Loretta Napoleoni Economista
E già, perché chi guadagna dalla crepa che si è aperta tra una sponda e l’altra dell’Atlantico è proprio Pechino.
A Davos il leader cinese Xi Jinpin ha difeso non solo la globalizzazione, ma il libero commercio mentre Trump a Davos non c’è neppure andato. Adesso è ancora la Cina, insieme a tutti gli altri, a puntare il dito contro il grande inquinatore, l’americano medio. E sicuramente è giusto condannare l’abbandono del trattato di Parigi, ma a monte ci sono realtà che vanno prese in considerazione per capire quanto sia complicato questo problema.
Gli americani hanno sempre inquinato più dei cinesi, ma non è colpa di Trump se lo fanno. E’ lo stile di vita occidentale che inquina. Anche noi europei inquiniamo in media molto più dei cinesi. Ma non basta, da almeno dieci anni, poi, la Cina investe pesantemente nell’energia rinnovabile, più di noi occidentali, per ridurre la dipendenza dagli idrocarburi.
Tutte queste cose le sapevamo anche durante gli anni dell’amministrazione Obama, ma ci siamo guardati bene dal raccontarle perché non ci facevano comodo.
Anche oggi ci sono cose che non diciamo per lo stesso motivo. Ad esempio ci fa comodo non parlare del rapporto tra clima, consumo energetico ed economia. Anche l’America negli ultimi anni ha iniziato a investire pesantemente nelle rinnovabili non perché a Parigi Obama ha firmato un accordo, ma perché questo settore sta diventato sempre più competitivo. Ed ecco alcuni esempi: l’emissione di diossido di carbonio negli Usa è ai minimi storici dal 1992, la gran parte dell’elettricità ormai viene creata da fonti energetiche alternative o dal gas naturale e non più dalle centrali di carbone. American Electric Power, una delle società elettriche più grandi d’America, utilizza sempre più gas naturale e fonti energetiche rinnovabili perché sono popolari con i consumatori e meno costose. In altre parole la transizione verso le rinnovabili è un fenomeno economico che nessuno, neppure Trump può fermare e nessuno può imporre, neppure Obama.
A
riprova di quanto detto, è bene ricordare che la politica di Obama per
tagliare l’emissione di diossido di carbonio ruotava intorno a principi economici e non ecologici.
Il gas naturale doveva continuare a rimpiazzare le centrali a carbone
fintanto che i costi relativi rimanevano ai livelli odierni, e cioè
bassi. Che significa? Che se diventasse più economico usare il carbone
la riconversione energetica si bloccherebbe. Fortunatamente non succederà grazie alla tecnologia moderna, non alla politica dell’amministrazione Obama.
Vale la pena fare un secondo esempio: nonostante lo sgravio fiscale offerto a chi acquista macchine elettriche negli USA queste ammontano ad appena l’1 per cento di tutti i veicoli che trasportano passeggeri. Se questo trend continuerà, nel 2025 arriveremo al 5 per cento appena. La riduzione totale dell’effetto serra sarà di mezzo punto percentuale se tutte le altre variabili rimangono fisse. Cioè nulla! Bisogna aggiungere che le macchine elettriche hanno bisogno di punti dove ricaricarsi, per crearli ci vogliono investimenti che Obama non ha mai stanziato.
Secondo gli accordi di Parigi, l’amministrazione Obama si impegnava a ridurre entro il 2025 l’emissione degli idrocarburi tra il 26 ed il 28 per cento al di sotto dei livelli del 2005. Gran parte di questi cambiamenti è già in atto per una serie di motivi che nulla hanno a che fare con chi siede alla Casa Bianca. Questi sono: il rallentamento della crescita economica a seguito della crisi finanziaria, cioè la deflazione con cui ci stiamo abituando a vivere; la rivoluzione del fracking, che ha abbattuto i costi del gas naturale e così facendo ha sostituito un terzo del consumo di carbone; il cambiamento nelle abitudini degli automobilisti, si guida di meno, specialmente nelle città.
Morale? Una volta tanto, l’economia rema in nostro favore. Parliamo di questo invece di Trump. Per una volta la decisione assurda di Trump non avrà un grande impatto perché nessuno, neppure lui può fermare l’innovazione tecnologica.
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