martedì 12 giugno 2018

Duchamp, l'artista più "politico" e "sociale" del secolo scorso.

Il '68 non è solo la data della grande e diffusa sollevazione contro la società borghese, è anche la data della morte di Marcel Duchamp, l'artista più influente del XX e XXI secolo, più di Picasso.
 

Ma le due cose, il '68 e Duchamp, a prima vista non coincidono, anzi sembrano proprio escludersi. Duchamp fu un artista poco incline a mostrarsi partecipe degli eventi politici e sociali a lui contemporanei eppure...
In suo nome il concetto di opera d'arte è stato totalmente messo sottosopra, dopo di lui tutto fu possibile, che un orinatoio industriale diventasse un capolavoro.
Ma quello che rende "politico" Duchamp non è solo la carica sovversiva della sua estetica anti-estetica quanto il comportamento che coerentemente ha tenuto lungo tutto il corso della sua esistenza conclusasi proprio cinquant'anni fa il 2 ottobre del 1968.
Proverò in poche righe a sottolineare quest'aspetto poco considerato.
Ready-made significa elevare un comune manufatto (uno scolabottiglie, una pala, un orinatoio) a opera d'arte per il solo fatto di essere stato scelto dall'artista. Ma il fatto cruciale non sta nella creazione di un nuovo feticcio quanto nella esplicita distruzione e ridicolizzazione del mondo delle merci su cui si fonda la nostra società.

In fondo il vero capolavoro della classe dominante (per usare una parolaccia fuori moda) è aver convinto il popolo (per usare un'altra parolaccia fuori moda) che il ready-made fosse un'opera da museo. Duchamp, viceversa, con il ready-made ha annullato con un colpo solo le divisioni di classe.
Incapaci di recepire il deflagrante "valore d'uso" del ready-made i mercanti hanno cercato di recuperare e falsificare il messaggio sovversivo assegnandoli un elevatissimo "valore di scambio".

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Al contrario, ancor oggi di fronte a un ready-made non può che tornare alla mente lo slogan che si gridava per le strade di Parigi nelle giornate del maggio 1968: "La beauté est dans la rue".
Duchamp è stato l'emblema stesso del rifiuto del lavoro e del denaro come misura di tutte le cose. Ha praticato una filosofia minimale secondo cui tutto ciò che possedeva doveva/poteva essere contenuto in una valigetta. L'intera sua opera la fece entrare, miniaturizzandola, in una valigia al fine di creare un museo trasportabile. Trasportabile in viaggio o durante una fuga, la propria fuga dalla bagarre artistica, dai conflitti, dalle guerre, dai genocidi.
Inoltre Duchamp ha evitato costantemente la gloria, ha sempre tenuto un profilo basso, ha limitato la propria produzione al minimo indispensabile, ha perfino smesso di fare l'artista con totale indifferenza verso la creazione di quel "mito di se stessi" che tanta centralità ha avuto nel mondo occidentale.
Ha lavorato tenacemente alla soppressione dell'originale in funzione della copia, della riproduzione, evidenziando la necessità di farla finita con l'idolatria. Ha opposto una strenua resistenza al tentativo di affibbiargli un brand e renderlo così commerciale, ha evitato di farsi spettacolarizzare, ha rifiutato di farsi ingabbiare nella logica del lavoro, ha elevato l'ozio e il tempo liberato (da non confondersi con il tempo libero) a stile di vita.
Per tutte queste cose e altre ancora potremmo dire che Duchamp è stato l'artista più "politico" e "sociale" del secolo scorso e la sua lezione continua a indicare la strada a chi intenda seguirla.
Contenersi, astenersi quando è il caso, non concedersi, appartarsi, rifiutarsi di scendere a compromessi, giudicarsi con lucidità, severità e amabilità, anche.

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