venerdì 10 gennaio 2020

Nicoletta Dosio, una donna esemplare in carcere per una grande opera inutile

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La scelta della leader del movimento No Tav, Nicoletta Dosio, di scontare in carcere la pena ingiustamente inflittale – rifiutando i benefici che le sarebbero consentiti anche in ragione dei suoi 73 anni di età – appare esemplare per varie ragioni. Proviamo ad elencarle.
1. In primo luogo va rilevata la portata del suo gesto dal punto di vista etico e morale. Nicoletta, che è stata condannata in quanto leader riconosciuta del movimento No Tav, si assume tutta la responsabilità delle azioni che ha compiuto per fermare, insieme alla grande maggioranza dei cittadini direttamente interessati, un’opera non solo inutile, ma suscettibile di arrecare danni gravissimi e irreparabili all’ambiente, nonché espressione di una visione dell’intervento pubblico che aggrava anziché contrastare i deleteri fenomeni di degrado ambientale in corso, primo fra tutti il cosiddetto cambiamento climatico.
Evidente la portata esemplare di questo gesto in un Paese nel quale coloro che vedono delinearsi la prospettiva della galera sono pronti a tutto pur di evitare di finirci dentro. E gli esempi non mancano, a cominciare da politici di vertice imputati di gravi reati o ritenuti collusi con la criminalità.

Nicoletta invece, che ha agito sia pure al di fuori della legalità strettamente intesa in nome della sua comunità ma anche dell’umanità tutta, ripercorre con il suo gesto generoso il sentiero di grandi leader come Fidel, Mandela, Gandhi e altri, che non hanno esitato ad affrontare la sfida del carcere per affermare una più alta legalità.
2. In secondo luogo Nicoletta contribuisce, con il suo gesto, ad evidenziare la cruda realtà del carcere, luogo che oggi è tutto tranne che un ambito destinato a promuovere la rieducazione dei condannati, secondo la visione fatta propria dall’art. 27 della nostra Costituzione. Troppo spesso coloro che si eccitano all’idea del carcere e delle manette dimenticano questa elementare e banalissima realtà. Un carcere come quello che abbiamo in Italia, che istiga ogni giorno al suicidio coloro che vi vivono, è una mostruosità che va abolita, trasformandola radicalmente.
A tale fine vanno finalmente adottate misure risolutive per evitare la sovrappopolazione carceraria, depenalizzando molti reati e riservando la detenzione ai criminali peggiori, che fanno parte tutti dei settori di vertice o intermedi della nostra società, a cominciare dai mafiosi di ogni genere e dei politici e imprenditori con essi collusi. Il vero garantismo non è un buonismo indifferenziato o solo enunciazione astratta di garanzie valide per tutti, ma un movimento di pensiero che esprime la necessità di tutelare, anche nell’ambito penale e carcerario, anzitutto i diritti e gli interessi dei soggetti economicamente e socialmente più deboli.
3. In terzo luogo Nicoletta rilancia in tal modo la lotta e l’iniziativa contro il Tav. Una grande opera che, oltre che presentare i difetti profondi già accennati dal punto di vista ambientale, è stata decisa in netta contrapposizione con la volontà delle popolazioni coinvolte e che esprime esclusivamente gli interessi di un ceto imprenditoriale. In un caso è stato anche appurato l’interessamento di una cosca della ‘ndrangheta ai lavori del Tav.
Se partiamo dal presupposto che i principali problemi dell’Italia di oggi sono la corruzione e la criminalità organizzata, non vi è davvero contraddizione tra i movimenti partecipativi – che come quello No Tav vogliono impedire grandi opere inutili e dannose – e quelli più generali contro la ‘ndrangheta e le altre mafie.
Ciò detto, è quindi ora che lo Stato abbandoni ogni pretesa punitiva nei confronti di protagonisti del movimento No Tav, approfondendo invece il rapporto esistente tra l’obbrobrio del Tav e la criminalità organizzata e procedendo a identificare imprenditori e politici coinvolti. Nicoletta Dosio, donna esemplare, e i suoi compagni vanno liberati al più presto.
Riaffermiamo, come fanno i giuristi democratici, il sacrosanto diritto alla protesta, e chiediamo con forza “un radicale cambio di rotta nella gestione dei conflitti sociali e ambientali, quale è certamente quello relativo al progetto Tav, che dovrebbe tornare a essere materia di un serio, civile, realistico e produttivo confronto tra comunità e governi locali e centrali, anziché materia di giudizi penali e ostentazione di potere militare e di ordine pubblico”.
 * Giurista internazionale – dal blog su Il Fatto Quotidiano
La foto di copertina è di Patrizia Cortellessa

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