infosannio.wordpress.com (ilfattoquotidiano.it)
La convocazione ‘definitiva’ delle urne spetta ora al
Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che deve emanare un
decreto ad hoc dopo la deliberazione del Consiglio dei ministri.
Per
scegliere la data del voto, quest’ultimo aveva a disposizione sessanta
giorni a partire dal 23 gennaio, data in cui è stata depositata
l’ordinanza della Cassazione che ha dato il via libera all’iniziativa
sottoscritta da un fronte vario di 71 senatori contrari alla riduzione
di 345 ‘poltrone’ parlamentari, compreso un ‘grillino’.
Palazzo Chigi, quindi, ha evaso la pratica in tempi
record: appena quattro giorni.
Non solo: per il giorno in cui tenere il
referendum, il governo poteva scegliere una data compresa tra il 50esimo
e il 70esimo giorno successivo allo svolgimento del Consiglio dei
ministri, quindi tra gli ultimi giorni di marzo e la prima domenica di
giugno.
Anche in questo caso, il consiglio dei ministri ha deciso di
scegliere la prima data utile, quindi alla fine di marzo.
Il primo rappresentante politico a parlare è stato il
capo politico ‘reggente’ del Movimento 5 Stelle Vito Crimi: “Oggi
cominciamo a parlare delle cose da fare subito. Il primo appuntamento
che abbiamo è il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari:
la prima cosa di cui dobbiamo parlare è questa”.
Il voto referendario di marzo è la diretta
conseguenza di quanto accaduto lo scorso 18 dicembre, quando tre
senatori (Nannicini del Pd, Cangini e Pagano di Forza Italia) hanno
presentato le 64 firme necessarie (poi divenute 71) per chiedere il
referendum confermativo sul taglio dei parlamentari, riforma targata 5
Stelle e già approvata a ottobre 2019 dalla Camera all’unanimità.
Sessanta giorni dopo, però, la politica ha provato a ribaltare il
tavolo, per cercare di evitare la sforbiciata a Montecitorio e Palazzo
Madama. Considerando che non si tratta di un voto abrogativo, il
referendum del 29 marzo non avrà quorum.
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