E’ di appena qualche settimana fa la notizia secondo la quale, fedeli al loro ruolo istituzionale di proponenti disposizioni legislative da adottare a tutela dei cittadini dell’UE su questioni che, si ritiene, non possano essere efficacemente gestite a livello dei singoli Stati membri, i componenti la Commissione europea - che, in estrema sintesi, rappresenta il “braccio esecutivo” dell’Unione - hanno ritenuto opportuno avviare una consultazione con le parti sociali per, eventualmente, prendere in considerazione un intervento sul c.d. “salario minimo”.
micromega RENATO FIORETTI
La consultazione dei rappresentanti dei sindacati dei lavoratori e delle imprese rappresenta, in sostanza, il primo passo - della prima fase - della riflessione[1], avviata dalla Commissione, per “Un’ Europa sociale forte per transizioni giuste”.
Vanno intese in questo senso le dichiarazioni del Vicepresidente esecutivo della Commissione, Valdis Dombrovkis[2], e del commissario per il lavoro e i diritti sociali, Nicolas Schmit[3].
La prima cosa da rilevare, di fronte ad affermazioni di tale rilievo, è il peso “politico” delle stesse.
Non a caso, c’è chi, come Andrea Garnero[4], Economista presso il Dipartimento Lavoro e Affari sociali dell’OCSE, evidenzia, in particolare, che il suddetto documento “marca un cambio di rotta significativo nelle priorità di Bruxelles (da <moderazione salariale> si passa a parlare di <salari equi>).
Si tratterebbe, in effetti, di prepararsi a un passaggio che sarebbe riduttivo definire “epocale”; da un’Europa degli affari e della finanza a - addirittura - “un’economia al servizio delle persone” (vedi nota 2), nonché “innovativa ed inclusiva” (vedi nota 3)!
Accantonata, però, almeno per il momento, l’allettante ipotesi che tale “svolta” possa veramente compiersi - realizzando quelli che, personalmente, considero obiettivi più che condivisibili (dal punto di vista delle conquiste sociali collettive cui tutti i cittadini europei avrebbero titolo di aspirare) ma, in realtà, di difficilissima realizzazione - è comunque interessante tornare su di un tema che, nel nostro paese, ha già rappresentato motivo di ampio dibattito.
In questo senso, il Prof. Marco Biagi è stato tra i più noti ed affermati protagonisti.
Si devono, infatti, a lui e a Maurizio Sacconi (all’epoca, già ex socialista convertitosi sulla via di Arcore) alcune “perle” del famigerato “Libro bianco” - dell’ottobre 2001[5] - secondo il quale, all’ipotesi della “Trasformazione dei Ccnl di categoria in Accordi quadro” e “All’esigenza di arrivare alla determinazione di salari reali da rapportare alla produttività territoriale, con una più accentuata differenziazione tra Nord e Sud del paese” (leggi: ritorno alle vecchie gabbie salariali) si aggiungeva l’opportunità di procedere all’istituzione, attraverso un provvedimento legislativo, di un salario minimo (Slm).
Gli stessi Pietro Ichino[6], Tito Boeri e[7] Pietro Garibaldi, unitamente a Paolo Nerozzi[8] e Walter Galbusera[9](non proprio entusiasta), si sono ripetutamente interessati al tema.
È interessante rilevare che lo stesso Carlo Clericetti[10], autorevole componente il Comitato di direzione della rivista online “Eguaglianza & Libertà” - mai molto “tenero” nei confronti delle posizioni espresse dai suddetti esperti - ritiene[11] che la soluzione del salario minimo possa rappresentare “una base certa su cui poggiare le rivendicazioni durante - ma forse soprattutto dopo - il rapporto di lavoro”.
C’è, però, tra loro, pur nella comunanza della posizione di principio - favorevole al provvedimento legislativo - un elemento (che considero dirimente) che li contraddistingue.
Carlo Clericetti, infatti, non individua nel Sml alcuno di quei poteri taumaturgici che tutti gli altri, invece, pretendono gli vadano riconosciuti.
Infatti, a differenza di coloro che (Boeri e Garibaldi) partono dall’assunto secondo il quale “un provvedimento legislativo di questo tipo proteggerebbe le categorie di lavoratori a rischio di emarginazione” e, contemporaneamente (non si capisce in virtù di quale straordinario potere) “rappresenterebbe un’alternativa al lavoro sommerso”, Clericetti ne sostiene l’introduzione perché, con evidente (maggiore) ragionevolezza, si limita a riconoscergli - a favore delle figure meno tutelate e più difficili, per il sindacato, da tutelare - il valore di “una base certa su cui poggiare le rivendicazioni durante - ma forse soprattutto dopo - il rapporto di lavoro”.
La sua speranza, perché solo di questa equilibrata possibilità si tratta, è che, col tempo - da parte dei datori di lavoro che oggi ricorrono a tutta la fantasia possibile, al fine di evadere leggi e contratti di lavoro - prevarrebbe un adeguamento a quanto previsto dalla norma di legge.
È (anche) opportuno evidenziare che i sostenitori del Sml ne sponsorizzano l’istituzione perché ritengono che ciò che è presente nella stragrande maggioranza dei paesi dell’UE apporterebbe, automaticamente, benefici ai lavoratori italiani.
Al riguardo, a prescindere dal fatto che, sistematicamente, ogni qualvolta abbiamo sentito riecheggiare il famoso ritornello “Ce lo chiede l’Europa” piuttosto che “Dobbiamo allinearci all’UE”, ci siamo ritrovati a fare la classica marcia del gambero - è ancora vivo il tormentato iter parlamentare che ha portato al sostanziale superamento dell’art. 18 dello Statuto - c’è da evidenziare che la stessa Commissione, attraverso il comunicato del 14 gennaio, ha già ritenuto opportuno anticipare che le eventuali proposte - laddove la consultazione dovesse produrre concrete ipotesi di lavoro - “rifletteranno le tradizioni nazionali, che si tratti di contratti collettivi o disposizioni giuridiche”.
In questo senso, se è vero che il Sml è già presente in ben 22 paesi dell’UE[12] - dai 2.142 euro del Lussemburgo ai 312 della Bulgaria - è altrettanto vero che, nei paesi in cui non esiste un salario stabilito dalla legge: Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Italia e Svezia, la stragrande maggioranza dei lavoratori è tutelata attraverso la vigenza dei contratti collettivi .
Al riguardo, è utile rilevare che l’Inps dichiara[13] che i Ccnl presenti nel suo archivio per i dipendenti del settore privato hanno un livello di copertura estremamente elevato: coprono, infatti, un totale di 1,5 milioni di datori di lavoro (il 99 per cento delle aziende presenti in Italia) e di 14,7 milioni di lavoratori (pari al 97,6 per cento della forza lavoro impiegata nel settore privato).
Comunque, al fine di poter meglio valutare, nel contesto della situazione italiana, gli eventuali effetti di un provvedimento legislativo di questo tipo, è bene evidenziare alcuni dati statistici che svolgono un ruolo determinante.
Tra questi, è fondamentale rilevare che in Italia la distribuzione del salario orario presenta una <moda>[14] - corrispondente all’imponibile contributivo minimo[15] - pari a 7,30 euro ; contemporaneamente, il salario orario lordo mediano[16] dei lavoratori dipendenti, riferito alle posizioni lavorative nei settori privati non agricoli, è pari a 11,20 euro[17].
Se ne deduce che l’attuale retribuzione oraria (lorda) di euro 7,3 corrisponde[18] a poco più del 65 per cento del salario orario mediano (lordo).
Quindi, un’ipotesi di Sml corrispondente a quella presentata nel 2018 da Nunzia Catalfo, del M5S, che prevede un valore orario pari a 9 euro lordi, porterebbe lo stesso a rappresentare oltre l’80 per cento del valore attuale del salario mediano.
Senza dimenticare che la proposta del Pd - formalizzata dall’ex presidente del Consiglio regionale del Piemonte, Mauro Laus - che prevede un Sml pari a 9 euro netti, supererebbe ampiamente l’attuale misura del mediano!
Tutto questo in un’Europa in cui i valori del Sml oscillano, in termini percentuali, tra il 40 ed il 60 per cento del salario orario mediano. Solo la Francia presenta un indice di Kaitz superiore al 60 per cento.
Tra l’altro, in una discussione di questo tipo, diventa determinante quantificare i costi di un’operazione di così ampia portata.
La risposta è rappresentata da una serie di simulazioni operate dall’INAPP.
L’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (Nota 17) ha, infatti, stimato l’impatto - relativamente al numero dei lavoratori beneficiari e alla stima dei costi - dell’introduzione di un Sml pari a 9 – 8,5 e 8 euro orari.
Nella prima ipotesi, i lavoratori coinvolti sarebbero circa 2,6 milioni mentre il costo totale per le imprese corrisponderebbe a 6,7 miliardi di euro (al netto degli oneri sociali e della quota per il Tfr); con notevoli differenze rispetto alle dimensioni delle aziende e alla loro dislocazione territoriale. Al Sud, infatti, rispetto al totale nazionale, una quota maggiore di lavoratori percepisce una paga oraria più bassa: quindi la spesa sostenuta dalle aziende, per adeguarla al Sml, risulterebbe superiore.
Inoltre, non sarebbe privo di conseguenze il fatto che l’adeguamento dei minimi più bassi, ai 9 euro orari introdotti dalla legge, avrebbe la conseguenza di comprimere i differenziali salariali tra i beneficiari del provvedimento e gli altri lavoratori inquadrati ai livelli immediatamente superiori; con conseguenti rivendicazioni ed ulteriore aumento del costo del lavoro.
Un Sml fissato a 8,5 euro orari coinvolgerebbe, secondo la simulazione dell’Istituto, oltre 1,9 milioni di lavoratori; con un costo per le imprese di 4,4 miliardi; mentre un valore fissato a 8 euro inciderebbe su oltre 1,2 milioni di lavoratori, con un costo pari a 2,7 miliardi di euro.
In definitiva, secondo la nota prodotta dall’Inapp, a qualunque livello fosse fissato, un Sml in Italia inciderebbe, in misura particolare, sulle piccole e piccolissime imprese del Mezzogiorno; con conseguenze che non è difficile immaginare: riduzione di manodopera oppure, in alternativa, ulteriore ricorso al “sommerso”. Esattamente il contrario di quanto garantisce la maggioranza dei sostenitori di tale misura.
Inoltre, non è senza significato un importante particolare: l’intera Nota trasmessa dall’Inapp alla XI Commissione della Camera, dall’introduzione alle note finali, fa sempre ed esclusivamente riferimento ai costi e benefici eventualmente prodotti, dall’introduzione del Sml, nei confronti dei lavoratori dipendenti; l’unica distinzione la opera tra tempo pieno e parziale. Mai alcun accenno, né riferimento, a potenziali effetti della misura rispetto a lavoratori - a vario titolo - non subordinati e/o non “coperti” da contratti collettivi.
Qualcuno, a questo punto, potrebbe suggerire di ricorrere all’ipotesi che Pietro Ichino, da ormai molti anni, continua a riproporre: un salario minimo legale da individuare a un livello inferiore rispetto agli attuali minimi tabellari! Una soluzione che, molto probabilmente, più che consentire la copertura di quei rapporti individuali non riconducibili ai contratti nazionali - come da lui auspicato - finirebbe con il produrre, da parte dei datori di lavoro, un’irrefrenabile corsa alla disdetta dei contratti collettivi vigenti e la pretesa, in ossequio alla nuova legge, di retribuire tanti lavoratori in base al nuovo parametro orario.
In questo senso, credo non vada dimenticata la brillante soluzione adottata, all’epoca, da Marchionne allorquando, per poter tranquillamente applicare gli accordi (a “perdere”, per i lavoratori) conclusi - solo con Cisl e Uil - per Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco, ritenne opportuno sganciarsi da Confindustria.
Tra l’altro, c’è da considerare che è ancora tutta da dimostrare la possibilità che, un eventuale Sml possa, automaticamente, applicarsi a tutti quei lavoratori, sottopagati e/o particolarmente “precari”, che oggi non rientrano tra i subordinati. Alludo, in particolare alle finte partite Iva e a quelle tante (false) “collaborazioni” che, in effetti, nascondono veri e propri rapporti di lavoro dipendente.
In questo quadro, è interessante riportare anche la posizione di coloro i quali, al pari di Francesco Bacchini[19], Professore di Diritto del Lavoro presso l’Università di Milano -Bicocca, ritengono che un eventuale Sml, “inserito in un mercato del lavoro sempre più orientato a remunerare la professionalità piuttosto che le qualifiche definite dai contratti collettivi, rischia di rappresentare una misura anacronistica”. Anche perché, aggiunge: “Laddove hanno già introdotto un Sml la questione dei lavoratori sottopagati e la diffusione di pratiche illegali sono, purtroppo, ancora presenti”.
A maggior ragione, in un paese come l’Italia, in cui persistono fenomeni degenerativi cui pare impossibile riuscire a porre freni - i più alti indici, tra i paesi dell’UE, di evasione fiscale, contributiva e lavoro sommerso - l’eventuale determinazione di un salario legale superiore agli attuali 7,30 euro (di cui alla summenzionata <moda>) correrebbe il concreto rischio di determinare, esclusivamente, ulteriore ricorso al lavoro “nero” e/o “grigio”; senza, peraltro, produrre benefici per quelle migliaia di lavoratori che operano ai sensi di contratti “pirata” o, addirittura, senza alcuna apparente garanzia contrattuale.
Infine, ma senza alcuna pretesa di ritenere conclusa la discussione, non è ininfluente tenere presente che la determinazione di un salario minimo attraverso lo strumento legislativo sarebbe (anche) pesantemente influenzata dal “clima” politico - di volta in volta - vigente nel paese; così come, in effetti, avviene negli Usa, in cui il valore del Sml è determinato dal Congresso - ed eventualmente aggiornato dai singoli Stati - in stretta dipendenza con la maggioranza politica del momento.
Più opportunamente e, forse, meglio per tutti, pensare a una legge sulla rappresentanza sindacale; dando così piena attuazione all’art. 39 della Costituzione e alla possibilità di estendere erga omnes la validità dei contratti nazionali.
P.S. solo per curiosità e a semplice titolo di conoscenza, allego la Fig.1 che riporta i valori dei salari minimi nazionali presenti in Europa[20] espressi direttamente in Parità di Potere d’Acquisto (PPP); espressione del loro reale potere d’acquisto nei diversi paesi.
NOTE
[1] Fonte: “sito ufficiale dell’Unione europea”, Comunicato stampa del 14 gennaio 2020
[2] “La Commissione vuole garantire che le persone restino al centro dell’attenzione e che l’economia sia al loro servizio”
[3] “L’economia sociale di mercato innovativa e inclusiva dell’Europa deve incentrarsi sulle persone, offrendo loro posti di lavoro di qualità con salari adeguati” e ancora: “Dobbiamo continuare ……………….., affinché tutti gli europei possano vivere con dignità e ambizione”
[4] Fonte: “lavoce.info”; “Sul salario minimo la Commissione lancia le sue idee”
[5] “Proposte per una società attiva e per un lavoro di qualità”
[6] Fonte: intervista del 16 novembre 2011; da parte di Eleonora Voltolina
[7] “Un nuovo contratto per tutti”; Editore chiarelettere, ottobre 2008
[8] Primo firmatario del Ddl nr: 2000 (art.6); presentato alla Presidenza del Senato il 5 febbraio 2010
[9] “Salario minimo legale utile, ma non farà miracoli”; 11 gennaio 2018
[10] Già direttore di “Affari & Finanza”, prestigioso supplemento economico de “La Repubblica”
[11] Fonte: “eguaglianza&libertà” del 9 febbraio 2014, “Il sindacato e i frammenti ricomposti”
[12] Fonte:” Il Fatto Quotidiano” del 16 gennaio 2020
[13] Fonte: XVIII Rapporto Annuale Inps; pubblicato in data 10 settembre 2019
[14] In un’indagine statistica rappresenta il valore che si presenta con la maggiore frequenza
[15] Circolare Inps nr: 11 del 23 gennaio 2015
[16]Corrispondente al valore che si colloca al centro tra quelli rilevati (se di numero dispari) oppure corrispondente alla media aritmetica dei due valori centrali (se di numero pari). Nella seguente ipotesi, ad esempio, considerati i seguenti 6 diversi salari orari: di euro 8,5 – 9,5 – 11,2 – 15,3 – 18,1 – 22,2; il salario mediano sarà così determinato: 11,2 + 15,3: 2 pari a euro 13,25
[17] Fonte: INAPP (ex ISFOL); “Nota per il Presidente della XI Commissione della Camera dei Deputati”, del 21 giugno 2019
[18] Tale valore percentuale è comunemente indicato quale “Indice di Kaitz”
[19] Fonte: “IPSOA, Professionalità Quotidiana”, “Salario minimo legale. È proprio necessario?”; del 30 novembre 2019
[20] “Il salario minimo in Europa: differenze, potenzialità e problemi” del 20 marzo 2018; a cura di Corrado Pensabene e Massimo Aprea
Renato Fioretti
(24 gennaio 2020)
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