domenica 26 gennaio 2020

"Oggi né De Gasperi né Togliatti sposterebbero un voto". Intervista a Michele Ainis.

Il costituzionalista all'Huffpost: "Non è più il sistema che amministra le emozioni, ma sono le emozioni che governano il sistema. Per certi aspetti, è una nuova tirannia".

Sulla via Emilia, la politica ha barato: “È stata una campagna elettorale giocata con le carte truccate. Sulla scheda, gli elettori troveranno il nome di Lucia Borgonzoni, contrapposto a quello di Stefano Bonaccini. Eppure, dietro la candidata del centrodestra, vedranno l’ombra di Matteo Salvini, il leader che l’ha nascosta alle persone che dovrebbero eleggerla”.


Le pazzie della classe dirigente italiana sono l’oggetto dello studio di Michele Ainis – uno fra i più importanti costituzionalisti italiani – da svariati anni: paradossi, sbalzi d’umore, incoerenze, capricci, complicazioni, arabeschi normativi, latenze e supplenze.
Per nominarle tutte, tutte insieme, ha inventato un concetto: Demofollia, che dà il titolo al suo ultimo libro (Nave di Teseo): “Non mi spingerei a dire che l’eventuale sconfitta di Bonaccini alle elezioni in Emilia Romagna sarebbe la prova della follia collettiva degli emiliano-romagnoli”.
I quali – tutti lo sanno, tutti lo dicono, tutti lo certificano, a destra, a sinistra e al centro – sono stati dal governatore uscente ben amministrati.

“Viviamo in un tempo in cui la soggettività prevale sull’oggettività. Conta meno quello che fai di quello che comunichi. Meglio sarebbe dire: scomunichi.
La responsabilità non paga elettoralmente.
Si ricorda? Il Partito Democratico ne diede ampia prova quando acconsentì alla nascita del Governo di Mario Monti, incaricato di varare misure impopolari, ma necessarie. Alle urne, la pagò carissima”.
Ma, certo, la politica si muove sempre sul campo di battaglia delle emozioni e delle ragioni, dell’esplosione e del controllo, del furore e del calcolo, dell’avventura e della scaltrezza: “La vita collettiva degli uomini, da sempre, ha di fronte a sé la sfida del dominio delle passioni. Essa dovrebbe tendere – seppure destinata a non raggiungerla mai – alla terra promessa delle scelte razionali”.
Cosa c’è di nuovo oggi, Professore?
C’è di nuovo che, in questa congiuntura – basta vedere anche cosa succede nell’America di Trump – non è più il sistema che amministra le emozioni, ma sono le emozioni che governano il sistema.
È una nuova tirannia?
Per certi aspetti, lo è. E non riguarda solo lo show della politica: riguarda anche le leggi dello stato. Perché, in Italia, durano così poco? Perché spesso vengono redatte in fretta e furia, sull’onda dell’ultimo caso di cronaca nera, oppure quando scoppia uno scandalo che riguarda un partito, per dare un segnale all’opinione pubblica. Così anche la sana astrattezza della legge viene contaminata dall’emozione del momento appena passato.
Un buon governo come dovrebbe trattare le passioni, invece?
La politica dovrebbe raffreddare le passioni. Non incendiarle. È vero che non si può fare politica solo con i numeri delle statistiche, dei calcoli, delle previsioni. Ma il sentimento, che pure è necessario alla politica, dalla politica dovrebbe essere sottoposto a uno scrutinio razionale. Non dico che le passioni debbano essere congelate. Dico, però, che servirebbero delle passioni fredde.
Ha parlato di Trump, ma anche Obama suscitava passioni: ci sono passioni buone e passioni cattive?
Bisogna distinguere le passioni dalle pulsioni. Queste ultime rispondono a delle esigenze immediate e incontrollabili. Le prime, invece, percorrono una strada più lunga e gestibile. Le pulsioni travolgono. Le passioni alimentano. Perciò, sono necessarie alla vita pubblica. Ma, se sfuggono al controllo, possono generare disastri.
È più responsabilità dei governanti o dei governati?
Difficile distinguere così nettamente. I politici, oggi, per avere successo, devono essere degli animali da palcoscenico. Anche Obama lo era. Stregava le folle. È chiaro che oggi né De Gasperi né Togliatti sposterebbero un voto. La rete non ha fatto altro che amplificare il tratto spettacolare della politica. La sua immediatezza. Tutta benzina nel serbatoio del populismo.
Il ritorno al proporzionale è acqua sul fuoco?
L’idea di poter tornare alla Prima Repubblica è un’illusione. Non ci sono più quelle condizioni storiche. Non c’è la Guerra fredda. Non c’è la Dc sempre al governo, né il Pci sempre all’opposizione. Non ci sono i partiti, i partiti politici veri. Quelli di oggi sono assembramenti intorno a un leader. Può esistere Forza Italia senza Berlusconi? E la Lega senza Salvini sarebbe la stessa Lega? La ragione sociale di un partito odierno coincide con la presenza di un leader. Italia Viva di Renzi è l’ultimo esempio.
Non c’è pure un potere giudiziario più forte di ieri?
La giustizia si è politicizzata. Sotto due aspetti: da una parte, l’incapacità del parlamento di scrivere delle buone leggi trasferisce sempre di più all’interpretazione del giudice il compito di dare un senso all’abracadabra formulato nelle norme. Dall’altra, ogni procedimento giudiziario viene usato dalla politica per alimentare la propria corsa elettorale. Sino alla novità – che abbiamo visto all’opera in questi ultimi giorni di campagna elettorale – di un politico come Salvini, che vorrebbe essere al più presto spedito a processo per prendere più voti in Emilia Romagna; e di una maggioranza che ha fatto di tutto per non farlo processare, per il motivo speculare: non perdere voti.
In Emilia si gioca il futuro del Governo?
Non vota solo l’Emilia Romagna: vota anche la Calabria. È singolare che nessuno ne parli. Certo, la sinistra l’ha data per persa e si è concentrata sull’Emilia Romagna. Però, non è che i calabresi siano dei cittadini di serie B rispetto agli emiliani.
Chiaro. Ma l’Emilia rischia di avere un peso nazionale.
Ma dipende da come va a finire. Per Matteo Salvini, anche una sconfitta per pochi punti, sarebbe una vittoria. Invece, la sinistra vincerà solo se, in Emilia Romagna, riuscirà a dare qualche punto al centro-destra.
Ha visto Salvini che citofona a un presunto spacciatore?
Ho visto, purtroppo. Una pagina non commendevole della recita dei nostri attori politici.
Solo questo?
No, c’è un salto di qualità. Perché qui non si tratta più della quotidiana zuffa tra gli uni e gli altri, nel teatrino della politica. Qui si è messa in mezzo una persona comune. Un uso cinico della vita privata. La privacy è una diga contro l’invadenza dei poteri pubblici e privati nella sfera personale. Salvini l’ha travolta.

Nessun commento:

Posta un commento