E
noi sappiamo esattamente cosa succederà in questo incontro, alla
presenza di un “consulente” in rappresentanza di Whirlpool Latin
America, e di Invitalia.
Succederà questo: verranno sbloccati i soldi per gli stipendi dal fondo ESCROW (1),
e in questo clima di ritrovata letizia Invitalia dirà che sta cercando
un nuovo investitore, che sostituisca Ventures.
A quel punto, qualche
zelante sottosegretari* tirerà fuori dal cilindro la possibilità, in
attesa dei risultati eventuali di questa ricerca, di procedere
immediatamente con lo “spezzatino in salsa Sicchiero (2)“. Cioè
con l’avvio, previo accordo in tal senso con Ventures, della produzione
nei capannoni ex Embraco dei contenitori biomedicali “Traces” (3).
Il
sindaco di Chieri, finora, ha attribuito al Mise la volontà di evitare
lo “spezzatino”, puntando ancora ad un “investitore unico”.
Ma noi
sappiamo che a quel punto, in questo incontro, si troveranno
“improvvisamente” tutt* d’accordo nell’imboccare questa strada, sulla
quale già si ritrova infatti a livello locale lo stesso quadro politico
(l’allleanza PD-5Stelle) del governo nazionale (4).
Questa
“soluzione” riguardetebbe a malapena 50 persone su 410.
Agli/le
altri/e, in accordo con Whirlpool e con la Regione (che, gestita dal
centro-destra, tuttavia non è affatto contraria, fa solo il gioco delle
parti), verrebbero offerti nuovi miseri incentivi e/o “corsi di
riqualificazione”.
Sarebbe
“l’inizio della fine”, per questa vertenza la quale, come ha “fatto
scuola” con la finta reindustrializzazione, farebbe ora scuola con
questo “prototipo definitivo” di gestione delle crisi aziendali (un
“capolavoro”, un modello: “accordo bidone” e smantellamento della
fabbrica, delocalizzazione, finta reindustrializzazione, “smaltimento”
finale degli esuberi).
“Il caso è chiuso”, questa è la soluzione “pragmatica”, perché alla prima azienda ne seguiranno altre (5), dice Sicchiero: chi si oppone fa ideologia sulla pelle delle persone.
MA
QUESTO NON È VERO, È VERO INVECE IL CONTRARIO: lo “spezzatino”
distrugge l’unica possibilità concreta di una soluzione collettiva,
perché distrugge l’unità dei lavoratori e delle lavoratrici ex Embraco,
già messa a dura prova nel tempo per il mancato rispetto dei turni di
rientro in fabbrica, ma che nonostante tutto ha tenuto insieme per due
anni chi non ha accettato gli incentivi (fino a 60.000 Euro, col
meccanismo “scalare” (6)) per licenziarsi, perché voleva un posto di lavoro, non un’elemosina.
La
vicenda ex Embraco è infatti fortemente caratterizzata da questo
aspetto paradossale: con “l’accordo bidone” si puntava, in tutta
evidenza, a risolvere il problema con gli incentivi, la storiella della
reindustrializzazione con Ventures doveva essere “di contorno”. Ma
invece è stata presa fin troppo sul serio, come ci è stato anche
raccontato sui giornali (7).
Così
ora si vuole imporre direttamente, senza più girarci intorno, la scelta
politica generale di lasciare mano libera alle multinazionali che
delocalizzano, distruggendo, dopo aver acquisito a prezzi stracciati,
nell’orgia delle privatizzazioni, marchi aziendali nazionali
prestigiosi, l’economia stessa del paese, posti di lavoro e prospettive
di vita, deindustrializzando e desertificando i territori.
Questa
non è la soluzione “realista” contrapposta alla smania di chi non
accetta la realtà, questa è proprio la distruzione pratica della vita e
della speranza delle persone.
Potere al popolo Torino
denuncia con forza questa falsa soluzione, e rilancia la necessità di
una ripresa lavorativa per 410 lavoratori e lavoratrici, non solo per
“quasi 50”: per tutt*, non solo per chi china la testa. Si parte e si arriva insieme,
chi ha firmato per la reindustrializzazione, rifiutando gli incentivi,
ora deve riavere il suo posto di lavoro, altrimenti è una truffa
colossale, che svela fino in fondo la trappola infernale della
reindustrializzazione stessa.
Che
non è una risposta praticabile alle crisi aziendali, è l’esecuzione
sistematica dei volerii di multinazionali che pianificano, in questo
modo, i licenziamenti, torturando per mesi e mesi i/le malcapitati/e
lavoratori e lavoratrici, cui si continua a mentire con la farsa
plateale di finte aziende private che dovrebbero “riconvertire” la
produzione, ma che in realtà non lo fanno perché sono controfigure
inventate delle stesse multinazionali.
E dove si è svolta questa farsa, ad Amiens per Whirpool Francia, a Termini Imerese con Blutec (a Napoli con PRS, per ora,
ancora no), a Riva di Chieri (TO) con Ventures, oltre l’oltraggio c’è
stata la beffa, perché i falsi imprenditori, attirati dal bottino
stanziato all’uopo, si intascano pure i soldi (poi magari c’è pure
l’inchiesta giudiziaria, ma intanto il furto si compie, sfacciato e
indisturbato, in una grottesca spirale di insulti alla logica: per ex
Embraco, ora Whirlpool dice candidamente che non paga gli stipendi
perché non si fida di Ventures!).
Ma
fuori da questo delirio, la posta in gioco, in realtà, è assolutamente
sostanziale e generale, non riguarda solo ex Embraco: se lo “spezzatino”
passa qui, potrà passare per Whirlpool Napoli, nonostante il problema
esplosivo dell’indotto, e dappertutto.
Se
si abbandona la lotta comune, si “sfoglierà il carciofo” alla
spicciolata: nel migliore dei casi, arriveranno proposte successive di
pseudo posti di lavoro altrove, o il parcheggio a “riqualificarsi”; nel
caso di ex Embraco fino a luglio, quando scadrà la CIG: cioè fino ad
estenuare le persone, che alla fine dovranno accettare incentivi di
circa 20.000 € e/o, quando saranno in numero sufficientemente ridotto,
scompariranno semplicemente dai radar.
L’alternativa, concreta e praticabile, però esiste, e oggi al MISE sarà plasticamente presente: si chiama Invitalia.
Non il “carrozzone di Arcuri (8)”
così com’è, ma quello che potenzialmente rappresenta, e per cui viene
costantemente evocato, salvo poi essere messo sempre da parte (tranne
quando si tratta di salvare una banca, perché per Popolare di Bari è un
attore effettivo, con capitali veri stanziati apposta): esorcizzando in
questo modo lo “spettro” dell’intervento pubblico diretto in economia,
di una vera politica industriale.
Potere al popolo, su ex Embraco, rilancia con forza la propria posizione: occorre nazionalizzare, rilevare la proprietà degli stabilimenti e, dove ancora possibile, degli impianti,
costringere le multinazionali ad accordi commerciali su quei segmenti
di mercato, o riconvertire le produzioni. Invitalia, convitato di pietra
in questo incontro al Mise, può essere lo strumento di questa
operazione, proprio come, in modo apertamente mistificatorio, recitava
“l’accordo bidone”.
Nell’accordo
bidone su ex Embraco, infatti, ad Invitalia veniva riservato il ruolo
di “paracadute”, ma solo entro il 2018. L’implementazione di
quell’accordo, allungando i tempi, cancellò così di fatto quella
clausola, checché ne dica ancora oggi Calenda: si è trattato di un ruolo
del tutto virtuale (9).
Ma rimane il principio pratico, aldilà del balletto indegno sul fondo decretato in quell’occasione da Calenda stesso (10):
la partecipazione di capitali pubblici nelle aziende attraverso CdP
(Cassa Depositi e Prestiti), supporto finanziario di Invitalia. (11)
Altro
che “la ricerca di imprenditori seri e credibili”, non è questo il
compito che deve avere Invitalia, non si può più sentire questa litania,
non fa nemmeno più ridere. Serve solo a coprire, appunto, l’esecuzione
servile degli obbiettivi stabiliti dalle multinazionali, “allungando il
brodo”.
Invece, la stessa possibilità del “workers by out (12)”
che prende realmente corpo in queste vertenze, magari affiancando la
solita improbabile azienda privata (vedi Bekaert), necessita a maggior
ragione della nazionalizzazione, a suo sostegno e garanzia.
Ma ex Embraco, soprattutto, vuol dire ancora gruppo Whirlpool,
che infatti oggi al Mise ci sarà. Si va quindi alla stretta su ex
Embraco mentre ripartono gli scioperi in tutto il gruppo, dove si
profilano altri pericoli incombenti su altri siti: allora, bisogna trasformare anche questo incontro in un momento di lotta.
La
vicenda Whirlpool Napoli e quella ex Embraco, per le molte implicazioni
che le sottendono, possono e devono diventare un fronte comune a
partire dal quale, intorno alla vertenza Whirlpool come elemento
generale, si rimettono in discussione i rapporti di forza reali nella società, come sta facendo il movimento di lotta contro la “riforma delle pensioni” in Francia.
E
non stiamo esagerando, perché si tratta di scegliere tra la
subordinazione rassegnata del falso “realismo” e la capacità di andare
fino in fondo nella difesa di un punto di tenuta irrinunciabile: ad
esempio,su Whirlpool Napoli, in particolare, non basta dire di no alla
chiusura, occorre una contro-proposta immediata e fattibile. Che non può
che essere la nazionalizzazione, come abbiamo già detto (13), e come riproponiamo con forza ora per ex Embraco.
Noi
non siamo, infatti, quelli che dicono sempre di no: noi stiamo facendo
una proposta organica per provare a salvare più di 400 posti di lavoro, a
Napoli come a Riva di Chieri (ma adesso anche tra Cuneo e Torino per la
Mahle (14)), a fronte di quella scandalosa dello “spezzatino”
che ne “salverebbe” poche decine. Tra l’altro, selezionate con quale
criterio? Con graduatorie arbitrarie, in una bella guerra tra poveri, o
col “filtro” della clientela politica (15)?!
Comunque,
dall’incontro del 3 febbraio non si esce con l’ennesima “melina”, con
l’ennesimo rinvio, ma soprattutto non si esce con la truffa finale. La
combatteremo in ogni modo, perché un’alternativa è possibile. Mentre un
accordo al ribasso, che crea la guerra tra poveri proprio mentre su
Whirlpool riparte la lotta generale, no, quello no, non è possibile.
Lo
diciamo con molta chiarezza alle organizzazioni sindacali presenti a
questo tavolo: sarebbe un gravissimo gesto di rottura contro la
mobilitazione e gli scioperi in tutto il gruppo Whirlpool, proprio a
significare, allora, che su Whirlpool Napoli non si sta facendo affatto
sul serio.
Per questo, come dicevamo, Potere al Popolo
rilancia la propria proposta, che vale per Whirlpool Napoli come per ex
Embraco. E che va ben oltre la solidarietà, come quella manifestata in
queste ore dalle “Sardine Piemonte” (16), che parlano
genericamente di “giustizia sociale” e di libertà: non vorremmo che
questo richiamo valesse anche per la famiglia Benetton, che potrebbe
subire “l’ingiustizia” della revoca delle concessioni in materia di
Autostrade, e per la libertà di accumulare profitti miliardari con la
gestione di monopoli naturali e di beni comuni.
Cioè
proprio quei “valori” contro i quali i/le lavoratori e lavoratrici ex
Embraco, “sull’orlo della povertà e che manifestano intenzioni lesive
nei loro (stessi) confronti”, continuano invece a combattere a testa
alta, perché devono difendersi proprio innanzitutto da chi, proponendosi
di aiutarli e di “non lasciarli soli”, cerca invece di cancellarne la
dignità.
Note
1 Acconto (o deposito) di garanzia, nell’accordo “bidone” per le transazioni tra Whirlpool e Ventures. kfkf
2 Alessandro Sicchiero, neo-sindaco PD di Chieri (TO).
5
Venerdì scorso, titolo di apertura del “Corriere di Chieri”: “Ex
Cartotecnica: 44 licenziati – Annuncio choc”; si tratta praticamente di
una delle ultime aziende “storiche” del Chierese. Ma di quali posti di
lavoro (e dove?) si blatera, in questa situazione? Ah, già: sempre di
situazioni collegate alla “Traces” e quindi a Sicchiero, come la “Armo”
di Ardissone, socio di “Traces”: produzione di “montacarichi, rampe,
pedane e portoni per capannoni e garage”, con sede in Inghilterra e
stabilimento a None (TO). Dice Ardissone: “ci stiamo ingrandendo, potremmo prendere…c4 o 5 persone da Embraco”!! (Fonte:
il “Corriere di Chieri” del 31 gennaio, che ci ricorda come anche la
ricollocazione, oggetto di un’operazione immobiliare gestita da Regione e
Confindustria, degli stessi capannoni del complesso Embraco costituisca
un ulteriore problema. Aria di speculazione sulle aree industriali
dismesse, forse?).
6
L’accordo “bidone” prevedeva entro il 2018 incentivi “a scalare”, cioè
maggiori all’inizio e minori alla fine, per “incoraggiare” ad andarsene
subito e poter gestire quindi il minor numero possibile di
“irriducibili”.
7 Si veda: “L’operaio: io da un anno davanti a una fabbrica vuota”;
rimane qualcosa di eccessivo e di opaco, in questa dichiarazione di un
delegato FIOM: ma davvero la FIOM non sapeva di Amiens in Francia?! E,
visto l’elogio del “sogno” di una soluzione collettiva nel resto
dell’intervista, che ne è oggi di questo sogno se si accetta lo
“spezzatino”?
8
Invitalia (a.d. riconfermato Domenico Arcuri) compare in quasi tutti i
disastri della “reindustrializzazione”, da Porto Vesme a Termini Imerese
e, appunto, a Riva di Chieri: gestita in questo modo, più un attrezzo
da palcoscenico, insomma, che una struttura di intervento reale
nell’economia.
9
Era previsto che Invitalia rilevasse i/le dipendenti Embraco in caso di
fallimento della reindustrializzazione, diventandone il datore di
lavoro, ma questo ruolo diretto, appunto per i tempi stessi previsti
nell’accordo, incompatibili con una verifica del piano industriale, non è
mai esistito veramente: era solo “fuffa”.
10
Una storia indecente: il fondo “anti delocalizzazioni” da 200 milioni
di euro, ancora evocato da Calenda nel calderone degli emendamenti alla
legge di bilancio (ma già non più in quelli per il “milleproroghe”) e
difeso contro il resoconto de “il Manifesto”,
perché cancellato dai suoi successori al Mise; i quali ora comunque
negano che si potrebbe usare proprio quando, invece, con la progressiva
’uscita di scena” di Ventures, ne sussisterebbero le condizioni! In
realtà, quel fondo è stato fin dall’inizio posto per essere negato,
senza mai nessuna volontà politica di renderlo effettivo.
11
Principio appena negato da Patuanelli, che dopo aver pontificato di
nuova IRI, nega alla radice la possibilità di nazionalizzare (“Le parole del ministro Patuanelli”, ultimo paragrafo dell’articolo), come se il problema fosse quello degli strumenti, e non quello della volontà politica.
14 Mahle, stesso copione, la “solita storia”.
E questa volta segnata anche dal problema enorme del “climate change”,
perché si tratta di fabbriche di componenti per motori diesel.
15
Nei gruppi sui social di ex Embraco, inevitabilmente, c’è già chi
reagisce dicendo ”va bene, facciamola finita…tutto purché finisca sta
storia, che non se ne può più, basta!”. Evidentemente, chi parla così si
mette già in concorrenza, in competizione per “un posto al sole”,
magari in base alla propria appartenenza sindacale.
Nessun commento:
Posta un commento