E potrebbe raddoppiare ancora entro il
2030. A fronte di una domanda mondiale enorme e in continua crescita, la
disponibilità di materie prime è limitata, a costi e impatti ambientali
crescenti. L'Europa sta quindi avviando un cambiamento del modello
economico verso una circular economy
che punta ridurre il prelievo di risorse naturali, a ridurre al minimo i
rifiuti da smaltire, con modelli di produzione e di consumo che
prevengano la produzione di rifiuti, prolunghino l'uso dei prodotti,
incoraggino il riuso e massimizzino il riciclo. Una tappa, concreta e
rilevante, di questo cambiamento sarà l'attuazione della nuova Direttiva europea sui rifiuti e la circular economy che dovrebbe essere approvata entro la fine dell'anno.
Con la riforma avviate nel '97 col Decreto legislativo 22
che recepiva in modo organico alcune direttive europee, sono già stati
realizzati in Italia profondi cambiamenti nella gestione dei rifiuti.
Prima di quella riforma la raccolta differenziata e il riciclo erano
inconsistenti e oltre l'80% dei rifiuti urbani finiva in discarica. Oggi
la raccolta differenziata è al 47,6%, quella degli imballaggi è ad un
ottimo 67%, ben 14 milioni di tonnellate di rifiuti urbani sono avviate
al riciclo e lo smaltimento in discarica è ridotto al 26%. Le imprese
che fanno attività di riciclo di rifiuti sono ormai circa 5.000, con
oltre 120 mila addetti, con fatturati di decine di miliardi. Grazie a
questi cambiamenti, l'Italia-forte importatrice di materie prime- è oggi
in grado di affrontare un'adeguata attuazione della nuova Direttiva che
potrebbe dare una spinta importante allo sviluppo di una green economy,
sostenibile e competitiva.
È
però tempo di andare oltre i dibattiti generici sulla circular economy e
cominciare a preparare politiche e misure per raggiungere gli obiettivi
sfidanti ormai definiti a livello europeo. È vero che la circular
economy non riguarda solo i rifiuti, ma la questione dei rifiuti rimane
centrale. La prevenzione deve diventare capacità effettiva di ridurre la
produzione di rifiuti - non solo quando l'economia è in recessione –
disincentivando il consumo di prodotti usa e getta, contrastando
l'obsolescenza programmata, promuovendo il riutilizzo e affrontando
alcune tendenze all'aumento consistente, come quelle di alcuni rifiuti
d'imballaggio. Si dovrà arrivare a un riciclo dei rifiuti urbani di
almeno il 65%, facendo quindi crescere ulteriormente le raccolte
differenziate intorno al 70% e migliorandone la qualità, recuperando i
ritardi ancora diffusi in alcune Regioni. Il riciclo degli imballaggi
dovrà crescere almeno al 75%, migliorando in particolare quello delle
plastiche ancora insufficiente. Nella raccolta differenziata dei rifiuti
da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) occorre recuperare
un forte ritardo, per passare dal 34% - ultimo dato Ispra del 2014-
all'obiettivo del 65%. Gli scarti e i rifiuti organici dovranno
alimentare la filiera della chimica verde e la promettente produzione di
biometano oltre a quella di un compost di qualità. Per gli pneumatici
fuori uso (Pfu) si possono fare ulteriori passi avanti rafforzando la
priorità del riciclo rispetto al recupero energetico. Chi produce e
mette in commercio prodotti non riciclabili o difficilmente riciclabili -
secondo il principio della responsabilità estesa del produttore - dovrà
pagare costi elevati per i rifiuti che derivano da questi prodotti.
L'industria del riciclo è strategica in un'economia circolare e non
dovrà essere subordinata ai prezzi di mercato delle materie prime
vergini che non riconoscono i vantaggi dell'uso efficiente e del
risparmio delle risorse. Il riciclo di materia, dovendo essere
prioritario, non dovrà subire la concorrenza né dell'incenerimento, né
dello smaltimento in discarica che deve diventare effettivamente
residuale. Sarà quindi necessario un uso intelligente della fiscalità
ecologica e della riallocazione d'incentivi che hanno effetti negativi
per l'ambiente.
Nessun commento:
Posta un commento