Il sedicente accordo del secolo si presenta come la soluzione finale architettata dall’imperialismo statunitense per la questione palestinese
- di Renato Caputo 23/02/2020
Credits: http://www.infopal.it/muro-dellapartheid-uno-dei-piu-famosi-muri-al-mondo/
Preannunciato da diverso tempo, l’“accordo del
secolo” promosso dall’amministrazione Trump per dare una soluzione
definitiva alla questione palestinese è, infine, stato presentato. Lo
stile resta sempre quello della conquista del West, ovvero degli accordi
imposti con le buone o con le cattive ai nativi amerindi, per
costringerli ad abbandonare ai coloni immigrati, principalmente europei,
le proprie terre natie, per finire costretti a sopravvivere in delle
riserve, generalmente collocate nei luoghi più impervi e inospitali.
Tanto più che tali accordi, per altro, erano destinati quasi sempre a
rimanere lettera morta per quanto concerne le “concessioni” accordate ai
nativi. Del resto l’interpretazione e la relativa applicazione di
accordi fra paesi stranieri non può che essere regolata dai rapporti di
forza sul piano internazionale, che non sono mai stati come ora
sfavorevoli per i palestinesi.
Per altro l’accordo non può che richiamare alla
mente, in riferimento alla storia più recente, la soluzione sudafricana.
Ingenuamente ci si potrebbe illudere che alla fine il buon senso abbia
prevalso, visto che diversi commentatori internazionali auspicavano una
soluzione che s’ispirasse a quella realizzata in Sud Africa, in funzione
del superamento di uno stato di apartheid imposto dai coloni ai nativi.
In effetti, lo scenario che si creasse, infine, uno Stato unico
sull’intero territorio della Palestina, laico e democratico, che
garantisse uguali diritti ai propri cittadini e mettesse al bando ogni
forma di apartheid, garantendo il pieno diritto del ritorno dei profughi
nelle loro terre e la liberazione di tutti i prigionieri politici –
ovvero gli arrestati con l’accusa di battersi per la liberazione della
Palestina – poteva sembrare una delle soluzioni più razionali.
Al contrario, la proposta di Trump si rifà a quelle
ideate dai sostenitori dell’apartheid sudafricano per legalizzare la
piena occupazione dei terreni migliori da parte dei coloni, generalmente
di origine caucasica, separando da essi nel modo più netto i nativi, da
rendere innocui rinchiudendoli in bantustan, per altro separati gli uni
dagli altri. I bantustan da un lato ricordano appunto la soluzione
adottata dagli occupanti coloni di origine caucasica (non a caso sempre
in ottimi rapporti con gli occupanti della Palestina) nei riguardi dei
nativi americani o australiani, costretti a sopravvivere in riserve,
dall’altro ricordano il modello della più grande prigione a cielo aperto
del mondo: la striscia di Gaza.
Questo sedicente piano di pace, modellato sui
peggiori modelli della tragica storia del colonialismo, non può che
essere considerato, in primo luogo, come una evidente provocazione nei
confronti dei palestinesi, di cui è maestro il grande provocatore,
divenuto l’uomo più potente e pericoloso del mondo. Per altro questa
provocazione non solo avviene subito dopo quella che ha portato all’assassinio del principale dirigente della resistenza sciita,
protagonista della sconfitta dell’Isis, ma si pone in continuità con
altre due terribili provocazione dell’amministrazione Trump contro il
popolo palestinese e, più in generale il mondo arabo, ossia il
trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme e il riconoscimento
dell’annessione da parte dei sionisti delle alture del Golan siriane,
occupate dopo l’aggressione alla Siria del 1967.
Più in generale il sedicente accordo del secolo mira
nei fatti, in barba a tutte le leggi e i trattati internazionali e a
tutti i principi e le dichiarazioni dei diritti umani della Nazione
unite, a riconoscere l’occupazione militare di territori palestinesi e
arabi realizzata dall’esercito sionista durante l’aggressione nel 1967
di quanto restava della Palestina e di territori strategici degli Stati
arabi confinanti. In tal modo, tutte le colonie sviluppate contro il
diritto internazionale e le risoluzioni delle Nazioni unite dai
sionisti, vengono unilateralmente riconosciute dall’imperialismo
statunitense come parte dello Stato ebraico. Egualmente anche
Gerusalemme, città considerata sacra dalle tre principali religioni
monoteiste, diviene quasi integralmente capitale dello Stato ebraico.
Mentre il sedicente Stato dei bantustan palestinesi potrà, al massimo,
installare la propria capitale in alcune zone periferiche della città,
densamente abitate da palestinesi che, quindi, debbono essere separati
per meglio salvaguardare la purezza etnico-religiosa dello Stato
ebraico.
Per altro, per poter godere delle “concessioni” a
loro riservate dall’“accordo del secolo” i governanti dei palestinesi
dovrebbero prima accettare delle condizioni di fatto inaccettabili, a
meno di volersi presentare apertamente come collaborazionisti degli
occupanti dinanzi al proprio popolo. Ossia, prima di accettare una
soluzione finale – che nei fatti comporta accettare uno “Stato”
costituito da bantustan separati gli uni su gli altri, senza sovranità e
senza controllo né dei confini, né del proprio spazio aereo, che
rimarrebbero sotto la supervisione degli occupanti – la leadership
palestinese dovrebbe riconoscere lo Stato ebraico su grandissima parte
della Palestina storica, rinunciare al diritto sancito dal diritto
internazionale e da risoluzioni delle Nazioni unite relative al ritorno
nelle loro terre dei profughi, disarmare completamente il proprio
popolo, oltre a una serie di rigide condizioni di sicurezza (a favore
degli occupanti) e di gestione amministrativa imposte dall’esterno dal
piano trumpiano.
Ancora più grave e indecoroso è che l’amministrazione
Trump pensa di poter convincere la dirigenza palestinese (e i paesi
arabi confinanti) a divenire apertamente collaborazionisti degli
occupanti semplicemente comprandoseli, stanziando in caso di
accettazione del piano 50 miliardi di dollari. Finanziamenti per altro
promessi a parole, senza nessuna garanzia che una volta accettata la
completa resa senza condizioni agli occupanti tali cifre siano realmente
consegnate.
Dinanzi a una così plateale umiliazione sul piano
internazionale imposta dall’“accordo del secolo”, persino Abu Mazen –
che non ha mai assunto una posizione decisa a favore della liberazione
della sua terra, ma che anzi ha fatto di tutto per continuare la
cooperazione con gli apparati di sicurezza degli occupanti – non ha
potuto fare altro che rifiutarsi di accettare la copia del piano
statunitense a lui destinata.
Tanto più che il piano statunitense è stato
paradossalmente rifiutato immediatamente dal movimento del coloni, che
esercitano un fortissimo condizionamento sui difficili equilibri fra
formazioni della destra radicale sionista di cui si componeva il governo
Netanyahu e di cui si comporrà, dopo nuove elezioni, anche il futuro
governo sia se a guidarlo sarà l’ex presidente, sia se prevalesse il suo
unico competitivo concorrente, ovvero l’ex comandante in capo
dell’esercito di occupazione. In primo luogo né gli influenti coloni, né
la destra sionista – che da anni domina incontrastata nello Stato
ebraico – accetterà mai il blocco per quattro anni della costruzione
degli insediamenti colonici prevista dal piano. Tale misura – per altro
presente in tutti gli accordi precedenti, compresi quelli sino a ora in
vigore – non è mai stata rispettata dai governi sionisti dello Stato
ebraico, che anzi generalmente fanno a gara ad assumere le posizioni più
scioviniste e favorevoli all’espansione degli insediamenti colonici,
sebbene ciò costituisca una palese e ripetuta violazione del Diritto
Internazionale e dei princìpi e delle risoluzioni delle Nazioni unite.
Inoltre, in modo quasi unanime i rappresentanti della colonie hanno
espresso la loro più completa contrarietà a una qualsiasi forma di Stato
palestinese, anche nella surreale e provocatoria versione proposta
dagli alleati repubblicani statunitensi. Anche in questo caso, dunque,
si correrebbe il rischio di gran parte degli accordi precedenti – da
quello più importante di Oslo – che l’accordo sarà rispettato
esclusivamente negli aspetti che risultano vantaggiosi agli occupanti.
Si potrebbe a questo punto pensare che un accordo che
non sembra accettabile né dai Palestinesi, anche quelli più spesso
accusati di collaborazionismo come Abu Mazen, né dai coloni e dai loro
potenti referenti nella destra sionista, da anni al governo, sia morto
in partenza. D’altra parte il fatto di averlo a lungo preannunciato e,
infine, presentato da parte dell’amministrazione Trump indica che in
realtà l’“accordo del secolo” possa avere molta più influenza di quanto
sembrerebbe. Innanzitutto, in quanto hanno bisogno che non fallisca sul
nascere tanto il presidente degli Stati uniti, quanto quello israeliano,
entrambi pesantemente accusati dalla giustizia del loro paese per reati
gravi che non solo rischiano di indebolirli sempre di più sul piano
interno, ma di mettere in discussione la loro stessa possibilità di
mantenere incarichi di governo. Inoltre, al di là delle solite manfrine
imbastite dai coloni e dai settori più radicali del sionismo, questo
accordo – che porta al riconoscimento da parte della maggiore potenza
internazionale dell’occupazione di gran parte dei territori palestinesi
attraverso l’aggressione sionista del 1967 – rappresenta un’ulteriore
grande successo del progetto sionista nel suo insieme, che sarà difeso,
almeno nella gran parte che gli è favorevole, con le unghie e con i
denti. Offrendo così, ancora una volta, la possibilità di far passare le
vittime come colpevoli – dinanzi a una sempre più manipolata opinione
pubblica internazionale – di non voler accettare un piano di pace e,
quindi, di essere in primis responsabili del perpetuarsi di questa
guerra asimmetrica che va avanti da quasi un secolo.
Per altro la presenza di un accordo inaccettabile per
i Palestinesi e funzionale ai progetti sionisti sarà certamente
sfruttato dai governi dispotici e teocratici del Golfo, che da sempre
sono – grazie alla comune strettissima alleanza con gli Stati Uniti e i
suoi partner europei della Nato – in combutta con lo Stato ebraico, per
arrivare a una sempre maggiore coordinamento delle forze per contrastare
insieme, nell’intero Medio oriente, chi intende mettere in discussione
l’ordine costituito o provare ad arrestare la sempre maggiore influenza
di queste potenze reazionarie sulla regione.
Quindi i palestinesi, nella loro necessaria denuncia
del carattere provocatorio di questo sedicente piano del secolo, si
troveranno quasi isolati nel mondo arabo, visto che i residui governi
imperialisti sono stati rovesciati o resi impotenti e visto che le
stesse leadership palestinesi dipendono in ampia misura, dal punto di
vista economico, dai petrodollari.
D’altra parte la solita tattica subalterna di trovare
sostegno nel “poliziotto buono” della Nato, da parte della leadership
palestinese, rischia di rivelarsi al solito fallimentare. Se da una
parte i conservatori inglesi con alla guida il reazionario Boris
Johnson, che hanno appena ottenuto una larga maggioranza nel parlamento
del loro paese, hanno già asserito di essere completamente allineati
alla proposta statunitense, è più che probabile che i leader dell’Unione
europea facciano di tutto affinché i dirigenti palestinesi prendano in
considerazione la proposta statunitense e riprendano, sulla sua base, i
“colloqui di pace”, essenziali per gli occupanti per poter perpetrare
impunemente l’assoggettamento della Palestina.
Nessun commento:
Posta un commento