Ogni anno, tra gennaio e febbraio, inizia il reclutamento del personale che si occupa di alberghi e villaggi vacanza. Spesso da parte di agenzie che propongono stage a pagamento. Per poi accedere a contratti ai limiti dello schiavismo.
La chiamata alle armi viene spammata sul web tra gennaio e febbraio. «Cerchiamo animatori turistici con o senza esperienza, con doti relazionali e artistiche, spigliati e dinamici, per la prossima stagione estiva. Previsto inserimento in strutture turistiche in tutt'Italia. Inviaci il tuo curriculum, che aspetti!».In tanti rispondono, ci credono, proiettano esaltanti film di svago e successo nella propria mente.
C'è il luogo comune che sia una specie di lavoretto-vacanza questa professione, un'intermittenza fatale, un rito di passaggio come l'Erasmus o l'Interrail.
Qualcosa di creativo e adrenalinico, che spezza le catene della routine a venire e consacra, per tanti ragazzi, il debutto nel mondo lavorativo. E poi gli applausi e quel senso di popolarità a presa rapida. Anche Fiorello, in fondo, è partito da qui. E pazienza per le eventuali corvée collaterali.
Sono decine di migliaia gli animatori turistici tricolori, bandana in testa, karaoke e gioco-aperitivo o muerte. Ma dietro quei sorrisi comandati, bagnini e hostess, dj e tecnici delle luci, cabarettisti e cantanti da pianobar, possono nascondere un abisso di prostrazione psicologica e fisica.
Francesco ha tra i venti e i trent'anni, ha lavorato l'estate scorsa in un villaggio pugliese e il suo racconto non dà scampo: «Il mio contratto prevedeva 350 euro al mese, e benché avessi un part-time lavoravo fino a tardi. Il mio orario classico era questo: tre ore e mezzo la mattina, altre tre il pomeriggio e due la sera. Ma i momenti di pausa erano tutt'altro che tali: servivano a organizzare le attività diurne (i giochi, i balli di gruppo o caraibici ecc.) e gli spettacoli serali. E così non andavo mai a dormire prima delle due o tre di notte. Il sabato era definito giorno libero, ma serviva per accogliere i nuovi arrivi nella struttura. Mi sono divertito, ma dopo un po' ero sfinito, fritto, non ce la facevo più ad andare avanti. Ci trattavano come robottini usa&getta. Un sistema molto simile al caporalato. Ho retto 15 giorni e mi sono licenziato».
Lavorano tanto, sempre, gli animatori turistici, anche 16-18 ore al giorno, 7 giorni su 7. Si va avanti a colpi di caffè, soft-drink energetici e shottini di rum. E tutto questo per 4-500 euro al mese per chi è agli inizi, pari a 1 o 2 euro l'ora. A cui si aggiungono, quando va bene, vitto e alloggio gratuito, si fa per dire: mangiano e dormono poco e male, magari dentro sgabuzzini fatiscenti in condominio con qualche collega.
Ad assumerli sono le agenzie d'animazione che hanno come committenti i villaggi turistici e gli hotel, i campeggi e i resort. Ne esistono centinaia: alcune sono serie, altre meno, altre ancora truffaldine tout-court. Ve ne sono di storiche e di nate l'altro ieri, che hanno fiutato l'affare. Qualcuna muta nome di continuo, o resta in vita il tempo necessario per spillare quattrini ai partecipanti agli stage di formazione che si tengono, verso la coda dell'inverno, negli alberghi della riviera adriatica.
Un ingannevole business parallelo, se a pagamento, perché solo una piccola parte troverà poi occupazione. Non che ai prescelti vada sempre meglio: parecchi sognavano un trampolino per la gloria, nello show-system o almeno sui social, e si ritrovano addosso i panni «anti-glamorous» del factotum/tappabuchi, condannato a qualsiasi manovalanza. In certi casi con un mandato esplicito, rivendicato.
L'anno scorso un'agenzia di Verona cercava, per un suo cliente in Trentino, un animatore che fosse contestualmente aiuto-cuoco, e viceversa. «La risorsa si occuperà del supporto allo chef per gli antipasti, i primi, i secondi e i dolci, e dell'animazione per i bambini» specificava il suo annuncio.
Anna ha 43 anni ed è di Roma. Anche lei chiede che sia omesso il suo cognome, «ho paura di rappresaglie». Negli ultimi tempi ha conosciuto due brutte esperienze legate all'animazione turistica. Con un'agenzia molisana, «devo ancora recuperare un credito di 600 euro risalente al 2016. Dalla mia parte una sentenza del tribunale, ma il titolare è sparito e risulta nullatenente, nonostante continui a imperversare nel settore e abbia persino comprato una casa nuova. In seguito ho lavorato con un'agenzia abruzzese: oggi hanno smantellato tutto, uffici, sito Internet, pagina Facebook, come non fossero mai esistiti. Terminata la stagione con loro, sono andata al centro per l'impiego per fare domanda di disoccupazione, ma ho scoperto che non risultavo assunta. Per cui non ho avuto un euro, e nemmeno il riconoscimento dei contributi. Mi devono ancora mille euro e rotti di stipendio. E l'elenco delle frustrazioni potrebbe continuare a lungo. Ho lavorato pure con agenzie oneste, si intende. Mi occupavo del baby club: dopo tutte queste delusioni brucianti ho deciso, però, di smettere».
A proposito: latitando, nella nostra penisola, prospettive concrete di destagionalizzazione del turismo, gli animatori stabili, cioè quelli più in là con l'età, faticano a tirare avanti tra una «missione» e l'altra. Il Jobs Act di Renzi ha infatti dimezzato il periodo di durata dell'indennità di disoccupazione, che dal 2015 si chiama Naspi ed è pari al 50 per cento dei mesi lavorati. Prima lavoravano, nella migliore delle ipotesi, per sei mesi, primavera ed estate, ed erano «coperti» per l'altra metà dell'anno. Adesso restano senza nessun introito per 4, 5 o 6 mesi. Stefano Bastianelli («mettile pure le mie generalità complete, voglio che tutti sappiano») ha 33 anni e vive in Veneto. Ha cambiato decisamente ambito, fa l'attrezzista torni, ma nel suo passato ci sono stati quattro anni di animazione intensa: «È un mestiere completamente fuori controllo, dove il contratto è stagionale, la paga fissa mensile ed estremamente bassa. Io cominciai con 450 euro al mese, saliti a 700 quando diventai responsabile diurno. Ero sempre a lavoro, per sette mesi consecutivi, con giorni liberi non assicurati e nessuna regola da osservare per chi gestiva il team: se qualcosa non ci andava a genio, il benservito era dietro l'angolo. Un'esperienza che ti arricchisce dal punto di vista umano, con interessanti risvolti artistici, ma pilotata sfruttando i subalterni. E non è il totale di ore lavorate il problema, perché per diventare confidente e amico, o “eroe” in una settimana di villeggiatura è necessario un contatto continuo con gli ospiti, sia di giorno che di sera. Il fatto inaccettabile sta nell'essere pagati così poco, col pretesto del vitto (di qualità, in genere, mediocre) e dell'alloggio, del soggiorno in camere di scarsa o infima categoria. Un salario infame, che andrebbe raddoppiato».
A maggio è stato firmato il contratto collettivo nazionale degli animatori turistici, che si attendeva da trent'anni. In precedenza erano considerati alla stregua di stagionali dello spettacolo, del personale artistico nei pubblici esercizi. Ha una durata triennale e garantisce la sicurezza sul luogo di lavoro, una giornata di riposo, un minimo di due ore di sosta pomeridiana, una paga base minima di 1.160 euro, comprensiva di «pacchetto ospitalità» e un orario di «lavoro ordinario» non superiore alle 48 ore settimanali. Una mera utopia nei villaggi. E se l'agenzia che ottiene l'appalto non retribuisce il suo staff, ci si può rivalere direttamente sulla struttura, che sarà tenuta a sborsare fino all'ultimo centesimo.
Pochissimi mostrano, tuttavia, di essersi accorti di questo contratto, e lo applicano davvero. Continuano quindi a proliferare i part-time fittizi e il «nero parziale», mentre si fa strada, come nella lontana e vicinissima gig economy, la vecchia legge del cottimo. E negli anni scorsi non sono mancati episodi di degenerazione dello strumento dell'alternanza scuola-lavoro, con studenti spediti a lavorare gratis nei villaggi turistici. A divertirsi eufemisticamente, obtorto collo, sotto il fuoco incrociato dei capricci dei clienti e delle vessazioni dei mandanti di un incarico estenuante, sebbene spacciato come un hobby a fine didattico.
Ma torniamo al nuovo CCNL che dovrebbe, in teoria, tutelare anche la salute dei dipendenti. Anila Cenolli è membro della segreteria lombarda della Uiltucs, la sigla di categoria della Uil che rappresenta le maestranze del terziario, del commercio, dei servizi e del turismo: «Poco prima dell'ultimo ferragosto ho ricevuto la telefonata di due ragazzi, due animatori turistici ventenni che stanno insieme pure nella vita. Erano disperati. La sera precedente il lui della coppia si è sentito male. La mattina dopo si è alzato molto presto ed è andato a lavorare, ma il suo malessere andava peggiorando. Non gli è rimasto allora che recarsi nel pronto soccorso più vicino, che gli ha certificato dieci giorni di malattia». Non l'avesse mai fatto. Un sacrilegio. «Quando ha presentato il certificato medico, la sua datrice di lavoro ha iniziato a insultarlo pesantemente, con una violenza verbale impressionante. E l'ha persino minacciato, intimandogli di tornare subito all'opera. Ormai sta finendo sotto attacco lo stesso basilare diritto costituzionale a curarsi. Grazie all'azione del nostro ufficio vertenze, siamo riusciti a recuperare il loro compenso arretrato, perché la donna non voleva più saldare le tre settimane lavorative già svolte – conclude la sindacalista -. E dire che sgobbavano per 18 ore al giorno, si svegliavano all'alba e correvano come dannati da un angolo all'altro del club vacanze, dando una mano anche in cucina e nelle operazioni di carico-scarico».
Storie di animatori sull'orlo di una crisi di nervi, sottopagati per lavorare tantissimo, con una maschera d'allegria triste come Joker. O meglio, come i Joyner, i «professionisti della gioia»: li ha definiti così, di recente, una delle più note agenzie sul mercato, e non è una battuta di Fiorello.
Nessun commento:
Posta un commento