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«Proporre ai paesi poveri del mondo un “contratto di solidarietà” che
rompa, entro il 2020, il ciclo infernale della miseria e della fame».
Così parlava Bettino Craxi a Parigi nel lontanissimo 1990. La proposta:
cancellare il debito del Terzo Mondo. Noi cos’abbiamo fatto, in
trent’anni, su quel fronte? Meno di zero. Il 2020 è praticamente
arrivato, e quei paesi (sempre più poveri) vomitano disperati sulle
sponde del Mediterraneo. Rileggere oggi le parole di Craxi – riportate
all’epoca dai quotidiani – fa semplicemente piangere: qualcuno ricorda
una sola sillaba, di tenore paragonabile, pronunciata negli ultimi
decenni da uno qualsiasi dei famosi campioni dell’Unione Europea?
Siamo sgovernati da infimi ragionieri e grigi yesmen al servizio del
capitale finanziario neoliberista che i tipi come Craxi li ha esiliati
in Tunisia, trasformandoli in profughi politici – corsi e ricorsi,
nell’amara ironia della storia:
importiamo derelitti, dopo aver cacciato leader autorevoli e dotati di
visione strategica. Nel ‘90, Craxi intervenne nella capitale francese in
qualità di rappresentante personale del segretario generale dell’Onu
per i problemi del debito del Terzo Mondo, dinanzi alla Conferenza
parigina dei 41 paesi più poveri del pianeta.
Un discorso, scrisse Franco Fabiani su “Repubblica”
– nel quale Craxi ha ripercorso quelli che ha definito «i sentieri
statistici della povertà che solcano il globo con la loro sfilata di
drammatici indici della miseria e del sottosviluppo, dall’America latina
all’Asia,
dal Medio Oriente all’Africa subsahariana». Circa un miliardo di
persone definite povere nelle statistiche ufficiali della Banca Mondiale
(senza comprendere la Cina) costrette a fare i conti con risorse
inferiori a quelle che occorrono per il minimo vitale. Erano quattro,
per Craxi, i maggiori problemi da affrontare: nodi che – ieri come oggi –
turbano, in questo contesto drammatico, «la ricerca dell’equilibrio e
della prosperità di tutto il nostro pianeta: le guerre, la povertà, il
debito, il degrado ecologico e ambientale». Africa e Asia, Medio
Oriente, America Latina: aree tormentate negli anni ‘80 da guerre,
guerriglie tra Stati e popoli e gruppi di diverse ideologie. Tragedie
che hanno prodotto «distruzioni e persecuzioni, ma anche e soprattutto
costi economici enormi, che hanno aumentato a dismisura
l’indebitamento». Di qui la ricetta di Craxi, proposta alle 150
delegazioni presenti a Parigi: sviluppare una cooperazione con questi
paesi per mettere fine ai conflitti e alleviare il debito, cominciando
dai paesi che rispettano i diritti umani.
In una parola: «Concentrare gli sforzi politici e finanziari per spezzare l’intreccio perverso guerra-povertà». E quindi, innnanzitutto: fare il possibile per evitare nuove guerre. Quella in agenda nel ‘90 era la prima Guerra
del Golfo, a cui il “profeta” Craxi si opponeva: un conflitto nel
Golfo, sosteneva, «trascinerebbe con sé un carico incalcolabile di
distruzioni e di conseguenze tragiche di cui proprio i paesi più poveri
sarebbero le prime vittime». Ed ecco la proposta strategica: «Cancellare
sino al 90% del debito bilaterale, mentre il restante 10% dovrebbe
essere convertito in moneta locale, per farlo affluire ai progetti di
sviluppo economico, di formazione di capitale umano e di tutela
dell’ambiente». La cancellazione del debito verso i paesi poveri
«comporterebbe un onere annuo pari al 10% del Pil dei paesi donatori,
cui si dovrebbe aggiungere almeno una percentuale identica di nuovi
aiuti». In questo modo, secondo Craxi, «si potrebbe avere una robusta
crescita dei paesi più poveri che consentirebbe loro di debellare la
fame entro il 2020». Unica condizione: la stabilità del prezzo del
petrolio, e quindi la pace. Un simile discorso, oggi, in Europa, avrebbe
bisogno di un traduttore specializzato: la lingua di Craxi sembra
estinta, come quella dei Sumeri.
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giovedì 14 giugno 2018
Craxi nel ‘90: soldi ai poveri, e il mondo guarirà entro il 2020
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