un lato c’è una politica, che sappiamo bene ormai essersi ridotta a governance e amministrazione, ma dall’altro lato ci troviamo di fronte a un filo politico inquietante, perché decide consciamente di fare distinguo. Io spero vivamente che le misure che sono state adottate vengano ritirate presto, ma mi auguro soprattutto che ci sia una riflessione critica e una discussione pubblica su quanto è accaduto e sta ancora accadendo. E spero che anche i media, che hanno contribuito pesantemente a fomentare il panico irrazionale, si facciano invece portatori di un messaggio che sappia spostare l’attenzione sul perché queste misure siano state accettate così passivamente.
[1] D. Di Cesare, M. Bonazzi, G. Remuzzi, Il pensiero dell’immunità opposto a quello della comunità, Corriere della Sera, 16 febbraio 2020
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