lunedì 27 gennaio 2020

La Giornata della Memoria compie 20 anni, ma la situazione è peggiorata.


A vent’anni dall’istituzione della Giornata della Memoria occorre ammettere una verità semplice e triste: la situazione è peggiorata.


Se infatti con questa ricorrenza intendiamo il numero elevatissimo di iniziative dedicate al ricordo della Shoah - molte delle quali di qualità assoluta -, possiamo definirci soddisfatti.
Ma se con la Giornata aspiravamo invece a una Memoria attiva, che non monumentalizzasse il genocidio degli ebrei (e rom, sinti, omosessuali, oppositori politici), e costruisse invece un senso di responsabilità diffuso per una società più giusta, dobbiamo allora dirci che le cose sono andate diversamente.

La Giornata della Memoria compie 20 anni, ma la situazione è
Non è certo colpa della Giornata della Memoria. 
Ma qualcosa evidentemente è successo.
Come al solito gli italiani sembrano accorgersene chiaramente.
In una ricerca SWG condotta nel novembre 2019, il 55% degli intervistati riconosceva – con gradi diversi di condivisione – di giustificare in qualche modo gli episodi razzisti in continuo aumento nel nostro paese. Non solo.
Un’altra indagine, effettuata da Euromedia Research per l’Osservatorio Solomon nelle scorse settimane, analizza le percezioni degli italiani sull’antisemitismo: secondo il 35,6% del campione questo è un atteggiamento diffuso (il numero sale al 47,3% tra i 18 e i 24 anni), in aumento per un italiano su cinque.
Non mancano i negazionisti totali o parziali, cioè l’11% (undici, più di uno su dieci!) che non crede alla Shoah come viene raccontata, mentre secondo il 33,6% del campione la popolazione ebraica in Italia oscilla tra il 2 e il 10% del totale (in verità ammonta allo 0,06%, circa 23 mila persone).

Né va meglio ai musulmani: il 36,7% del campione dichiara candidamente di essere poco o per nulla favorevole a questa comunità.
Molto interessanti sono le cause di tutto ciò, sempre a parere dei rispondenti, cioè grazie all’auto-percezione. Il 37% sostiene che queste pulsioni dipendano dal clima di odio generale che si sta diffondendo nel nostro paese; il 29,7 fa dipendere ciò dall’emergere di partiti politici e movimenti estremistici; un italiano su quattro ha assistito a post offensivi sui social media (e qui supponiamo che la soglia di indignazione sia ormai piuttosto alta, altrimenti il dato sarebbe probabilmente più macroscopico), il 45,4% ritiene che il conflitto israelo-palestinese generi antisemitismo.
Con questi numeri nessuna parte politica può davvero scagliare la prima pietra. Nessuno può dirsi del tutto innocente. Il che ci porta a fare tre considerazioni:
  1. La Giornata della Memoria si è innestata su un ventennio di migrazioni e rivoluzione digitale. Quest’ultima in particolare ha trasformato il nostro modo di vivere, di interagire e di conoscere. Le conseguenze di tutto ciò sono ancora largamente imprevedibili, ma è già nozione comune il fatto che i social media costituiscano anche un formidabile problema culturale, democratico, psicologico e sociale. La politica ha spesso sfruttato tutto ciò per accaparrarsi voti: in questo contesto, il rischio fortissimo è che l’impegno della scuola, degli insegnanti e delle istituzioni nel tenere viva la Memoria sia semplicemente un tentativo di fermare con le mani il vento minaccioso dell’intolleranza crescente, diffusa e ignorante/inconsapevole.
  2. La destra si comporta in modo subdolo e pericoloso. Non è forse elegante infierire oggi su Matteo Salvini, ma va necessariamente segnalato – usando lui come rappresentante di un mondo internazionale ben più ampio – che la sua difesa acritica dello Stato e del governo d’Israele nasconde come un paravento rapporti opachi con il mondo dell’estrema destra, oltre a un linguaggio e a comportamenti che, consciamente oppure no, incattiviscono la società al fine di incrementare i consensi. Le battaglie sull’immigrazione clandestina o la giustizia porta a porta degli ultimi giorno sono esempi inequivocabili e tragicamente evocativi di un clima di odio che si sperava relegato nei bassifondi della Storia.
  3. Neanche a sinistra possiamo stare tranquilli. Innanzitutto, perché è difficile non ammettere una certa subalternità culturale agli atteggiamenti pericolosi e scanzonati appena descritti. E poi perché è innegabile che vi sia un collegamento tra quel sentimento ostile allo Stato d’Israele e l’antisemitismo (rileggiamo i dati sopra). Lo afferma lo stesso presidente Sergio Mattarella, quando rammenta che l’antisionismo è la forma moderna di antisemitismo. Non parlo qui del Pd, la cui posizione mi pare inequivocabile rispetto al diritto all’esistenza di Israele. Mi riferisco piuttosto a una humus culturale diffusa, i cui frutti perversi possiamo osservare più chiaramente all’estero: pensiamo al “caso-Corbyn” nel partito laburista inglese, o alle posizioni espresse dal leader francese Jean-Luc Mélenchon in Francia. Anche a sinistra può proliferare rapidamente un virus che, come le epidemie di questi giorni, si è mostrato nei secoli capace di “mutare”.
Karel Stojka, sopravvissuto ad Auschwitz, ha dichiarato: “Non sono stati Hitler o Himmler a deportarmi, picchiarmi, a uccidere i miei familiari. Furono il lattaio, il vicino di casa, il calzolaio, il dottore, a cui fu data un’uniforme e credettero di essere la razza superiore”.
Ricordiamocelo ogni giorno, e non solo oggi. Dipende tutto da noi.

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