Mai nella storia dell’umanità si erano registrati livelli così alti di migrazione. Di processi migratori, di Riace e di movimenti sociali ragiona in questa intervista Alex Zanotelli. «Esiste una nuova importante lettura del colonialismo secondo la quale oggi è cominciata la crisi della “tribù bianca”. Una “tribù” con cinquecento anni di schiavismo alle spalle che ha imposto ovunque la cultura occidentale, ha diviso il mondo in civili e “barbari”, ha posto una religione sopra le altre. Quella tribù inizia a percepire di essere una minoranza e ha paura di perdere i propri privilegi costruiti grazie a schiavismo, colonialismo e neocolonialismo. Pierre Claverie ha parlato di “bolla coloniale” per descrivere il modo con cui il colonialismo ha marginalizzato e reso invisibili milioni di persone…»
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Oltre
duecentocinquanta milioni di persone nel mondo, per ragioni diverse,
hanno abbandonato il paese di origine, con un aumento del cinquanta per
cento dal 2000.
Mai nella storia dell’umanità si erano
registrati livelli così alti di migrazione. La rotta più seguita e più
in crescita per i flussi migratori è quella che va dal Messico agli
Stati Uniti, seguita da quella che va dall’India all’Arabia
Saudita e, a causa della guerra che il mondo ha dimenticato, da quella
dalla Siria alla Turchia. Intorno alla questione migranti si intrecciano
temi e storie che trasformano il mondo ogni giorno.
Il
Mediterraneo è diventato un cimitero enorme: l’Europa ha già sulla
coscienza oltre 50.000 migranti sepolti in mare. Quanto accade è prima
di tutto il frutto di duecento anni di colonialismo e sfruttamento?
Bisogna riflettere bene, per alcuni aspetti sì, per altri no, come dimostrano le crescenti migrazioni provocate dai cambiamenti climatici.
Secondo studi delle Nazioni Unite soltanto in Europa si temono a fine
secolo cinque gradi in più di temperatura e sette/otto in Africa, tre
quarti del continente africano sarà inabitabile, soltanto i rifugiati
climatici nel mondo nel 2050 saranno almeno 250 milioni… Dati che fanno
paura.L’analisi coloniale resta fondamentale invece per capire chi siamo noi e la nostra relazione con il Sud del mondo. Il colonialismo ha imposto un pensiero, ha depredato diversi continenti, in Africa ha inventato confini a causa dei quali sono scoppiate numerose guerre. E ha fatto del motto divide et impera una strategia per dominare. Il colonialismo è rimasto anche in molti dei regimi africani nati dopo le dichiarazioni di indipendenza e oggi ha assunto volti nuovi, basti pensare al dominio di alcune grandi imprese cinesi e indiane. Anche per queste ragioni oggi milioni di persone sono in fuga da miseria e da guerre e il rifiuto dei migranti lega l’Europa con gli Stati uniti, ma anche con l’Australia.
In
questo contesto, più volte a proposito delle politiche italiane in
materia di migrazioni hai parlato di razzismo di stato e di
disobbedienza.
Sì, perché si tratta di un lungo cammino xenofobo e razzista cominciato venti anni fa con la legge Turco-Napolitano tramite
la quale sono nati i Centri di Identificazione ed Espulsione, seguito
dalla Bossi-Fini, dai decreti Maroni e dalla legge Orlando-Minniti,
oltre che al criminale accordo del ministro Minniti con la Libia.
Questo razzismo di stato è poi sfociato in una guerra contro le ONG
presenti nel Mediterraneo per salvare vite umane e nella chiusura dei
porti, in barba a leggi nazionali e internazionali. Ma salvare
un essere umano resta un dovere che affonda le radici nella natura
stessa dell’uomo che è in primo luogo un ospite, “uno straniero
residente”, per dirla con il filosofo Jacques Derrida. Un
dovere codificato nel diritto internazionale ma anche nella tradizione
ebraica, come ricorda il Levitico ”Il forestiero dimorante tra voi lo
tratterete come colui che è nato fra voi: tu lo amerai come te stesso” e
cristiana, ”Ero straniero e mi avete accolto” si legge nel Vangelo di
Matteo. Oggi di fronte a norme come il decreto sicurezza abbiamo il
dovere di disobbedire, promuovere resistenza civile in molte forme
differenti anche pagando in prima persona, sull’esempio di Carola
Rackete. C’è voluta una donna dai grandi ideali e dai nervi saldi per sconfiggere un governo e il suo razzismo istituzionale.
Giuseppe Dossetti avrebbe voluto inserire nella nostra Carta
costituzionale il seguente articolo: «La resistenza individuale e
collettiva agli atti dei pubblici poteri, che violino le libertà
fondamentali e i diritti garantiti dalla Costituzione, è diritto e
dovere di ogni cittadino». Oggi ne avremmo avuto bisogno per salvare
quel che resta della nostra democrazia… È fondamentale
imbroccare seriamente la strada della disobbedienza civile per tutte
quelle leggi che disumanizzano i nostri fratelli e le nostre sorelle e
disumanizzano anche noi. La mia generazione, quella nata dalla
seconda Guerra Mondiale, rischia di essere tra le generazioni più
maledette della storia umana, perché nessuna altra ha talmente
violentato il Pianeta Terra e chi migra come lo abbiamo fatto noi… I
nostri nipoti diranno di noi quello che noi oggi diciamo dei nazisti.
Per questo abbiamo bisogno di disobbedire, non solo per salvare vite in
mare ma anche per fermare quanto sta avvenendo in Libia,
dove sono rimasti quasi un milione di rifugiati che secondo il Rapporto
del segretario generale dell’Onu sono sottoposti a detenzione
arbitraria, torture, stupri, lavori forzati… Quel Rapporto condanna
anche la condotta spregiudicata e violenta della Guardia Costiera libica
nei salvataggi e intercettazioni in mare. In Libia l’unica cosa da fare
resta creare presto corridoi umanitari verso l’Europa.
Cosa rappresenta oggi la storia di accoglienza diffusa di Riace brutalmente aggredita negli ultimi mesi?
La
storia della comunità di Riace e del suo sindaco Mimmo Lucano insegnano
due cose. La prima: la micro-accoglienza diffusa è possibile
contrariamente a quanto ha detto in questi anni la politica
istituzionale, altro che ossessioni securitarie. La seconda:
quell’accoglienza è in grado di riportare vita nell’Appennino che muore.
Il “fare in comune” sperimentato in quel borgo ha aperto strade
importanti di economia solidale locale e moltiplicato sentimenti di
speranza. Riace è e resterà a lungo un punto nevralgico di
resistenza nel nostro paese, perché è prima di tutto un’idea che rifiuta
la civiltà della barbarie.
Pochi
anni fa c’è stata la stagione del movimento altermondialista, di Genova
2001, di cui oggi sentiamo un forte bisogno non solo per la lucidità
delle analisi e delle proposte ma anche per la capacità di far camminare
insieme pezzi di società diversa. Come favorire oggi le condizioni per
l’emersione di un nuovo movimento?
Nei mesi di Seattle e Genova
vivevo a Korogocho, immenso slum di Nairobi, e ho cercato di
contribuire a quella stagione di movimenti favorendo la nascita della Rete Lilliput.
È stata una stagione straordinaria perché è emerso un movimento di
movimenti, molto giovanile e popolare, che sapeva tenere insieme persone
provenienti da mondi diversi. Un movimento che faceva paura al potere.
Per questo c’è stata la volontà dall’alto, che in Italia ha avuto il
volto del vicepresidente del consiglio Gianfranco Fini, di distruggerlo.
Genova è stata una cesura storia del diritto. Una delle lezioni
di quel movimento, maltrattato da tutti i partiti, tuttavia è giunta
fino a noi: il cambiamento sociale non può mai avvenire dall’alto. Oggi
sentiamo il bisogno di quel movimento perché il sistema fa di tutto per
frantumare i pezzi di società che si muovono in basso, imponendo un
individualismo ideologico. Ho l’impressione che anche il web
contribuisca a illudere e a creare difficoltà: i frutti delle tecnologie
incorporano e producono sistemi di relazioni sociali specifici…
Dobbiamo prima di tutto tornare a pensare: i tre discorsi ai movimenti
popolari di papa Francesco possono essere un ottimo punto di partenza.
Hai
spesso utilizzato gli strumenti del giornalismo per gridare e per
smascherare le strategie del potere, provocando l’ira di molti, negli
anni Ottanta, ad esempio, di ministri come Giulio Andreotti, Bettino
Craxi, Giovanni Spadolini per il loro sostegno al commercio di armi e a
tante guerre. Più recentemente anche Matteo Salvini ti ha dedicato
alcuni dei suoi tweet. Com’è cambiato il giornalismo? Di quale
comunicazione indipendente abbiamo bisogno?
L’informazione
libera fa sempre paura. Quando tocchi alcuni gangli del potere la
reazione è inevitabile, come dimostra, solo per fare uno esempio
abbastanza recente, la vicenda di Daphne Caruana Galizia, la giornalista
maltese che anche due settimane prima del suo omicidio aveva denunciato
le minacce di morte ricevute, le connessioni tra la malavita
organizzata, gli interessi della finanza globale e la corruzione delle
istituzioni politiche. Più importante è la consapevolezza che i grandi media restano sempre in mano ai grandi poteri.
Eppure raccontare in modo diverso è possibile e consente di fare
emergere altri mondi, altri punti di vista, pensiero critico. Insomma,
c’è vita oltre l’ideologia e il dominio del denaro. Ma per imparare a
guardare il mondo in modo diverso e per imparare a raccontarlo in modo
differente bisogna ribaltare anche il modo di fare scuola e, nel caso
dei credenti, anche molti luoghi di crescita nella Chiesa: non è un caso
se al centro di Lettera a una professoressa c’è
la parola, la parola con la quale capire il mondo e con la quale
mostrare una coscienza critica. Ripartiamo da quel meraviglioso testo
scritto don Milani e dagli alunni della scuola di Barbiana.
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L’adesione di Alex Zanotelli alla campagna di sostegno di Comune “Ricominciamo da 3“:Abbiamo bisogno di Comune
È il tempo del dominio della finanza e delle devastazioni ambientali, nel quale coloro che vivono in alto utilizzano la propaganda razzista, e sempre più spesso anche le armi, per proteggere i propri privilegi. Abbiamo bisogno di gettare ogni giorno sabbia negli ingranaggi di quello che a Napoli chiamano “O Sistema”, fondato sull’arroganza del potere e sul denaro. Abbiamo bisogno di farlo dal basso e in tanti modi diversi. In questo cammino niente affatto agevole abbiamo bisogno di essere accompagnati da Comune.
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Questa intervista è stata pubblicata sul Rapporto Diritti globali 2019 (la cui presentazione è in programma a Roma il 4 febbraio) e su Global Rights Magazine (con il titolo La resistenza individuale e collettiva è diritto e dovere di ogni cittadino. Intervista ad Alex Zanotelli).
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