Si è infine tenuto il referendum per l'indipendenza tenutosi nel Kurdistan iracheno che ha ovviamente avuto una grande maggioranza di Sì. La questione è complessa, e non può essere tagliata con l'accetta. Di certo presenta molti rischi. Sarebbe un evento storico, che una parte del Kurdistan avesse l'indipendenza.
micromega MARCO ROVELLI
Ma, intanto, è appunto solo una parte. 6 milioni di curdi, su poco meno di 40 (circa 20 sono i curdi turchi). Questo potrebbe andare bene: riconoscere ufficialmente, su scala mondiale, l'esistenza del Kurdistan potrebbe avere un effetto contagio, e innescare un processo di liberazione per tutto il Kurdistan. Ma il fatto è che nei processi di costruzione di entità collettive, quel che conta sono le elites che le guidano e le appoggiano, e da questo punto di vista le premesse non sono positive. Il Kurdistan iracheno è guidato da un autocrate tribale come Barzani, che guida la sua regione grazie agli americani, e con il decisivo appoggio, in chiave geopolitica, di Israele, che, come era noto da tempo, si è detto subito disponibile a riconoscere l'indipendenza. E' chiaro che in un Kurdistan dominato da Barzani e dal suo clan, dove la democrazia è solo un nome svuotato da ogni contenuto, per i democratici e i socialisti le cose si farebbero perfino più complicate.
Barzani, per realizzare l'indipendenza, dovrebbe mettere in atto le azioni di forza necessarie, vincendo il braccio di ferro col suo amico-nemico Erdogan, che già preme alla frontiera con i suoi soldati. Baghdad e Ankara stanno già facendo alla frontiera operazioni congiunte, a quanto pare. Per non parlare dell'Iran, che non vuole l'effetto contagio per i “suoi” curdi del Rojhlat, che sono circa 8 milioni, il 10% della popolazione iraniana. A fronte di tutto questo, peraltro, le Ypg – i combattenti del Rojava democratico e socialista, il Kurdistan siriano – si sono già detti disponibile a opporsi militarmente a un intervento turco, che compirebbe il sogno erdoganiano di arrivare ai confini dell'Impero ottomano, ovvero a Mosul.
Se Barzani riuscisse a spuntarla, chiaro che dovrebbe dare qualcosa in cambio: e dovrebbe marcare le distanze in maniera chiara dalle esperienze dei suoi nemici storici, ovvero i curdi del Pkk (che nel Kurdistan iracheno è illegale) e affini (come i curdi del Rojava, appunto), ma anche altre organizzazioni democratiche curdo-irachene. Insomma, il sogno di uno Stato-Nazione curdo potrebbe ridursi a un “piccolo Kurdistan”, che si richiuderebbe su se stesso, sulla propria struttura autocratica, a discapito di quelle esperienze che provano a liberare le altre parti dal Kurdistan (e provano a liberarlo non solo dall'oppressione di altri Stati, ma anche dalla stessa oppressione esercitata dalle strutture claniche tradizionali della società curda stessa: questo è il senso del “confederalismo democratico”, che rimette in discussione il concetto stesso di Stato-Nazione).
In questo senso potrebbe essere letto lo scambio di battute a distanza tra Barzani e Erdogan. Si deve sapere che nella regione petrolifera di Kirkuk, che non ricade nel Kurdistan iracheno, pure si è tenuto egualmente il referendum: la metà della popolazione è turcomanna e araba, e al referendum non ha preso parte. Erdogan ha detto che contrasterà l'indipendenza del Kurdistan perché non vuole che i curdi opprimano la consistente minoranza turcomanna presente nel paese. Barzani ha risposto che in tal caso si dovrebbe parlare dei venti milioni di curdi presenti in Turchia. Lo scambio di cui si diceva sopra, insomma. A Barzani interessa assai più il petrolio che non il destino degli altri curdi.
Si pensi per converso a Sinjar, dove ci stanno i curdi yezidi massacrati dal Daesh, abbandonati da Barzani e salvati dall'Hpg del Pkk: la regione di Sinjar ha dichiarato di volere la propria autonomia da Erbil, perché crede nel confederalismo democratico che si sta realizzando nel Rojava. Di Sinjar però nessuno parla, e Barzani non ha alcuna intenzione di riconoscere quell'autonomia. Erbil può dichiararsi indipendente da Baghdad, ma Sinjar da Erbil no.
Insomma. Certo, nulla è mai scritto nella storia. E non possiamo dire che il referendum sia in sé una cosa negativa. Anzi, in sé sarebbe anche una cosa positiva. Ma gli è che ci sono fondate ragioni per ritenere che i fattori politici e geopolitici potrebbero far precipitare questo processo in un risultato contrario a quanto si potrebbe sperare.
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