In fondo gli altri costi industriali (prezzo dei velivoli, manutenzione, carburante, tasse aeroportuali, ecc) sono uguali per tutti i vettori. Dunque il solo costo del lavoro basso non può bastare.
Il segreto del successo di Ryanayr deve dunque stare da qualche altra parte. E in effetti è una delle poche compagnie – è stata la prima – ad aver sottoscritto oltre un quarto di secolo fa accordi con consorzi pubblico-privati interessati ad aumentare il traffico passeggeri sul proprio territorio (utenza business e turistica), sfruttando piste e aeroporti marginali e poco utilizzate. Questi consorzi versano annualmente quote finanziarie e contribuiscono a migliorare notevolmente i bilanci Ryanair, permettendole una politica tariffaria particolarmente aggressiva (su una certa quota di posti su ogni aereo, gli altri sono a prezzo “di mercato”) in grado di sbaragliare molta concorrenza (a partire ovviamente dalle compagnie più antiche e “paludate”, anche sul piano contrattuale).
Il secondo elemento strutturale è l’ottenimento dalle autorità nazionali di slot appetibili (diritti di atterraggio e decollo negli orari più richiesti) sui singoli aeroporti, garantendosi così un buon ventaglio di opzioni per programmare i voli. Qui si è misurata l’abilità politica di O’Leary o, al contrario, la dabbenaggine di alcuni governi europei. In Italia, per esempio, a Ryanair sono stati concessi slot vantaggiosi (in termini di orario) anche sulle tratte interne più redditizie (la Roma-Milano, fino a qualche anno fa), aprendo dunque le porte alla concorrenza in dumping contro Alitalia (che allora era compagnia pubblica). La quale, contemporaneamente, veniva gestita da incompetenti o complici che privilegiavano il “medio raggio” – il meno redditizio e più esposto alla concorrenza delle low cost – a discapito del lungo raggio (memorabile la chiusura della Roma-Pechino mentre si andava verso le Olimpiadi cinesi…).
In Francia, al contrario, lo Stato difendeva la tratta Marsiglia-Parigi (tesoretto della società pubblica Air France) senza neanche un divieto formale; bastava offrire slot inutilizzabili con profitto, e Ryanair rinunciava. Anche per arrivare a Parigi da altri paesi, in fondo, ti fanno scendere a Beauvais (80 km a nord), mica a Ciampino (ai bordi del Raccordo Anulare).
Modello comunque inattaccabile? A quanto pare no. E addirittura offrendo stipendi molto più alti, oltre ad altri benefit impensabili dentro lo schema della “concorrenza basata sul taglio dei salari”.
Nei mesi scorsi diversi media mainstream avevano riportato, come fosse una stranezza tutta orientale, che grandi compagnie aeree asiatiche – soprattutto cinesi – stavano girando l’Europa per assumere piloti offrendo stipendi favolosi (fino a 250.000 euro annui, vedi qui). Morta lì? No, perché a quanto pare li stanno trovando proprio dalle parti di Ryanair e simili, più che tentati da un salario 4-5 volte più alto, oltre ad alloggio, scuole e lavoro per l’intera famiglia. Il che ha svuotato il parco piloti della compagnia irlandese costringendola a cancellare centinaia di voli e ad offrire un bonus da 12.000 euro ai soli comandanti.
Ovvio che non sarà sempre così. Prima o poi anche le compagnie cinesi copriranno i vuoti d’organico esistenti in questa fase di sviluppo accelerato del mercato interno, e non avranno dunque più bisogno di offrire cifre così alte. Ma intanto segano le gambe alla concorrenza, preparando il terreno a un’espansione verso altri mercati.
La prova arriva direttamente da IlSole24Ore che pubblica una lettera abbastanza sconclusionata di un giovanissimo pilota fuggito tra le munifiche braccia cinesi.
Al di là delle evidenti sciocchezze “ideologiche” (il giovane professionista è convinto per esempio che il debito pubblico italiano sia cresciuto per “elevare lo stile di vita” dei coetanei di suo padre, mostrando così di essere una vittima del “senso comune” sparso dai media), questa testimonianza mostra con chiarezza come quelle politiche neoliberiste abbiano prodotto una declino inarrestabile dei paesi che le hanno subite o adottate con gioia.
Tra un po’, infatti, l’ondata migratoria da questi paesi verso i punti alti dello sviluppo economico – la Cina, non gli Usa – sarà inarrestabile perché trainata dalla dinamica salariale. Per le professioni di punta, naturalmente; tutti gli altri – braccia a disposizione sottocosto per l’industria, il commercio e i servizi – li lasceranno volentieri nei paesi d’origine. Fin quando non scapperanno, magari su un barcone…
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«Perché ho lasciato Ryanair e perché i giovani abbandonano l’Italia»
di Adriano Ingrosso*Sono un comandante (giovane, alla soglia dei 30 anni) ex Ryanair, impiegato nel sud-est della Cina da inizio anno con stipendio quintuplicato.
Scrivo questa lettera perché è evidente che quello che sta succedendo in quell’azienda è un buon indicatore di cosa potrebbe accadere fra qualche anno in Italia.
I cittadini giovani, così come i dipendenti Ryanair non hanno fatto molto rumore negli ultimi anni. Non sono scesi in piazza, non hanno protestato. Hanno peró fatto una cosa molto più radicale e grave: hanno votato con i piedi.
Un esodo silenzioso, sottovalutato e sminuito da chi è al potere(vedi il governo italiano con i giovani o l’amministratore delegato di Ryanair O’Leary con i piloti). Problema ignorato fino alla crisi della settimana scorsa, quando le operazioni e la credibilità aziendale sono state compromesse in modo grave.
Ci sono due modi per rimpiazzare un comandante:
1) Assumere un dipendente, addestrarlo da zero e poi fare in modo di trattenerlo in azienda offrendo condizioni adeguate ai competitor.
2) Attirare con delle buone condizioni lavorative e contrattuali un comandante già in carriera (quindi qualcuno con minimo 7 anni di volo e studio alle spalle, nella maggior parte dei casi 15 anni o più).
Una mattina si sveglieranno i pochi rimasti in Italia e si accorgeranno che i conti non tornano.
I laureati e i diplomati che sono costati allo stato miliardi di euro non saranno rimpiazzabili da stranieri (che sono ben felici di andare a fare le vacanze in Italia, un pó meno di affittarsi casa nella capitale dove i mezzi pubblici sono inefficenti, le buche un rischio mortale e l’80% delle persone non capisce l’inglese).
Si cercherà quindi di far tornare in patria gli italiani emigrati.
In due modi: quello soft, introducendo sgravi fiscali per i rimpatriati ( come già ha fatto lo stato italiano in passato e come sta facendo la Ryanair adesso dando un bonus di importo ridicolo per assumere o trattenere in azienda i piloti).
Peccato che la politica dei bonus sia precaria perché ha solo un effetto temporaneo, e comunque chi emigra difficilmente ritorna. Specialmente dopo aver sperimentato come si sta nelle nazioni concorrenti: strade senza buche, servizi efficenti, giustizia sociale, tribunali funzionanti, buoni stipendi e la maggiore possibilità di ottenere la pensione nei 192 paesi su 195 che hanno un debito pubblico in rapporto col Pil inferiore all’ Italia.
Ci sarà anche quello coattivo: cosí come in Eritrea e Usa verrà considerata la tassazione universale dei redditi prodotti all’estero dai cittadini Italiani residenti Aire (buona fortuna per l’incasso).
I giovani sono irrilevanti politicamente vista la loro inferiorità numerica (e quindi numero di voti), ma escluderli dal processo decisionale e favorire gli altri non sará la soluzione.
Come abbiamo finalmente visto, un sistema (aziendale o paese) può essere messo in ginocchio proprio dalla parte debole, anche senza che essa abbia combattuto in modo convenzionale.
Prima di aggiornare i manuali sulla teoria dei giochi con questa eventualità della “primavera invisibile”, consiglierei di affrontare il problema.
I nati dal 1975 in poi non hanno quasi nessuna responsabilità nella creazione del debito abnorme che ha garantito un benessere (economicamente insostenibile e quindi fasullo) alle generazioni precedenti, a scapito di quelle successive.
Attenzione: bisogna trattare bene i pochi giovani coraggiosi che sono rimasti (ormai ci vuole più coraggio per restare che per andarsene), altrimenti sarete costretti a ripagarvi da soli quel debito.
* Pilota comandante di Xiamen Air
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