martedì 4 febbraio 2020

Demonizzazione di Stalingrado.

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Questo revisionismo ha radici lunghe, tentacolari e paradossalmente si è sviluppato nella sua pienezza dopo il crollo dell’Unione sovietica perché gli Usa, orbati del nemico, avevano bisogno di una legittimazione al loro dominio  planetario e questa l’hanno trovata nella vittoria sul nazismo dalla quale hanno tentato di estromettere tutti gli altri, compresi quella che la guerra l’avevano vinta davvero, ossia i sovietici.

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Così è cominciata un’opera di manipolazione storica che dapprima ha tentato di cancellare le tracce delle connivenze  tra aziende e poteri americani col nazismo (clamoroso è il caso dell’Ibm che ha aiutato Himmler nella schedatura degli ebrei), poi ci si è dedicati al compito di estromettere gli altri protagonisti del conflitto  anche se la storia militare non consente appigli a un’operazione del genere: il 95% dei caduti contro i nazisti nel conflitto sul continente europeo sono sovietici, mente l’80% dei caduti tedeschi e l’82% della perdita di mezzi bellici della Wehrmacht si è avuta sul fronte russo. Ma lo si vuole dimenticare con  una incredibile faccia tosta: proprio nei giorni scorsi l’ambasciata americana di Copenhagen ha tentato di attribuire alle truppe americane la liberazione di Auschwitz e ha dovuto chiedere scusa e ritrattare solo dopo che centinaia di proteste si erano affollate sul suo sito.
Ma questo è ormai un must del genere: facendo finta che siano stati gli americani a liberare i campi di concentramento si vincono Oscar e si aiuta la sopravvivenza o il quieto vivere come accade per la sedicente libera Wikipedia che ha rimosso le immagini  delle truppe dell’Armata Rossa nel momento in cui liberavano il campo. 
Per la cronaca c’è da dire che le truppe americane non sono mai arrivate ad Auschwitz, anzi a dire la verità esse non arrivarono mai a meno di 500 chilometri dal campo di concentramento: del resto avevano preso solo una piccola parte della Germania, tanto che solo dopo il 10 marzo del 45 avevano varcato il Reno mentre Berlino era già assediata dai sovietici.  
Solo un velo di truppe alleate più che altro simboliche riusci negli ultimi giorni a cavallo della morte di Hitler e di fatto con il consenso dei comandi tedeschi   a raggiungere grosso modo le posizioni che poi segnarono il confine della Germania Ovest, come la cartina a destra (cliccarci sopra per ingrandirla) mostra inequivocabilmente con la posizione delle truppe il 10 maggio, giorno della resa della Germania.
Le proteste a seguito della demenziale uscita dell’ambasciata americana di Danimarca sono almeno un segno di speranza e dimostrano che dopo mezzo secolo di lavaggio del cervello, rimangono ancora tracce della verità storica, ma sono sempre più flebili: mentre nel decennio successivo alla guerra alla maggioranza delle persone era chiaro che il contributo principale alla sconfitta del nazismo era arrivato dall’Unione sovietica,  nel 2004 la percentuale è scesa al 20% e adesso si può immaginare che con la “buona scuola” neoliberista è già grasso che cola se un 10% di persone sa collocare il secondo conflitto mondiale nella sua giusta casella temporale, figuriamoci il resto.  
D’altronde la manipolazione storica viene buona anche per il presente perché nonostante il putinismo sia un’ideologia neoliberista espressamente anticomunista, ci si è premurati, soprattutto negli ultimi 15 anni, di sovrapporre  le parole “russo” e “sovietico” in maniera da usare la vecchia contrapposizione ideologica e tutto l’apparto retorico creato per combattere il comunismo, ora viene utilizzato in maniera indiretta  per creare quello stato d’animo che va sotto il nome di russofobia.  
L’ultimo sondaggio di Gallup ha rilevato che la maggior parte degli americani vede la Russia come una “minaccia critica” e il 73% vede il paese in maniera sfavorevole una cifra tre volte superiore rispetto agli ultimi giorni della guerra fredda. Si falsifica il passato per falsificare il presente.

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