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I fenomeni migratori fanno parte della natura. Sono
sempre esistiti e sempre esisteranno. Riguardano gli esseri umani come
pure il resto degli animali; del resto è assolutamente ovvio che un
essere vivente capace di muoversi sia portato ad andare dove esistono
condizioni di vita migliori. Cosa tanto più vera quanto più le
condizioni di partenza sono difficili.
Questo fatto (che sarà pure banale ma non viene mai preso in
considerazione) ci dovrebbe far capire che avere un certo numero di
persone che dall’Africa, ma non solo, si trasferisce in Europa è una
cosa del tutto normale e inevitabile. Il problema vero nasce quando il
“certo numero” aumenta improvvisamente, come succede da qualche anno a
questa parte.
Lo sport nazionale sull’immigrazione è diventato il “che fare?”,
rispetto al quale si sono formate due squadre nettamente distinte: da un
lato quelli secondo cui dobbiamo accoglierli a prescindere, dall’altro
chi invece pretende di impedirne l’arrivo in ogni modo. Due posizioni
che di solito hanno un elemento in comune: nessuno si chiede il perché. Il che rende il dibattito una pura finzione, giocato sulla pelle di migliaia di poveri disgraziati.
Le cause dei fenomeni migratori sono diverse:
carestie, difficoltà economiche, guerre, malattie, mancanza di lavoro
sono solo alcune, e citarle genericamente è facile. Più difficile è
andare a fondo e vedere quali responsabilità ci sono dietro a tante
tragedie. Il perché è presto detto: in molti casi i responsabili siamo
noi, i paesi economicamente più sviluppati.
Circa cinquanta anni fa il colonialismo è stato superato, le nazioni
del terzo mondo hanno conquistato la propria indipendenza e si sono
avviate per la strada dello sviluppo economico, in cerca di quel
benessere al quale ogni persona ha diritto. Un percorso
purtroppo minato, già nel suo disegno iniziale, da un difetto d’origine:
i modelli di ispirazione erano, e sono tutt’ora, quelli dei paesi più
avanzati. Questo partendo dal presupposto, sbagliato, che quei
modelli potessero funzionare per tutti. Ma la ricetta universale che
funziona in qualsiasi situazione non esiste, e in tanti lo hanno
scoperto a proprie spese.
Oltre a questo, il punto davvero critico nei rapporti con il terzo mondo è dato dal fatto che il
colonialismo è stato superato solo sulla carta, ma è ancora oggi
presente come, e forse in modo anche più radicale, nei decenni e nei
secoli passati.
L’Africa in particolare, ma anche paesi del medio oriente e di altre
zone, viene sistematicamente saccheggiata delle sue risorse naturali;
uno sfruttamento, dettato dalle logiche commerciali, che trasferisce
immense ricchezze verso i paesi più ricchi e lascia a quelli che
dovrebbero esserne i legittimi proprietari solo devastazione e miseria.
Il tutto grazie a governi fantoccio che spesso vengono messi lì
appositamente per questo scopo da coloro che poi si arricchiscono. Il tutto grazie alle guerre che periodicamente vengono scatenate quando ci si ritrova di fronte ad un governo poco incline a piegarsi agli interessi dei più ricchi.
I nostri paesi, e più specificatamente i nostri governi e le grandi
aziende che di questo saccheggio raccolgono gli utili, sono responsabili
per tutto questo, e sono quindi responsabili per l’anomalo flusso di
immigrati, morti inclusi, che oggi si riversa sul nostro territorio.
In cosa si traduce allora l’aiuto che si dovrebbe dare ai cittadini
dei paesi del terzo mondo? Nell’aiutarli “a casa loro”, come dicono
ipocritamente tanti il cui unico desiderio è di non vedere intorno a sé
queste persone? Magari. Sono convinto che a nessuno faccia piacere dover
abbandonare la propria terra. Ma aiutarli a casa loro significa far sì
che possano organizzare la propria vita e il proprio paese come più gli
piace, senza imporre i nostri modelli, senza pretendere nulla in cambio,
senza influenzare le loro scelte. Aiutarli cioè, se e come loro
desiderano essere aiutati. Accettando quindi che possano voler fare da
soli.
E se questo significa dover rinunciare al loro petrolio, ai loro
diamanti, alle loro terre fertili… pazienza. Ci organizzeremo con quello
che abbiamo. Poi col tempo potremo anche ricominciare a trattare con
questi paesi uno scambio reciproco, ma basato su rapporti paritari.
Se invece non siamo disposti a rinunciare a tutto questo e preferiamo mantenere vivo il colonialismo, allora dobbiamo essere pronti a pagarne il prezzo: ci teniamo gli immigrati.
E se ci rimane un briciolo di umanità, non possiamo permettere a
questa gente di avventurarsi nel mare senza sapere se sopravviveranno:
li andiamo a prendere noi. Organizziamo un servizio di traghetti
che dia almeno la sicurezza di arrivare a destinazione vivi e vegeti,
per poi procedere ad uno smistamento ordinato di cui ogni paese, in base
agli utili raccolti dalle sue aziende, deve farsi carico. Se non altro
verrebbe stroncato il business degli scafisti.
Il dio denaro ci insegna che ogni cosa ha un prezzo: l’immigrazione è il prezzo del colonialismo.
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giovedì 14 giugno 2018
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