Alla
fine l’austerità interna serve a far crescere la “concorrenza”.
Se poi
quella concorrenza contribuisci a finanziarla, allora sei proprio un
coglione senza speranza.
Le
politiche dell’Unione Europea, volute soprattutto dalla Germania
“ordoliberista”, hanno prodotto negli anni questa situazione e a
certificarlo è chi se ne intende: Natixis e IntesaSanPaolo.
La
loro ricerca ha “scoperto” che il principale finanziatore del debito
pubblico statunitense è proprio la sorvegliatissima eurozona, che
nell’arco di meno di dieci anni (dal 2011 ad oggi) è passata dal
detenere 502 miliardi di dollari in titoli di stato Usa (i treasury bond)
a ben 1.121,5.
I 27 paesi dell’Unione Europea non si muovono in modo
diverso, visto che sono passati da 699 a 1.5687 miliardi.
Cina
e Giappone, che fin qui avevano fatto da “cassaforte” per la spesa
pubblica statunitense stano ora al di sotto di certe cifre, in base a
considerazioni sia politiche che economiche (davvero il dollaro è così
solido?).
Se
poi si va a guardare agli investimenti diretti nel settore privato la
situazione è ancora peggiore: dalla Ue agli Usa sono volati 2.569
miliardi, contro i 2.184 che hanno fatto il percorso inverso.
In
pratica l’Europa in stagnazione preferisce far crescere gli Stati Uniti
e foraggiare le politiche dell’odiato Trump piuttosto che investire per
far uscire l’Europa dalle secche.
Naturalmente
questo è un modo di presentare la situazione con un linguaggio abituale
nei giornali mainstream, ma che non permette di vedere la realtà delle
cose.
Non
sono infatti né gli Stati, né l’Unione Europea a decidere di investire
qui o là nel mondo. Quei capitali che vanno a cercare rendimenti
migliori in altri continenti, e quindi anche negli Usa, sono tutti privati.
La loro logica è insomma la ricerca del profitto individuale
(societario), non a realizzazione di un interesse collettivo e pubblico.
A
far muovere i capitali sono insomma le normali “dinamiche di mercato”,
che però risentono delle scelte idiote della Ue e, per compensazione,
della Banca Centrale Europea.
L’austerità
ha congelato gli investimenti pubblici, e quelli privati si sono ben
guardati dal sostituirli, perché i settori in cui “il pubblico” una
volta investiva non presentano grandi margini di profitto immediato
oppure sono “maturi”, ancorché strategici (si veda il caso dell’acciaio: richiede massicci investimenti e presenta “ritorni” sul lunghissimo periodo).
Per
cercare di “smuovere” l’economia reale del Vecchio Continente, la Bce
ha proceduto per una lunghissima fase con la politica dei “tassi di
interesse zero”, che sono diventati addirittura tassi negativi per quanto riguarda i depositi delle banche presso la Bce.
Ma se “il denaro non rende niente”,
qui in Europa, è assolutamente normale che vada altrove a cercare una
qualche redditività (tassi di interesse superiori a zero, ma su titoli
“sicuri”, come quelli Usa).
Del resto, un bund decennale tedesco in questo momento “rende” (ossia costa) -0,26%, mentre il treasury statunitense regala un modesto ma positivo +1,78%.
Per apparente paradosso, dunque, la grande massa di liquidità emessa dalla Bce con i quantitative easing, che continuano tuttora al ritmo di 20 miliardi al mese, non solo non defluiscono
verso l’economia reale europea, ma prendono direttamente la strada per
gli Stati Uniti.
Dove contribuiscono invece a tener su tutte le bolle
speculative di Wall Street (nel settore privato) e a finanziare
l’economia reale Usa (comprando i titoli di stato e permettendo a Trump
di “stimolarla” con investimenti pubblici).
Quello che qui è vietato,
insomma, è perfettamente normale dall’altra parte dell’oceano. Ma,
soprattutto, quello che l’Unione Europea non permette di fare, qui,
contribuisce a farlo fare altrove.
E addirittura fornisce a Trump le
munizioni per condurre al meglio una guerra commerciale che ha ormai
come bersaglio esplicitamente l’Europa e in primo luogo la Germania.
Che geni che ci sono, a Bruxelles e Francoforte!
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