Fonte: sbilanciamoci.infoAutore: Marta Fana, Simone Fana
Il 16 giugno i lavoratori della
logistica e dei trasporti incroceranno le braccia a seguito dello
sciopero nazionale indetto dai sindacati di base per il rinnovo del
contratto. Ecco quale è la posta in gioco
Venerdì 16 giugno i lavoratori del settore logistica e trasporti incroceranno le braccia, a seguito dello sciopero nazionale indetto dai sindacati di base, in vista del rinnovo del contratto collettivo di riferimento. Una decisione che conferma l’alto tasso di conflittualità che attraversa l’intero comparto, investito negli ultimi anni da numerose vertenze che hanno riguardato grandi gruppi industriali come Coca Cola, TNT, GLS, Alitalia.
La logistica è diventato il motore di una nuova ondata di mobilitazioni che stanno ridisegnando il perimetro della lotta operaia, trasformando il quadro sindacale e l’intero assetto delle relazioni industriali. In questo contesto, si situano le rivendicazioni dei sindacati di base (Adl Cobas, Si Cobas, Cub, Sgb, Slai Cobas, Usi) che oggi confluiscono in una piattaforma per il rinnovo del CCNL. Tra le richieste avanzate al tavolo delle trattative vi è il riconoscimento del pluralismo della rappresentanza e del diritto a incidere sul sistema di nomina delle RSA e RSU a livello aziendale, nonché un ruolo di primo piano nella contrattazione nazionale. Oltre che al riassetto del sistema di rappresentanza sindacale, l’obiettivo deIlo sciopero generale appare quello di estendere nel nuovo CCNL i risultati ottenuti nelle singole vertenze, dall’inquadramento professionale all’organizzazione del lavoro, dall’eliminazione della figura del socio lavoratore sino alla riduzione dell’orario di lavoro e all’estensione degli istituti di Cassa Integrazione. Una piattaforma che incrocia una nuova vertenza sindacale che sta interessando 271 facchini e facchine della cooperativa Viadana Facchini nel mantovano, gestore dei servizi logistici per il gruppo Composad. Di fronte alla minaccia di esuberi, i lavoratori e le lavoratrici della Viadana Facchini hanno aperto un’ondata di scioperi e mobilitazioni, accendendo i riflettori sulle condizioni di ricatto e sfruttamento a cui sono sottoposti dalla dirigenza del gruppo.
La vitalità delle lotte nel settore della logistica rientra in un processo complessivo di trasformazione degli assetti produttivi e dell’organizzazione del lavoro, in cui il conflitto interno alla fabbrica si sposta progressivamente lungo la filiera produttiva. Un processo che va di pari passo con le politiche di esternalizzazione di interi settori della produzione che interessano ormai gran parte dell’industria manifatturiera e del settore pubblico. La scomposizione del ciclo produttivo che si afferma con la diffusione di catene di subappalto e di subfornitura assicura un risparmio sul costo del lavoro e svolge, quindi, un ruolo determinante come fattore di stratificazione della forza lavoro. Questa trasformazione dei processi incide non soltanto sulla logistica, ma anche sui servizi di pulizia e manutenzione ordinaria che le grandi imprese (e le amministrazioni pubbliche) appaltano a società e cooperative o ancora alle attività di post-vendita e marketing promozionale affidate ai call center – i cosiddetti servizi alle imprese. Sul versante pubblico, questo fenomeno trova impulso nel progressivo arretramento dello stato dalle funzioni di controllo e gestione dei servizi pubblici, ormai degradati in una logica puramente aziendalista. La valutazione dei servizi pubblici non avviene cioè in base all’efficacia nel rispondere ai bisogni collettivi per cui nascono, bensì alla redditività che questi garantiscono a chi li gestisce. Fenomeni che si accompagnano a una deriva ben più allarmante in cui il lavoro vivo è sostituito da forme di volontariato fittizio, come ha mostrato la vicenda che ha interessato i lavoratori della Biblioteca Nazionale di Roma.
La frammentazione indotta dalla presenza di segmenti di lavoratori con diverse tipologie di inquadramento contrattuale, con salari e tutele distinte in ordine alla posizione nel ciclo produttivo risponde all’esigenza di moltiplicare le contraddizioni interne ai lavoratori e contestualmente di indebolirne la forza contrattuale. Da un lato, non vi è nulla di diverso rispetto al meccanismo di frantumazione operato in seno a ciascuna delle fasi produttive, in cui per una stessa mansione si ritrovano lavoratori con trattamenti molto differenti tra loro: dipendenti a tempo indeterminato, con contratti a termine e a chiamata, interinali. Dall’altro lato, però in un’economia sempre più terziarizzata, la divisione della forza lavoro si innesca come fattore strutturale per le imprese al fine di garantire formalmente l’assenza di un riconoscimento collettivo delle condizioni di lavoro.
La centralità dal punto di vista economico dei servizi alle imprese spiega in termini strutturali perché siano proprio i lavoratori impiegati nei servizi a bassa qualificazione e concentrati nei segmenti produttivi a scarso valore aggiunto a sostenere l’aumento dell’occupazione. La strategia competitiva basata sul risparmio del costo del lavoro e il trasferimento del rischio di impresa e della volatilità produttiva sui lavoratori spiegano l’aumento dei contratti di somministrazione (+14,4% rispetto al 2016), ovvero la tipologia di lavoro più flessibile e dipendente dal ciclo economico e dalle esigenze dell’impresa.
Alla luce di queste dinamiche, i dati sulla crescita del volume di affari legato al settore della logistica vanno letti in controluce per mettere in risalto i meccanismi da cui traggono origine. Da un lato, la centralità della fase di circolazione delle merci nel capitalismo globalizzato, per cui l’accelerazione degli scambi e la separazione tra i luoghi di produzione e quelli di vendita, rende la logistica settore chiave per la realizzazione del valore stesso delle merci sul mercato. Dall’altro, le forme di organizzazione del lavoro sempre più povero e intensamente sfruttato. Dentro questo quadro d’insieme, emergono due tendenze contrapposte: la prima è quella che vede i lavoratori di questo settore caratterizzati da una estrema debolezza attuale sul mercato del lavoro, dal momento che possono essere sostituiti in ogni momento grazie alla concentrazione di un esercito di riserva di lavoratori a bassi salari e bassa qualificazione. La seconda, invece, pone gli stessi lavoratori in una condizione di forza all’interno del ciclo produttivo. Per intenderci, fermare oggi i canali di magazzinaggio e trasporto delle merci è l’azione più conflittuale che possa emergere perché appunto blocca l’intero processo di valorizzazione della produzione. La reazione a queste strategie di lotta non è facilmente scavalcabile da parte dell’impresa, né dall’impresa madre né da chi gestisce in appalto questi servizi, attraverso la delocalizzazione dell’attività, come spiega Beverly Silver nel suo libo cult “ Forze di Lavoro ”. Infatti, per quanto riguarda la logistica, la localizzazione delle imprese dipende fortemente anche dalle infrastrutture a disposizione che facilitano la circolazione delle merci. Nel caso dei servizi alle imprese non è immediato spostare le sedi, in quanto spesso collocate in luoghi strategici, si pensi alla City di Londra. Infine, rivolgendo lo sguardo ai lavoratori dei servizi pubblici esternalizzati, non è possibile dislocarli altrove – a meno di trasferimenti individuali – in quanto il servizio ha un connotato locale. In questo senso quindi l’unica vero ricatto è quello di fare leva sull’esercito industriale di riserva, cioè i tanti senza un lavoro, da sostituire ai lavoratori in lotta.
È dallo sbocco di questa tensione che dipende la possibilità di una ricomposizione del mondo del lavoro.
Con un eccesso di semplificazione è possibile affermare che il cuore delle lotte operaie riguarderanno sempre meno i lavoratori “interni” all’azienda madre, ma saranno sempre più espressione di conflitti che maturano nella periferia del ciclo produttivo. In questo quadro, la piattaforma rivendicativa per il rinnovo del CCNL logistica e trasporti contiene elementi utili per osservare le dinamiche di politicizzazione del conflitto operaio. Un’espressione che coglie il tentativo di spostare il terreno delle lotte dalla dimensione contrattuale e sindacale a quello delle scelte legate all’organizzazione della produzione, alla direzione degli investimenti e al collocamento della forza lavoro. Un elemento che rimane tuttavia ancora denso di contraddizioni e privo di sbocchi chiari.
Il rischio di una deriva “corporativa” nel settore della logistica non scompare, ma anzi rischia di essere prevalente in uno scenario caratterizzato dalla frammentazione della rappresentanza sindacale. Infatti, se i lavoratori della logistica hanno guadagnato nel tempo potere contrattuale rispetto al processo produttivo, valorizzando la centralità del comparto nella divisione tecnica del lavoro (il blocco delle attività di stoccaggio e trasporto delle merci compromette il processo di produzione), non è altrettanto certo che il terreno di mobilitazione si estenda all’insieme dei lavoratori coinvolti.
Il passaggio dalla rivendicazione di migliori condizioni contrattuali per i lavoratori del comparto alla ridefinizione dell’organizzazione della produzione dipenderà dalla capacità di riunificare il mondo della rappresentanza sindacale all’interno di un progetto di trasformazione degli assetti distributivi. Un passaggio che richiede un ripensamento dei contenuti e delle stesse forme organizzative della rappresentanza, che assuma la frammentazione del ciclo produttivo come variabile indipendente su cui ricostruire il terreno del conflitto con il capitale. Se è vero, infatti, che pur in una condizione di debolezza sul mercato dovuta alla natura dequalificata del lavoro e all’alto tasso di sostituzione a cui sono esposti i lavoratori della logistica, il ciclo di mobilitazione ha assunto tassi elevati, è anche vero che la ricomposizione di una cornice unitaria delle lotte richiede strumenti nuovi di controllo del mercato del lavoro e della domanda (di lavoro). Obiettivi politici, che rimettano in discussione le scelte strategiche dell’impresa, attraverso un controllo sulle decisioni che riguardano gli investimenti produttivi e l’organizzazione del lavoro. Un tema che si affianca alla necessità di collocare l’azione sindacale in una dimensione direttamente politica, che leghi la difesa del lavoro in una nuova articolazione dei poteri, a partire dalla relazione tra funzione pubblica e mercato, tra strutture e poteri privati e forme di controllo democratico. Come la riforma del sistema di collocamento che è stato attraversato da una processo di privatizzazione, che ha visto l’emergere di una fitta rete di agenzie private funzionali a garantire alle imprese il massimo di flessibilità del lavoro. In questo quadro, è prioritario avviare un terreno di convergenza tra la mobilitazione promossa dai sindacati di base, che confluisce nello sciopero generale del 16 giugno, e la manifestazione nazionale della Cgil prevista il 17 giugno. Solo una visione complessiva di società che interroghi tutti i livelli del potere economico e politico può consentire di sciogliere le divisioni sindacali in un progetto di avanzamento delle condizioni del lavoro. Diversamente le tendenze corporative diventeranno prevalenti e l’appello all’unità sindacale assumerà i tratti di un richiamo retorico tanto inutile quanto dannoso.
Venerdì 16 giugno i lavoratori del settore logistica e trasporti incroceranno le braccia, a seguito dello sciopero nazionale indetto dai sindacati di base, in vista del rinnovo del contratto collettivo di riferimento. Una decisione che conferma l’alto tasso di conflittualità che attraversa l’intero comparto, investito negli ultimi anni da numerose vertenze che hanno riguardato grandi gruppi industriali come Coca Cola, TNT, GLS, Alitalia.
La logistica è diventato il motore di una nuova ondata di mobilitazioni che stanno ridisegnando il perimetro della lotta operaia, trasformando il quadro sindacale e l’intero assetto delle relazioni industriali. In questo contesto, si situano le rivendicazioni dei sindacati di base (Adl Cobas, Si Cobas, Cub, Sgb, Slai Cobas, Usi) che oggi confluiscono in una piattaforma per il rinnovo del CCNL. Tra le richieste avanzate al tavolo delle trattative vi è il riconoscimento del pluralismo della rappresentanza e del diritto a incidere sul sistema di nomina delle RSA e RSU a livello aziendale, nonché un ruolo di primo piano nella contrattazione nazionale. Oltre che al riassetto del sistema di rappresentanza sindacale, l’obiettivo deIlo sciopero generale appare quello di estendere nel nuovo CCNL i risultati ottenuti nelle singole vertenze, dall’inquadramento professionale all’organizzazione del lavoro, dall’eliminazione della figura del socio lavoratore sino alla riduzione dell’orario di lavoro e all’estensione degli istituti di Cassa Integrazione. Una piattaforma che incrocia una nuova vertenza sindacale che sta interessando 271 facchini e facchine della cooperativa Viadana Facchini nel mantovano, gestore dei servizi logistici per il gruppo Composad. Di fronte alla minaccia di esuberi, i lavoratori e le lavoratrici della Viadana Facchini hanno aperto un’ondata di scioperi e mobilitazioni, accendendo i riflettori sulle condizioni di ricatto e sfruttamento a cui sono sottoposti dalla dirigenza del gruppo.
La vitalità delle lotte nel settore della logistica rientra in un processo complessivo di trasformazione degli assetti produttivi e dell’organizzazione del lavoro, in cui il conflitto interno alla fabbrica si sposta progressivamente lungo la filiera produttiva. Un processo che va di pari passo con le politiche di esternalizzazione di interi settori della produzione che interessano ormai gran parte dell’industria manifatturiera e del settore pubblico. La scomposizione del ciclo produttivo che si afferma con la diffusione di catene di subappalto e di subfornitura assicura un risparmio sul costo del lavoro e svolge, quindi, un ruolo determinante come fattore di stratificazione della forza lavoro. Questa trasformazione dei processi incide non soltanto sulla logistica, ma anche sui servizi di pulizia e manutenzione ordinaria che le grandi imprese (e le amministrazioni pubbliche) appaltano a società e cooperative o ancora alle attività di post-vendita e marketing promozionale affidate ai call center – i cosiddetti servizi alle imprese. Sul versante pubblico, questo fenomeno trova impulso nel progressivo arretramento dello stato dalle funzioni di controllo e gestione dei servizi pubblici, ormai degradati in una logica puramente aziendalista. La valutazione dei servizi pubblici non avviene cioè in base all’efficacia nel rispondere ai bisogni collettivi per cui nascono, bensì alla redditività che questi garantiscono a chi li gestisce. Fenomeni che si accompagnano a una deriva ben più allarmante in cui il lavoro vivo è sostituito da forme di volontariato fittizio, come ha mostrato la vicenda che ha interessato i lavoratori della Biblioteca Nazionale di Roma.
La frammentazione indotta dalla presenza di segmenti di lavoratori con diverse tipologie di inquadramento contrattuale, con salari e tutele distinte in ordine alla posizione nel ciclo produttivo risponde all’esigenza di moltiplicare le contraddizioni interne ai lavoratori e contestualmente di indebolirne la forza contrattuale. Da un lato, non vi è nulla di diverso rispetto al meccanismo di frantumazione operato in seno a ciascuna delle fasi produttive, in cui per una stessa mansione si ritrovano lavoratori con trattamenti molto differenti tra loro: dipendenti a tempo indeterminato, con contratti a termine e a chiamata, interinali. Dall’altro lato, però in un’economia sempre più terziarizzata, la divisione della forza lavoro si innesca come fattore strutturale per le imprese al fine di garantire formalmente l’assenza di un riconoscimento collettivo delle condizioni di lavoro.
La centralità dal punto di vista economico dei servizi alle imprese spiega in termini strutturali perché siano proprio i lavoratori impiegati nei servizi a bassa qualificazione e concentrati nei segmenti produttivi a scarso valore aggiunto a sostenere l’aumento dell’occupazione. La strategia competitiva basata sul risparmio del costo del lavoro e il trasferimento del rischio di impresa e della volatilità produttiva sui lavoratori spiegano l’aumento dei contratti di somministrazione (+14,4% rispetto al 2016), ovvero la tipologia di lavoro più flessibile e dipendente dal ciclo economico e dalle esigenze dell’impresa.
Alla luce di queste dinamiche, i dati sulla crescita del volume di affari legato al settore della logistica vanno letti in controluce per mettere in risalto i meccanismi da cui traggono origine. Da un lato, la centralità della fase di circolazione delle merci nel capitalismo globalizzato, per cui l’accelerazione degli scambi e la separazione tra i luoghi di produzione e quelli di vendita, rende la logistica settore chiave per la realizzazione del valore stesso delle merci sul mercato. Dall’altro, le forme di organizzazione del lavoro sempre più povero e intensamente sfruttato. Dentro questo quadro d’insieme, emergono due tendenze contrapposte: la prima è quella che vede i lavoratori di questo settore caratterizzati da una estrema debolezza attuale sul mercato del lavoro, dal momento che possono essere sostituiti in ogni momento grazie alla concentrazione di un esercito di riserva di lavoratori a bassi salari e bassa qualificazione. La seconda, invece, pone gli stessi lavoratori in una condizione di forza all’interno del ciclo produttivo. Per intenderci, fermare oggi i canali di magazzinaggio e trasporto delle merci è l’azione più conflittuale che possa emergere perché appunto blocca l’intero processo di valorizzazione della produzione. La reazione a queste strategie di lotta non è facilmente scavalcabile da parte dell’impresa, né dall’impresa madre né da chi gestisce in appalto questi servizi, attraverso la delocalizzazione dell’attività, come spiega Beverly Silver nel suo libo cult “ Forze di Lavoro ”. Infatti, per quanto riguarda la logistica, la localizzazione delle imprese dipende fortemente anche dalle infrastrutture a disposizione che facilitano la circolazione delle merci. Nel caso dei servizi alle imprese non è immediato spostare le sedi, in quanto spesso collocate in luoghi strategici, si pensi alla City di Londra. Infine, rivolgendo lo sguardo ai lavoratori dei servizi pubblici esternalizzati, non è possibile dislocarli altrove – a meno di trasferimenti individuali – in quanto il servizio ha un connotato locale. In questo senso quindi l’unica vero ricatto è quello di fare leva sull’esercito industriale di riserva, cioè i tanti senza un lavoro, da sostituire ai lavoratori in lotta.
È dallo sbocco di questa tensione che dipende la possibilità di una ricomposizione del mondo del lavoro.
Con un eccesso di semplificazione è possibile affermare che il cuore delle lotte operaie riguarderanno sempre meno i lavoratori “interni” all’azienda madre, ma saranno sempre più espressione di conflitti che maturano nella periferia del ciclo produttivo. In questo quadro, la piattaforma rivendicativa per il rinnovo del CCNL logistica e trasporti contiene elementi utili per osservare le dinamiche di politicizzazione del conflitto operaio. Un’espressione che coglie il tentativo di spostare il terreno delle lotte dalla dimensione contrattuale e sindacale a quello delle scelte legate all’organizzazione della produzione, alla direzione degli investimenti e al collocamento della forza lavoro. Un elemento che rimane tuttavia ancora denso di contraddizioni e privo di sbocchi chiari.
Il rischio di una deriva “corporativa” nel settore della logistica non scompare, ma anzi rischia di essere prevalente in uno scenario caratterizzato dalla frammentazione della rappresentanza sindacale. Infatti, se i lavoratori della logistica hanno guadagnato nel tempo potere contrattuale rispetto al processo produttivo, valorizzando la centralità del comparto nella divisione tecnica del lavoro (il blocco delle attività di stoccaggio e trasporto delle merci compromette il processo di produzione), non è altrettanto certo che il terreno di mobilitazione si estenda all’insieme dei lavoratori coinvolti.
Il passaggio dalla rivendicazione di migliori condizioni contrattuali per i lavoratori del comparto alla ridefinizione dell’organizzazione della produzione dipenderà dalla capacità di riunificare il mondo della rappresentanza sindacale all’interno di un progetto di trasformazione degli assetti distributivi. Un passaggio che richiede un ripensamento dei contenuti e delle stesse forme organizzative della rappresentanza, che assuma la frammentazione del ciclo produttivo come variabile indipendente su cui ricostruire il terreno del conflitto con il capitale. Se è vero, infatti, che pur in una condizione di debolezza sul mercato dovuta alla natura dequalificata del lavoro e all’alto tasso di sostituzione a cui sono esposti i lavoratori della logistica, il ciclo di mobilitazione ha assunto tassi elevati, è anche vero che la ricomposizione di una cornice unitaria delle lotte richiede strumenti nuovi di controllo del mercato del lavoro e della domanda (di lavoro). Obiettivi politici, che rimettano in discussione le scelte strategiche dell’impresa, attraverso un controllo sulle decisioni che riguardano gli investimenti produttivi e l’organizzazione del lavoro. Un tema che si affianca alla necessità di collocare l’azione sindacale in una dimensione direttamente politica, che leghi la difesa del lavoro in una nuova articolazione dei poteri, a partire dalla relazione tra funzione pubblica e mercato, tra strutture e poteri privati e forme di controllo democratico. Come la riforma del sistema di collocamento che è stato attraversato da una processo di privatizzazione, che ha visto l’emergere di una fitta rete di agenzie private funzionali a garantire alle imprese il massimo di flessibilità del lavoro. In questo quadro, è prioritario avviare un terreno di convergenza tra la mobilitazione promossa dai sindacati di base, che confluisce nello sciopero generale del 16 giugno, e la manifestazione nazionale della Cgil prevista il 17 giugno. Solo una visione complessiva di società che interroghi tutti i livelli del potere economico e politico può consentire di sciogliere le divisioni sindacali in un progetto di avanzamento delle condizioni del lavoro. Diversamente le tendenze corporative diventeranno prevalenti e l’appello all’unità sindacale assumerà i tratti di un richiamo retorico tanto inutile quanto dannoso.
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