I
dati ufficiali saranno noti entro giovedì. Le telecamere di numerose
emittenti accorse a Erbil mostrano gente gioiosa che celebra un giorno
considerato storico, seppure potrebbe risultare l’anticamera d’una
deriva anche pericolosa. Basata su nuovi conflitti in casa, ora che lo
scontro con lo Stato Islamico pare, se non concluso definitivamente, di
certo attenuato. Nel giorno della festa la voce più dura la fa il solito
Erdoğan, che pensa sicuramente ai suoi kurdi, tre volte più numerosi,
sparsi in più punti dell’Anatolia, seppure il sud-est sia la loro patria
mai designata. E minacciosi dopo la ripresa delle ostilità col Pkk, più
i dissidenti (Falconi della libertà) quest’ultimi sì usi al terrorismo
diffuso.
Per
animare la divisione fra i molteplici ceppi dell’etnìa kurda –
separata, dopo il ‘tradimento’ del trattato di Losanna, nelle quattro
nazioni confinanti (Turchia, Siria, Iraq, Iran) – l’attuale presidente
turco aveva da tempo stabilito un rapporto cordiale col più malleabile e
filoccidentale dei leader della regione autonoma del Kurdistan: quel
Masoud Barzani, nipote e figlio di chi nel nome dei kurdi cercava di
ottenere terra e potere.
Barzani nella storia –
Questo Kurdistan, solo di recente riconosciuto come regione autonoma,
anche in funzione del barcollante assetto di un Iraq lacerato dai
conflitti interni dopo la caduta di Saddam Hussein, riceve le sue
risorse dalla ricchezza del sottosuolo, principalmente nella provincia
contesa di Kirkuk. Terra abitata dall’etnìa, che subì verso la fine
degli anni Ottanta una delle operazioni politiche del dittatore
iracheno.
Alla
pulizia etnica praticata coi gas, s’aggiunse quella della
colonizzazione dei luoghi, e nella città del petrolio giunsero frotte di
arabi pagati da Baghdad. Le estrazioni dai pozzi di Kirkuk trovano nei
Paesi confinanti, specie la Turchia, un canale di distribuzione e
commercio, di cui Ankara ora minaccia di chiudere i rubinetti.
Questa,
al di là del potere delle armi, è la mannaia che può pendere sulla
testa della comunità festante, finora garantita rispetto ai fratelli
collocati oltre confine. Un vantaggio finanziario non di poco conto, con
una ricaduta distributiva delle ricchezze magari limitata dai capi
clan, ma comunque presente. Ecco l’azzardo che l’accelerazione di Masoud
Barzani sul tema dell’indipendenza sta introducendo. Però l’ormai
settantunenne leader difficilmente farà marcia indietro, spera di poter
far scrivere sui libri di storia il conseguimento d’un obiettivo più
concreto di quelli raggiunti dal nonno e dal padre. Una questione
privata o di famiglia, dunque? Non del tutto. Chiaramente, nelle mosse
dell’attuale statista senza Stato, c’è la volontà di dare un senso ad
antiche battaglie.
Confederazione –
Specie in una fase in cui i colossi 9999mondiali si pongono il problema
su cosa fare di una nazione nata, come altre contigue, da accordi
coloniali che sembrano aver esaurito il loro percorso temporale. In più
con la guerra al Daesh il combattentismo dei kurdi iracheni ha acquisito
punti. Cinquemila peshmerga hanno riversato sangue sui propri scarponi
messi sul terreno a Mosul, cosa che nessun generale Nato e d’altra
coalizione ha ordinato ai militari anti-Isis.
La
via intrapresa da Barzani tiene in considerazione tali logiche, sebbene
non è detto che possa passare all’incasso geopolitico. Consapevole del
valore simbolico del referendum appena concluso e vinto senza stralciare
i voti contrari, che s’attestano attorno al 7%, conscio dell’alto peso
politico che esso può avere, la tappa futura di Barzani potrebbe
rivolgersi al governo di Baghdad, pur col supporto della Comunità
internazionale, parlando di confederazione kurda in luogo di regione
autonoma.
Non
è lo spettro dell’indipendenza che sveglia fantasmi di secessione,
aggiungendo un tassello ulteriore all’autogestione, specie se
coinvolgerà la zona di Kirkuk, dove i capi kurdi si guardano bene
dall’escludere arabi e turcomanni lì presenti, facendo convivere anche
fedi islamica e caldea.
I
dubbi su un tale percorso risiedono prevalentemente oltre confine.
Ancoràti al pericolo dell’effetto domino fra milioni di altri kurdi,
divisi geograficamente e politicamente, ma ben vivi in altri sogni.
Quelli dei leader delle potenze regionali che non vogliono trasformarli
in incubo.
articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it
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