L’ex presidente dell’Inps si mostra seriamente e sinceramente preoccupato: le banche cattive non concedono mutui ai giovani precari perché non hanno capito che il mercato del lavoro è cambiato.
Proviamo a ricostruire. Il 17 febbraio Repubblica ospita una lettera di Boeri, che sulla stessa falsariga denunciava “Se la banca nega il futuro ai giovani”.
Nell’articolo, il pluribocconiano Tito denunciava i comportamenti degli
istituti di credito, rei, a suo avviso, di applicare regole troppo
restrittive ai giovani con contratti di lavoro a tempo determinato che
vanno a chiedere un mutuo. Per farlo, citava i dati di un sito
specializzato, MutuiOnLine.it, ripresi anche da altre testate.
La quota di mutui erogati ai minori di 36 anni si è ridotta quasi della
metà dal 2006 a oggi: si è passati dal 44.8% del totale dei mutui al
22.6%. In altri termini, solo un mutuo su cinque va a finanziare i
giovani tra i 18 e i 35 anni.
E perché, si chiede il Boeri nazionale?
Ovvio, secondo lui: perché le banche hanno un modo antico di pensare. Ma
il mondo del lavoro è cambiato e le banche non possono limitarsi a dare
credito quasi esclusivamente a chi ha un dignitoso e noioso (ci fa
capire il nostro) contratto a tempo indeterminato.
Ma le banche non ci stanno e, per bocca
del Direttore Generale dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI),
Giovanni Sabatini, rispondono per le rime. Il problema c’è, dice Sabatini,
“ma non è creato dalle banche, è del Paese: che non cresce, non crea
lavoro, non dà occupazione ai giovani”.
E, a dimostrazione di ciò,
aggiunge che prima di un problema di offerta (disponibilità delle banche
a concedere mutui), c’è un problema di domanda: le banche non concedono mutui soprattutto perché i giovani non li chiedono.
Si è passati, infatti, da una percentuale di domande provenienti dalla
fascia di età in questione (35 anni o meno) pari al 49.2% del totale al
27.2% dei giorni d’oggi. In aggiunta, il numero di occupati in quel
segmento della popolazione si è ridotto del 18% nello stesso periodo.
Siamo così al 19 febbraio, il giorno in
cui si aprirono le cataratte delle lacrime di Boeri e in cui fu chiesta,
finalmente, “la verità”. I dati sciorinati da Sabatini sono veri, dice,
ma non spiegano, se non in parte, il crollo nella concessione di mutui:
come si può pensare che i giovani non abbiano interesse a un mutuo con i
tassi attuali? E già, perché se nel 2008 un mutuo ipotecario a 10 anni o
più richiedeva interessi superiori al 5%, oggi siamo all’1%. Se si
considera l’inflazione, gli interessi in termini percentuali sono nulli o
addirittura negativi (immaginate di prendere 100 euro in prestito al
tasso del 10% in un anno per comprare oggi una determinata quantità di
beni. Tra un anno dovrete restituire 110 euro. Ma se, nel frattempo, il
prezzo degli stessi beni sarà aumentato del 10 per cento, i 110 euro di
domani avranno lo stesso potere d’acquisto dei 100 euro di oggi: in
altri termini, il tasso di interesse reale è stato pari a zero). Come
potrebbe un giovane razionale, con tutti i problemi di liquidità che
oggi i giovani si trovano a patire, non essere tentato da acquistare una
casa con un mutuo che, in termini di interessi, gli costa zero? Il
problema, quindi, non può che derivare dalle banche.
Ma cosa sbagliano le banche? Ebbene “tra i
beneficiari di mutui casa non si trovano mai giovani con contratto a
tempo determinato o partita Iva. I beneficiari hanno tutti, o quasi, un
contratto a tempo indeterminato”. Stupore e choc. Banche cattive. E
anche stupide, aggiunge (senz’altro con il ghigno beffardo di chi la sa
lunga) Boeri. “Un contratto a tempo determinato di un giovane laureato
in una università prestigiosa (ovviamente prestigiosa, magari privata, ndr)
dà più garanzie di un contratto a tempo indeterminato in una piccola
impresa a rischio di chiusura. Un medico con partita Iva che sta
entrando in specializzazione è più affidabile dal punto di vista del
rientro del debito di una persona con contratto a tempo indeterminato in
settori dove ci sono diffusi licenziamenti collettivi”. E poi (ecco
l’arma segreta) non si può “non tenere conto del fatto che il 20% dei
contratti a tempo determinato (una percentuale dunque diversa da zero)
diventa a tempo indeterminato nell’arco di un anno”. Vi assicuriamo che
la parentesi sul fatto che il 20% non è lo 0% non l’abbiamo aggiunta
noi. E, dunque, la sfida: care banche, rendete nota la documentazione
sui protocolli che adottate nella concessione dei prestiti ai giovani!
Non vorremmo deludere Boeri, ma se le banche non concedono mutui (e i giovani precari neanche li chiedono) è proprio
perché il mondo del lavoro è cambiato, e le banche lo hanno capito
prima e meglio di Boeri. Il quale questo mondo del lavoro fatto di tempo
determinato, part-time, precarietà, freelance, vere e fittizie partite Iva, ha contribuito, nel suo piccolo, a crearlo. E ora cerca di coprire le tracce dei misfatti suoi e della sua compagnia di giro, provando a distogliere l’attenzione da una realtà quotidiana piagata da precarietà e disoccupazione.
Sia chiaro: le banche non sono note per
le loro operazioni di carità. Prestano più facilmente ad amici e ad
amici degli amici, soprattutto se hanno investito nelle aziende di
questi amici e ne detengono azioni e/o obbligazioni, imbrogliano i
risparmiatori sulla rischiosità degli investimenti e tengono nascoste
magagne e bolle speculative fino a quando possono, investono in
operazioni a rischio consapevoli che i profitti, se ci saranno, saranno
privati e i costi di salvataggio eventuali saranno pubblici. Insomma,
chi più ne ha più ne metta.
Ma, per un attimo, facciamo finta che
tutti i bancari e i banchieri siano seri professionisti, che non
sgarrino neanche per un attimo rispetto alla legge e non abbiano
incentivi a mettere in atto comportamenti scorretti. Facciamo finta che
le banche siano quegli asettici operatori razionali che si trovano tra
le pagine dei libri di finanza. In questo caso, la banca farebbe
comunque quello che deve fare: la banca. Concedendo prestiti e mutui se
pensa di poterci guadagnare. E, se deve prestare soldi, informandosi
prima sulle probabilità che i soldi vengano restituiti o, comunque,
facendosi dare delle garanzie (sa, non è per sfiducia verso di lei,
l’ipoteca sulla casa dei suoi genitori è solo una mutua rassicurazione).
Il mondo del lavoro, dunque, è cambiato. A un giovane che si avvia al mondo del lavoro vengono offerte principalmente posizioni precarie.
Stage, assunzioni in prova, collaborazioni, lavoro formalmente
‘autonomo’. E, anche quando vengono assunti a tempo indeterminato,
grazie al Jobs Act possono essere mandati via in qualunque momento, a
condizioni molto vantaggiose per l’impresa. Insomma, per un giovane la
precarietà è la norma. E i salari? Non è una notizia, neanche sul
pianeta Boeri, che, soprattutto per i giovani, sono spesso da fame e al
limite della sussistenza. Al di là delle vostre buone intenzioni, forse
neanche voi prestereste 100 euro a un amico freelance in difficoltà. Figuratevi le banche, che sicuramente non hanno buone intenzioni. E l’amico freelance
stesso, verosimilmente, di fronte a prospettive di reddito e di lavoro
disgraziate ci penserà dieci volte prima di prendere su di sé il carico
di un debito da ripagare nel corso di decenni, attingendo a
remunerazioni miserabili.
Quando Sabatini dice che l’economia
italiana non cresce, non crea lavoro, non dà occupazione ai giovani,
dice il vero. Certo, lo dice per ragioni diametralmente opposte rispetto a noi,
ma ha il merito di riportare la discussione sulla Terra. Le riforme
strutturali del mercato del lavoro chieste a gran voce dalle istituzioni
economico-finanziarie internazionali e dagli economisti bocconiani
nostrani hanno creato e creeranno generazioni di precari, che fanno
fatica a mettere il piatto in tavola, a fare progetti per il futuro, a
permettersi beni durevoli e non. Allo stesso tempo, le regole europee,
il trattato di Maastricht e le sue successive incarnazioni, la troika,
i Monti, le Fornero, i Cottarelli e i Boeri di ogni età, razza e
religione hanno implementato e/o giustificato ideologicamente i tagli
alla spesa pubblica, la riduzione del deficit e del debito, gli aumenti
dell’età pensionabile e la riduzione degli assegni di pensione,
impedendo, di fatto, la riduzione della disoccupazione attraverso
assunzioni dirette, investimenti pubblici e pensionamenti anticipati.
Boeri non lo capisce o fa finta di non averlo capito e, con un
capolavoro di ipocrisia, finge di cascare dal pero quando i dati ci
dicono che i giovani non provano neanche a immaginare e costruire un
futuro con un minimo di stabilità e considerano quindi mutuo e casa come
una chimera da rimandare al futuro lontano. Paradossalmente sono le
banche, motivate esclusivamente dalla sete di profitto, a fare luce su
quello che a Boeri appare come un insondabile arcano: chi non ha
prospettive di lavoro e percepisce salari da fame non pianifica
l’acquisto di una casa. E, anche se lo facesse, non vedrebbe un soldo
perché si presta solo a chi dà prospettive solide di ripagamento del
debito.
Giovani e lavoratori tutto questo non solo lo capiscono
ma lo vivono sulla loro pelle tutti i giorni e sanno che la soluzione
non verrà né da Boeri né dalle banche.
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