dinamopress Decide Roma
Sull’emergenza sgomberi l’inazione della Giunta Raggi è inaccettabile.
Se
non fosse tragica, la vicenda del patrimonio pubblico romano, del suo
uso e della sua gestione, sarebbe comica. Tra poche settimane, la Giunta
Raggi compirà il suo primo anno al governo della città: in un anno
intero, non un solo provvedimento, non un fatto concreto, non una presa
di posizione definitiva è arrivata da questa nuova Giunta a 5 Stelle,
per dare un minimo senso o significato alle troppe parole dette al
vento.
Per
mesi, ad ogni mobilitazione, ad ogni emergenza, ad ogni nuovo sgombero,
la Giunta e i Consiglieri hanno risposto che l’unico strumento di
risoluzione definitiva di questa tragicomica vicenda del patrimonio
pubblico poteva (e doveva) essere un nuovo Regolamento sulle
concessioni. Decide Roma si è sempre, costantemente dichiarata pronta ad
un confronto pubblico, democratico e partecipato, che affrontasse i
nodi fondamentali di questa nuova regolamentazione, sulla base dei
principi definiti ormai troppi mesi fa nella Carta di Roma Comune: i
principi dei beni comuni urbani. La proposta di avviare un vero e
proprio laboratorio sui beni comuni urbani, condiviso tra la città e
l’amministrazione, è costantemente caduta nel vuoto. Gli Assessori e i
Consiglieri dei Movimento 5 Stelle si sono rifiutati, sistematicamente,
di avviare qualunque percorso di partecipazione, perfino di minima
trasparenza, venendo meno alle promesse di volta in volta fatte e
preferendo discutere con le burocrazie amministrative dei dipartimenti –
gli unici soggetti che, a quanto pare, governano davvero questa città.
La Sindaca Virginia Raggi,
dal canto suo, ha invece preferito ignorare il problema, evitando con
cura di prendere parola su questo tema. Nel frattempo, del fantomatico
Regolamento non c’è neppure l’ombra. La VII Commissione Capitolina, che
dovrebbe occuparsi quasi solo di questo tema, non si convoca da mesi, al
contrario di tutte le altre Commissioni: perché proprio su questo tema
gli efficientissimi Consiglieri a 5 Stelle si rivelano fannulloni?
In
particolare, era il 10 marzo quando Decide Roma, con tanti spazi
sociali e tante associazioni della città, ha riempito piazza del
Campidoglio per rivendicare il pieno riconoscimento dei laboratori di
autogestione, autogoverno e associazionismo minacciati da sgomberi e
richieste economiche esorbitanti quanto ingiustificate. Nell'incontro
che ne è seguito, il 18 marzo, diversi rappresentanti della Giunta e
dell’Assemblea capitolina (il Vicesindaco Luca Bergamo, gli Assessori Andrea Mazzillo e Laura Baldassarre, la presidente della VII Commissione Valentina Vivarelli Consigliere Capitolino M5S, il presidente dell’Assemblea Capitolina Marcello De Vito, il consigliere Pietro Calabrese
M5S Consigliere Roma Capitale) hanno garantito che la presentazione del
nuovo Regolamento sarebbe stata imminente (all’epoca si parlava di tre
settimane al massimo), e che sarebbero state accolte le esigenze
espresse delle realtà sociali e di base. Stiamo ancora aspettando.
Nel
frattempo, però, i colpi di mano non si sono fermati: il più grave è
quello che – come è noto – ha coinvolto il Rialto. A pochi giorni dal
corteo di 10mila persone che il 6 maggio scorso ha di nuovo portato in
piazza la rivendicazione Roma Non Si Vende, la Giunta Raggi ha
sgomberato la sede del Forum Acqua Pubblica, salvo pubblicare la notte
prima un inedito (e inutile) “avviso pubblico” destinato a chi era stato
appena sgomberato: oltra al danno, la beffa!
A
dare uno scossone ad una politica inerte non è bastato neanche il
"ravvedimento" della Corte dei Conti, che con le prime sentenze ha
sconfessato il Procuratore Patti facendo cadere proprio quell’accusa il
danno erariale che – a detta degli stessi Assessori – rappresentava il
più grave e complicato dei problemi da affrontare. La Giunta ha
preferito continuare a perdere tempo, rifiutandosi di assumere compiti e
responsabilità politiche verso questo pezzo di città, riconoscendo solo
formalmente la ricchezza dell'autogoverno e della partecipazione ma nei
fatti negando qualsiasi effettivo spazio di confronto e di decisione.
Che
fine ha fatto il fantomatico Regolamento? Quali spazi di partecipazione
prevedono la Giunta e i Consiglieri per la sua definizione? Una
consultazione online o qualcosa di più serio, reale, democratico? E
ancora: perché non vengono ancora ritirate tutte le richieste di
sgomberi e di arretrati visto che non sussistono i presupposti? Il tempo
scorre e noi ci prepariamo alla seconda estate d'emergenza, esposti
alle scorribande dei vigili-sceriffo, all'eccesso di zelo
auto-cautelativo del Dipartimento Patrimonio, al muro di gomma della
Giunta e dei Consiglieri.
Eppure
principi della città solidale sono chiari e noti a tutti, definiti in
un percorso aperto e pubblico e fissati nella Carta di Roma Comune: no
all’ideologia del bando pubblico; riconoscimento dell’uso comune degli
spazi pubblici e dunque di beni comuni urbani; promozione della
partecipazione della cittadinanza anche in modalità informali;
valorizzazione delle esperienze storiche nei territori; radicale
ripensamento del rapporto burocratico tra Amministrazione e cittadinanza
attiva. Elementi di semplice buon senso, che – come abbiamo ripetuto
fino allo sfinimento, come continueremo a ripetere – sono alla base
delle regolamentazioni di più di 100 città in Italia. La stessa Virginia
Raggi proponeva esattamente un modello di questo tipo, quando era
ancora Consigliera di opposizione, durante la Giunta Marino: che cosa è
cambiato?
Chi
oggi governa Roma sembra incapace di rispondere alle più elementari e
incontrovertibili argomentazioni, discutendone alla luce del sole: si
preferisce, piuttosto, chiudersi nelle stanze dei Dipartimenti, con la
forza di un mandato elettorale ormai palesemente sconfessato e tradito
nella sostanza e nei suoi più importanti contenuti. E a fronte di questa
sordità e di questo arroccamento, c’è da sperare che la proposta non
consista un Regolamento pessimo: fatto di cavilli amministrativi
incomprensibili, obblighi concessori inaffrontabili, garanzie economiche
esose, modelli di bando assolutamente competitivi, delega di tutto il
potere discrezionale alle burocrazie dipartimentali, nessuna garanzia
reale e duratura per le esperienze sociali e culturali esistenti… La
battaglia per i beni comuni, a Roma, è una battaglia fondamentale, non
solo per garantire la salvaguardia di quelle esperienze territoriali,
sociali e culturali, associative e autogestite che – sole – per anni
hanno provato a rendere migliore questa città, ma anche e soprattutto
per riuscire a tenere aperto, con le unghie e con i denti, uno spazio di
democrazia dal basso e di partecipazione reale, contro chi oggi
ripropone i modelli stantii della delega in bianco, di una
rappresentanza tutta formale, di un decisionismo autoritario, di una
burocratizzazione legalitaria delle scelte politiche.
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