Ha contribuito ieri anche la Stampa alla ricerca di ritratti agiografici da aggiungere all’album di famiglia orbato ormai della vicende della vera dinastia reale i cui ultimi rami genealogici contribuiscono solo in veste di indolenti e pallidi azionisti o di zerbinotti scapestrati.
E ci ha raccontato con gli accenti toccanti del suo Specchio dei Tempi, la tenera storia di una coppia un po’ particolare che convola a nozze, intitolandola “Parla il cuore” e indicandola agli emozionati lettori come un’allegoria della vita e dei sentimenti che l’hanno vinta sul tempo che passa, sulle rughe, sulla vecchiaia e la solitudine cui condanna gli uomini, rievocando, per chi li conosce, gli ultimi versi della lirica “Alla vita” di Hikmeth, quelli che recitano “Prendila sul serio ma sul serio a tal punto, che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi non perché restino ai tuoi figli, ma perché non crederai alla morte pur temendola, e la vita peserà di più sulla bilancia”.
Eh si, perché l’irriducibile protagonista maschile della vicenda ha 76 anni – mentre la leggiadra fidanzatina ne conta appena 37 – e approda con spericolata audacia al suo quinto matrimonio facendo dire alla impavida cronista che “il matrimonio nella terza età è, io credo, l’idea stessa del matrimonio come legame tra due persone. Non ci si sposa per fare figli, per costruire una o due carriere. Ci si sposa per essere in due e basta. La vita continua, dice il cuore di chi si sposa da vecchio” perché così “restituisce alla scelta di sposarsi il concept della condivisione disinteressata”.
Ma come? Direte voi, lo storico quotidiano torinese -noto per essere da sempre interprete del benpensantismo più retrivo, misoneista e bigotto, quello che in anni non lontani approvava i pogrom e le pulizie etniche a carico di insediamenti rom e accampamenti di poveracci perlopiù stranieri, quello che gongola per le piazze Si Tav che contrastano con la delicata fermezza delle signorine Felicita gli energumeni che si oppongono al veloce trasferimento sui buffet e comò di oltralpe di gianduiotti e tartufi – deve aver perso il lume della ragione a squagliarsi per la relazione ovviamente opaca di una intraprendente giovane donna con tutta probabilità ucraina o moldava che ha irretito un ex ribaldo costretto dagli anni e forse da qualche patologia a consegnarsi alle sue cure opache, regalandole in cambio dei servigi squallidi e calcolatori permesso di soggiorno, status e rispettabilità.
Macchè, state tranquilli, basta guardare ai nomi della ineffabile coppia che ha originato il delicato concept a firma Boralevi, per capire le ragioni di tanto entusiasmo.
Perché lui è Claudio Martelli, delfino dell’ ex leader oggi alla ribalta postuma in qualità di compianto statista costretto immeritatamente all’esilio, un beneficiario con altri della cupola post nenniana dei giovamenti del Conto Protezione, ritiratosi poi a vita non abbastanza privata in modo da dedicarsi a buone letture e un po’ meno buone scritture, quelle settimanali sul settimanale Oggi, cui possiamo immaginare sarà riservata l’esclusiva del reportage delle festose se non fastose nozze.
La “lei” invece è Lia Quartapelle, un’altra ex protégée de luxe, oggetto dei favori fervidi e calorosi di Renzi che la volle dappertutto in veste di “ambasciatrice” e interprete della sua “visione” atlantica, tanto da conferirle un discusso seggio alla Camera nel collegio di Milano 13 e un trono ben meritato nella Trilaterale.
Il suo curriculum e le sue referenze, compresa quella che riguarda il ruolo svolto per combattere oscure trame russe intese a sostenere l’impeachment di Mattarella dopo il suo diniego alla candidatura di Savona all’Economia, confermano senza dubbi o possibili sospetti a che la sua scelta non può che essere dettata da focosa passione, slancio affettivo e disinteressato, consolidamento per legge di affinità e empatie superiori per qualità e durata a quelle di qualsiasi giovane donna di belle speranze ma inferiori meriti, inferiore ceto, inferiore appartenenza sociale, dunque inferiore credibilità che si aggiudichi i favori e il nome di un anziano benestante che conserva ancora una posizione e una visibilità nella società.
Nemmeno mi soffermo a immaginare che trattamento avrebbe subito anche da parte dei fan del bon ton e del politically correct una coppia speculare, lei 76enne e lui con 40 anni di meno, andando a ritroso nelle cronache rosa dei settimanali cui collabora lo sposino in oggetto, nemmeno mi soffermo sulla inguaribile indole piccolo borghese e provinciale della stampa italiana, che si appassiona alle defezioni dei reali inglesi dalla Corte più ancora che dall’Ue.
E nemmeno mi soffermo su quell’altro tratto altrettanto mediocre che la connota, quel voyerismo applicato uniformemente ai talami, ai confessionali e alla politica, che si è prestato a fare da ripetitore di foto di famiglia dei golpisti e dei puttanieri, con pastellate cronachette rosa divulgate per convincere il popolo che padroni e potenti sono come noi, con le loro piccole miserie ma con in più le loro grandi virtù, che devono indurre al perdono per certe leggerezze e certi soprusi.
Invece mi soffermo eccome, a osservare che non è un caso che i nuovi fermenti intitolati e ispirati al trionfo dell’amore piacciano tanto a antiche formazione e alla loro stampa cocchiera perché raccomandano la fine dell’odio che più li spaventa, quello di classe e della ribellione legittima che dovrebbe provocare.
E dire che dovrebbero far capire a tutti – anche a quelli che si sentono ancora protetti dalla percezione illusoria di essere esenti dalle disuguaglianze più crudeli, per via dell’appartenenza a una classe che conserva ultimi residui di privilegio – che amore, solidarietà, affetti, reputazione, libere inclinazioni, scelte personali, vincoli di amicizia, di sostegno e assistenza, una vecchiaia rispettata e dignitosa, in una parola i “diritti” se ancora non sono merce riconosciuta sono destinati a diventarla, tanto sono stati resi negoziabili, contrattabili al minimo in cambio di imitazioni di garanzie elargite e riconoscimenti offerti come mancette per far dimenticare la rinuncia a quelli fondamentali, che credevamo inalienabili e dei quali ci siamo lasciati derubare.
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