Viviana Correddu Commessa, delegata sindacale e scrittrice per passione
“Lui era così, come una specie di “fisiatra”, di quelli che quando hai ossa e articolazioni messe male, ti rimette in sesto con due semplici mosse. Con un paio di parole secche, infatti, ti riportava allo stato delle cose.” Non è l’unica volta durante la lettura che resto senza fiato. Per qualche minuto è capitato durante tutto il libro di fermarmi, a tratti, una mano sulla bocca, il respiro che sobbalza per un istante.
“Lo stato delle cose”, scrive Cinzia. Quelle concrete. Perché Don Gallo, in effetti, sapeva ridimensionare ogni macro difficoltà e spingerla verso quella potenziale capacità di trasformarla e superarla. Senza dare un ordine, senza mai far intendere quali potessero essere azioni utili, auspicabili, tanto meno “obbligate”. Senza proporre soluzioni immediate. Mi ha insegnato il valore dell’ascolto e della riflessione. Quel salto mentale di riassestamento che ognuno di noi è in grado di agire e che sa mettere in contatto diretto il cuore con la ragione con un obbiettivo: la scelta personale dentro la considerazione di ciò che ci sta intorno e ci attraversa.
Torno alla “recensione”, certamente parziale, ma sentita. Il libro di Mazzetti mi ha saputo coinvolgere. Concentra i ragionamenti e fa intervenire Don Gallo attraverso quella voce che dal vivo non possiamo più ascoltare, ma che nei tanti passaggi del libro sento nelle orecchie attraverso le cadenze, nel suo ritmo e tono, la sua ironia, la sua profonda opinione, il suo essere cattolico e prete. A tratti mi commuovo. Colgo passaggi che mi ricordano la grandezza dell’uomo e di quelle parole tratte dal suo amato Vangelo, quelle che lui sapeva rendere fruibili a chiunque. Anche a me che non ho mai voluto pregare alle sue messe, come in qualunque altra. Eppure le sue mi mancano moltissimo.
Ecco. Ciò che mi ha colpito di questo libro, è la capacità di Mazzetti di riportare in vita Don Gallo attraverso i tanti concetti parlati o scritti che pur non essendo contrassegnati da virgolettati, si riconoscono con naturalezza e istantaneità, pronti ad uscire dalla bocca di quello che per me è stato l’uomo, prima di tutto, e poi il prete, o forse entrambi in egual misura, in grado di illuminare all’improvviso la mia esistenza facendomi sentire parte, finalmente, di un mondo popolato da altre persone oltre me, con le quali entrare in relazione, di un contesto politico e sociale che aveva bisogno anche del mio contributo, per quel che potevo, e di una sinergia naturale con quella spiritualità che può non riconoscersi in una fede certa, ma che riesce a ritrovarsi in metafore universali e incontrovertibili che significano: apertura verso il prossimo, fratellanza, amore, perdono, amicizia, resurrezione (nel senso più esteso del termine).
La resurrezione non è un termine che compare casualmente in questo mio testo, e casuale non compare neppure dentro il libro in questione. Come compare premeditatamente, ne “La profezia del Don”, il nome di Gesù, nonostante non riesca a monopolizzarlo pur riempiendo le sue pagine. È infatti ciò che io non sono mai riuscita a raccontare in modo analitico e dettagliato, a far emergere, via via, tra le pagine che ho letto. La profondità di quella fede che è stata punto cardine della vita di Don Gallo, attraverso gli scritti inediti presenti nel libro e le testimonianze, è espressa in modo chiaro e immediato, come il senso profondissimo e concreto di quella vocazione che ha sempre mosso le sue azioni.
Vi accorgerete che quelle parole sanno raccontare l’attuale pur partendo da radici lontane e sanno lasciare liberi, soli con la propria coscienza, insieme e responsabili dentro la collettività. Un applauso quindi per quello che vuole essere l’inizio di una necessaria operazione di verità su di lui e sul valore storico e sociale della Comunità San Benedetto al Porto di Genova; un appello alla Chiesa e a questo Papa in cui Don Andrea Gallo riponeva grandi speranze di cambiamento e grande fiducia.
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