giovedì 28 settembre 2017

Quei campi libici sono irriformabili.

Hai voglia di annunciare bandi, di investire qualche milione di euro per rendere vivibile ciò che vivibile non è.
 
Umberto De Giovannangeli Giornalista, esperto di Medio Oriente e Islam
Perché i lager libici sono come il socialismo reale: irriformabili. In discussione non sono le buone intenzioni che animano il vice ministro degli Esteri con delega per la Cooperazione internazionale, Mario Giro: per lui parla il lungo impegno in favore della pace e della giustizia sociale per l'Africa e il fatto, politicamente significativo, che nell'estate dominata dalla "caccia" alle Ong e da una ondata securista, Giro è stata una delle poche voci alzatesi tra le fila del governo per ricordare a tutti che i migranti intercettati sulla rotta del Mediterraneo venivano ricacciati nell'"inferno libico".
Il problema, dunque, non sono le buone intenzioni, ma la loro praticabilità. E per quanto riguarda l'"umanizzazione" dei centri di detenzione in Libia, questa è una missione impossibile. E non sarà l'annunciato stanziamento di 6 milioni di euro della Cooperazione italiana aperto alle Ong per intervenire nei "campi di detenzione" in Libia, che può cambiare questa realtà.
I perché li spiega molto bene, in una intervista a Vita, Francesco Petrelli, portavoce di Concord Italia, il network delle Ong in Europa, motivando le ragioni per le quali l'unico destino accettabile per questi lager è che vengano chiusi. "Tutti hanno denunciato la situazione nei campi come una cosa abominevole, persino Junker", annota Petrelli.

E il presidente della Commissione Ue è solo l'ultimo, in ordine di tempo, ad aver preso atto di questo inferno. Il mondo delle Ong non è terreno di pascolo per pericolosi sovversivi, fondamentalisti del "buonismo", insensibili al tema della sicurezza, dediti solo a dire "no" a tutto ciò che proviene dalle istituzioni. È vero l'esatto contrario. Il dialogo con il governo non è solo accettato ma sollecitato. Ma questa disponibilità all'ascolto o è reciproca o non lo è.
Per questo sarebbe buona cosa che il vice ministro Giro (il titolare della Farnesina, Angelino Alfano, è una entità metafisica in politica estera) e ancor di più il ministro degli Interni, e plenipotenziario di fatto della politica italiana per e nel Mediterraneo, Marco Minniti, prestassero attenzione alle motivazioni addotte dal portavoce di Concord Italia per rafforzare la richiesta dello smantellamento di quei campi.

Su HuffPost, il vice ministro degli Esteri aveva scritto:
"Mi rendo conto che c'è chi ha la percezione che entrare nei centri di detenzione libici, dopo aver lasciato la gestione dei migranti e richiedenti asilo alla guardia costiera libica, possa apparire come una retromarcia, un accontentarsi. Rispetto le posizioni di chi, come Msf rimane fermo sulla posizione di principio, vista la situazione che si è creata. Ma penso allo stesso tempo che qualcosa bisogna tentare di fare: non possiamo lasciare queste persone al loro destino...
Noi- insiste Giro - dobbiamo iniziare da subito a fare qualcosa. Se esiste un senso nelle operazioni umanitarie d'urgenza è proprio questo: avanzare da subito e tendere una mano anche se il terreno è controverso. La denuncia va bene, ma non deve diventare una rinuncia. E se c'è qualcosa da obiettare, occorre dirlo, discutere, dialogare senza timore. Nessuno cede a nessuno: cerchiamo solo il modo possibile di stare vicini a chi soffre...".
Il dibattito è aperto. Annota Petrelli:
"La Libia è sicuramente un banco di prova sulla coerenza dell'Italia e dell'Europa a livello etico e morale. Tutti hanno denunciato la situazione nei campi come una cosa abominevole, persino Junker. Quello che sta succedendo nei centri di detenzione è una ferita inaccettabile, una violazione dei diritti umani che è in contraddizione con tutti i principi dell'Unione Europea.
Lo smantellamento deve avvenire con il coinvolgimento dell'Unhcr, secondo condizioni ed obiettivi chiari che garantiscano il riconoscimento della protezione internazionale a chi ne ha diritto e un rimpatrio sicuro a chi deve essere rimpatriato. Se poi questo significa una re-distribuzione di chi riceve lo status di protezione tra diversi Paesi europei, bisogna che non accada ciò che è accaduto con il piano di re-location del 2015, quando le persone sono rimaste bloccate in Italia e in Grecia per tempi lunghissimi".
Lo smantellamento dei centri di detenzione è l'obiettivo finale di una iniziativa graduale, passo dopo passo.
Sottolinea ancora Petrelli a Vita:
"Prima di tutto esercitare una pressione politica sulla Libia. Noi vogliamo delle condizioni che siano in coerenza con i principi etici e sociali dell'Italia e dell'Europa. Bisogna poi considerare il contesto estremamente complesso, in cui gli stessi libici sono a rischio umanitario. Si tratta di una situazione che va stabilizzata, bisogna attivare e promuovere un processo di institution building.
È importante che continuiamo a mantenere alta l'attenzione su ciò che sta accadendo nei campi, ma bisogna aprire un tavolo di coordinamento, facendo attenzione a considerare l'intero contesto e non solo ciò che avviene in Libia. Si deve stare molto attenti a non creare blocchi interni al continente, blindando le frontiere in Africa, nel tentativo di frenare l'accesso all'Europa. Questo tipo di politica sarebbe estremamente miope e deleterio, perché andrebbe a ripercuotersi sulle migrazioni interne che sono necessarie per l'economia del continente.
C'è bisogno di un'azione che governi il problema, legando la situazione più emergenziale al contesto più ampio e ad una strategia di lungo periodo. Questo significa anche prevedere lo sviluppo di canali legali e sicuri per raggiungere l'Europa. Questo per quanto riguarda il nostro Paese significa il superamento della Bossi-Fini che impedisce di fatto l'ingresso in Italia di chi non è rifugiato politico. Per cui, vedi dati 2016, tutti si dichiarano richiedenti asilo e il 60% delle domande vengono respinte. L'invito è quindi di sostenere e firmare le proposte della campagna 'Ero straniero' per il superamento della Bossi-Fini e magari fare un nuovo decreto flussi".
Sulla stessa lunghezza d'onda è Medici Senza Frontiere: "Capiamo la sensibilità del ministero degli Esteri, che pensa alle Ong per gestire i campi in Libia, ma lì operiamo già autonomamente. Non vogliamo farci finanziare da chi genera il problema: sarebbe un controsenso", afferma il responsabile Advocacy di Msf Marco Bertotto.
È l'esperienza, e non i pregiudizi politici o ideologici, a dettare queste considerazioni, la cui nettezza è una virtù e non un difetto in un dibattito pubblico troppo spesso "paludato", improvvisato, dominato, specie nei rissosi salotti mediatici, da improponibili tuttologi.
Una voce autorevole nel campo delle Ong è senz'altro quella di Nino Sergi, presidente emerito di Intersos e policy advisor di Link 2007:
"Assistere le persone recluse nei centri di detenzione può significare riconoscere e prolungare questo sistema criminale. Si aprano centri di transito alternativi e protetti gestiti dalle ong. [...] Le Ong premono perché siano ampliate le intese politiche in atto con le autorità libiche, ai livelli nazionale e territoriale, per mettere fine alle detenzioni, agli abusi e alle sofferenze inaudite di migliaia e migliaia di esseri umani, tra cui molte donne e bambini. Se si sono trovati accordi per trattenere gli emigranti, a fortiori nuove intese devono ora riguardare la chiusura dei centri.
Costerà certamente qualcosa, ma è un dovere a cui né il Rappresentante speciale dell'Onu, né la Commissione europea, né il governo italiano che ha un ruolo speciale nella pacificazione e ricostruzione della Libia, possono continuare a sottrarsi. [...] Un preciso e definito programma di chiusura coordinato dall'Unhcr e dall'Oim, può al contempo permettere la partecipazione di Ong umanitarie e il coinvolgimento di personale libico a ciò formato, al fine di contribuire ad accelerarne il processo.
Per poterlo fare, non basta il consenso libico ma occorre creare le condizioni per potere aprire centri di transito alternativi nei quali assistere e tutelare, proteggendole in sicurezza, le persone liberate, anche per valutare il loro personale destino.
Per evitare una protezione "di parte", che si contrappone problematicamente ad "altre parti", si impone un contingente neutrale dei Caschi Blu dell'Onu per garantire la sicurezza dei centri. Già ne sono stati autorizzati 150 per proteggere il Rappresentante Speciale e gli alti funzionari dell'Onu a Tripoli: non dovrebbe essere impossibile farne autorizzare altre centinaia per la protezione dei nuovi centri di transito.
Qualche passo è stato fatto in questi giorni all'Assemblea Generare dell'Onu anche grazie all'iniziativa italiana, e c'è un impegno del Segretario Generale Antonio Guterrez a procedere in questa direzione. Sono i tempi a dovere essere ora accelerati".
Una linea condivisa da Oxfam: per rendersi conto cosa siano i lager libici, è consigliata la lettura del rapporto (luglio 2017) dal titolo "L'inferno al di là del mare", dal quale emerge che l'84% delle persone intervistate ha dichiarato di avere subito trattamenti inumani tra cui violenze brutali e tortura, il 74% ha dichiarato di aver e assistito all'omicidio o alla tortura di un compagno di viaggio, l'80% di aver subito la privazione di acqua e cibo e il 70% di essere stato imprigionato in luoghi di detenzione ufficiali o non ufficiali.
Nessuna porta in faccia sbattuta al governo ma la difesa, motivata, di ragioni, oltre che principi, su cui si fonda la solidarietà fattiva della quale le Ong sono portatrici. L'ascolto fa bene alla politica. Come il riflettere seriamente su quella che è la via della legalità rappresentata dai canali umanitari.
Un tema, questo, riproposto da Amnesty International in una petizione pubblica rivolta al presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni:
"Negli ultimi anni – rileva AI - centinaia di migliaia di rifugiati e richiedenti asilo in fuga da conflitti, violazioni dei diritti umani e persecuzioni, hanno messo a rischio la propria vita in cerca di sicurezza e protezione. Hanno vissuto abusi, estorsioni e violenza nei paesi d'origine e lungo tutto il percorso. Molti di loro hanno perso la vita nel tragitto. Nel mondo e in Europa si continua ad affrontare la crisi dei rifugiati in maniera caotica e disumana, costruendo muri, rafforzando posizioni securitarie e facendo accordi scellerati e illegali con paesi non sicuri, come la Libia e la Turchia.
È necessario – sottolinea Amnesty - un nuovo approccio globale fondato sulla protezione delle persone, sulla cooperazione tra Stati e su una più equa ripartizione delle responsabilità...Per fermare la strage nel mar Mediterraneo, è necessario aprire al più presto canali sicuri e legali per i rifugiati. Chiediamo di garantire condizioni di accoglienza dignitose e umane alle persone che arrivano in Italia....".
È chiedere troppo?

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