Nel 1845 nell’Introduzione a La situazione della classe operaia in Inghilterra Engels
scrisse che: «la storia della classe operaia in Inghilterra ha inizio
nella seconda metà dello scorso secolo, con l’invenzione della macchina a
vapore e delle macchine per la lavorazione del cotone [e] mentre con la
prima macchina [la cosiddetta Jenny] si sviluppava il proletariato
industriale, la stessa macchina dava anche origine al proletariato
agricolo […]. Il proletariato [in altre parole è] stato creato
dall’introduzione delle macchine [nel ciclo produttivo]» (MEW 2, 237,
240, 250/31, 34-35, 44).
Ma
da quando lo sviluppo della tecnologia ha iniziato a significare
qualcosa di primaria importanza per gli uomini? In che modo essa è
divenuta funzionale allo sviluppo della produzione? E soprattutto per il
tramite di chi la tecnologia moderna è divenuta il pensiero politico
fondamentale con cui la classe borghese in formazione riuscì a
rovesciare il vecchio mondo per riscriverne un altro?
Secondo Marx ed Engels le risposte a tali quesiti arriveranno solo quando riusciremo nel difficile compito di elaborare una Storia critica della tecnologia:
ma da dove essa sarebbe dovuta ripartire a riflettere lo sviluppo della
tecnologia stessa non è dato ancora saperlo; forse dalla prima
rivoluzione industriale?
A seguire Marx e Engels sembrerebbe di sì. Tuttavia, sulla base di ricerche ulteriori, La ragione galileiana del mondo. Tra metafisica, filosofia e tecnologia (Guida
Editori, pp. 283, euro 18), di Angelo Calemme, pare non essere
d’accordo. Secondo quest’ultimo infatti prima di cominciare a parlare di
una storia critica della tecnologia, sarebbe più opportuno individuare
quando lo sviluppo di una logica degli oggetti tecnici divenne una
preoccupazione di primaria importanza per gli uomini. Attraverso una
sorta di genealogia della prima modernità, quella classica, con Calemme
scopriamo come converrebbe incominciare a retrodatare l’origine di una
storia critica della tecnologia di almeno un secolo e mezzo prima della
prima rivoluzione industriale e cioè fino al 1610, anno in cui Galileo
Galilei, con i sui strumenti di lavoro, «svincolò il pensiero della
natura dalla volontà divina e innalzò l’oggetto tecnico a organo di conoscenza».
In
altre parole quando Galilei, con un atto puramente politico, fece del
mito scientifico dell’autonomia degli oggetti tecnici (e
dell’indipendenza che la filosofia con questi ultimi raggiunse
nell’ordine di una Nuova scienza)
il nuovo fondamento ontologico su cui scrivere una nuova gerarchia
della società, quella della prima modernità. Ciò è stato dimostrato da
Calemme in un denso ma chiaro volume, che ad un certo punto non solo
rilegge gli scritti del Pisano e dei suoi detrattori, ma addirittura
riesce a restituirli al lettore in forma quasi filmica in quei
rivoluzionari effetti politici di verità che distrussero l’autorità di
Aristotele e della Chiesa per crearne una di nuovo genere.
Come
scrive lo stesso Calemme, la sua ricerca è riuscita, attraverso una
prospettiva completamente diversa da quelle tradizionali, a dimostrare
che Galilei con la sua filosofia tecnologica è divenuto l’irrinunciabile
«padre simbolico delle scienze esatte o naturali […]; che egli
fu prima di tutto un filosofo e solo poi uno scienziato, precisamente
un filosofo politico e solo poi un fisico moderno; che la galileiana
elaborazione ontologica del metafisico concetto di una natura
indipendente e di un pensiero automatico e oggettivo delle cose (la
tecnologia nell’accezione moderna del termine) ha, in maniera
determinante, rivoluzionato la cultura […] del XVI e XVII secolo,
agglutinando e organizzando, sulle macerie di essa, un nuovo orizzonte
di senso; che la complessiva rivoluzione galileiana dei saperi ebbe la
sua origine e trasse il suo primo cruciale sviluppo nella diffusione,
parallelamente accademica e cittadina, di una opinione privata, che, ad
un certo punto della sua divulgazione, seppe farsi convinzione politica;
che quest’ultima […], sulla base del consenso che riuscì a provocare
attorno a sé, arrivò a […] organizzare la lotta politica [della
borghesia nascente] contro le autorità tradizionali» (pp. 267-268); che
Galilei, al contrario di quanto ancora si creda sul suo conto, debba la
sua svolta storica rivoluzionaria non all’eliocentrismo o alla
matematizzazione del mondo, ma alla scoperta di un pensiero (non tanto con gli oggetti ma) degli
oggetti; questo è un aspetto del tutto inedito di Galilei e che con
Calemme vale la pena di accogliere se si vuole elaborare prima o poi una
storia rigorosa della tecnologia.
Inoltre
se il testo di Calemme può sembrare superfluo, per chi come noi,
marxianamente, volesse riflettere sul ruolo, per nulla neutro, che la
tecnologia ricopre nel dominio borghese della società, scoprirà invece
che è uno scritto assolutamente necessario, ad esempio, per comprendere
la svolta digitale del mondo.
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