La stragrande maggioranza di utilizzatori di personal computer ha avuto davanti sempre e solo sistemi operativi Microsoft (DOS prima, Windows poi). L’utente medio è quindi generalmente portato a pensare che esista un unico modo di usare un computer e un unico modo di fare le cose, e che un computer possa fare tutto e solo quello che il proprio sistema fa e se non lo fa è perché non si può fare.
Davanti a una dimostrazione delle funzionalità di uno dei tanti sistemi (liberi) basati su Linux, generalmente l’utente in questione resta sempre abbastanza spiazzato. I commenti più frequenti sono: “non lo sapevo!”, insieme a: “credevo che fosse difficile da usare!”, chiari sintomi di ignoranza (il primo) e pregiudizio o disinformazione (il secondo). Cercheremo dunque di predisporre qui una mini-terapia d’urto in tre pillole per affrontare la fase acuta della malattia. Per un trattamento più accurato si rimanda alla sterminata documentazione sull’argomento reperibile in rete, in libreria o presso i gruppi (LUG, Linux User Group) locali sparsi per tutto lo stivale.
Di solito compriamo un computer già pronto all’uso, “chiavi in mano”. Windows è quasi sempre preinstallato in fabbrica (tra l’altro con una licenza di tipo “OEM”, cioè legata all’hardware e quindi non trasferibile ad un altro computer nel caso si voglia cambiare macchina). Spesso chiediamo al venditore di installarci (più o meno legalmente a seconda dell’onestà delle parti) tutto quello che ci serve, per cui non sempre sappiamo esattamente cosa abbiamo comprato, quali strumenti facciano parte della dotazione di Windows e quali siano stati aggiunti successivamente. In realtà Windows, da solo, è dotato di pochissimi strumenti preinstallati, per cui appena aperta la scatola si potrà al massimo navigare in internet, ascoltare musica o vedere delle foto. Windows è quindi “solo” poco più che un sistema operativo. Tutte le applicazioni che vi servono devono essere installate successivamente, una per una, scaricando i file di installazione dai relativi siti o inserendo di volta in volta CD o DVD.
I sistemi basati su Linux, invece, sono ben più che semplici sistemi operativi. Essi sono disponibili sotto forma di distribuzioni, cioè raccolte di software comprendenti un’abbondante (e variabile a seconda di chi l’ha realizzata e degli scopi per cui è stata creata) selezione di applicativi per la produttività personale, la manipolazione di file multimediali (audio, video, foto), per l’intrattenimento, la didattica, lo sviluppo software, la gestione del sistema e quant’altro, da installare insieme al sistema operativo. Inoltre quello che eventualmente dovesse mancare può essere cercato, trovato, scaricato e installato da un’apposita applicazione, attingendo agli archivi (repository) propri della distribuzione, contenenti per lo più software libero, ma non solo. Il concetto “installa l’app dallo store” è ormai familiare agli utilizzatori di smartphone, ma in realtà nasce ben prima di questi, proprio nel mondo delle distribuzioni Linux. Per fare un esempio: l’installazione di Ubuntu (la distribuzione Linux forse più nota) comprende anche la suite LibreOffice per la produttività individuale, programmi per la navigazione web e la posta elettronica, e Ubuntu Software Center, lo “store” da cui poter scegliere tra migliaia di programmi da scaricare con un click. Significa ad esempio che un istante dopo l’installazione potete rimettere mano alla tesi di laurea che stavate scrivendo con LibreOffice (che è già installato), o configurare il vostro account di posta su Thunderbird (che è già installato) per riavere a disposizione tutte le vostre mail e magari aprire quel file PDF allegato con un visualizzatore (che è già installato).
Fatto non secondario, anche l’aggiornamento dei programmi è centralizzato e avviene esattamente come qualsiasi altro pacchetto del sistema operativo: la presenza di nuove versioni dei programmi viene periodicamente controllata e notificata (l’aggiornamento è sempre una scelta libera e consapevole dell’utente. Ci siamo capiti…), esattamente come (oggi) siamo abituati a fare con i nostri smartphone. Considerando che Debian (distribuzione da cui deriva Ubuntu ed altre decine di “sorelle”) e il suo sistema di gestione dei pacchetti nasce nel 1993, possiamo anche dire che nei sistemi operativi Linux praticamente è sempre stato così.
Un altro dettaglio a cui probabilmente nemmeno gli utenti Linux fanno più caso, ma se lo ricordano subito quando assistono ad un aggiornamento su Windows: durante l’aggiornamento di qualunque applicazione in uso – kernel compreso – non è mai (!) necessario chiudere nessuna applicazione, che continua a funzionare regolarmente; in alcuni casi viene suggerito – mai imposto – il riavvio dell’applicazione; solo nel caso del kernel viene suggerito il reboot, che è l’unico modo per caricare la nuova versione. Ancora per poco, forse.
ANTIVIRUS CHI?
Il primo programma che si installa solitamente dopo Windows è un antivirus, per ovvi motivi. Ovvi per gli utenti di Windows, ma non per gli utenti di Linux: io lo sono da 16 anni (Mandrake Linux 7.1, la mia prima distribuzione, risale al 2000), e non ho mai installato un antivirus. I virus per Linux sono talmente pochi e talmente rari che gli antivirus sono considerati un inutile spreco di risorse. Quelli che esistono sono installati soprattutto su computer dove girano server di posta elettronica, e sono usati per proteggere i sistemi Windows da eventuali malware diffusi via e-mail.
Ciò non significa che Linux, i programmi per Linux o il software open source in genere siano esenti da vulnerabilità. Come detto altrove, “il software libero è libero, non perfetto: se no si chiamerebbe software perfetto”. Le vulnerabilità si trovano e si correggono esattamente come per il software proprietario (anzi, meglio, perché il codice sorgente è di pubblico dominio, sotto gli occhi di tutti e il processo avviene alla luce del sole, generalmente a velocità superiore che nel software proprietario). Ma i virus, quelli proprio non li ho mai visti, e anche in questo caso possiamo dire che nei sistemi operativi Linux praticamente è sempre stato così.
LIVE, OVVERO IL SISTEMA SEMPRE CON TE (ALTRO CHE CLOUD)
Diciamolo subito: non è sempre stato così. In passato l’installazione di un sistema operativo Linux era complicata, più di quella non semplice dei sistemi Windows coevi. Gli utenti Windows non ne hanno contezza dato che, come già detto, generalmente se lo trovano già installato nel PC, mentre gli utenti Linux generalmente se lo installano da sé e sicuramente lo installavano da sé nel passato di cui stiamo parlando. Anche per questa ragione col tempo gli sviluppatori hanno cercato di semplificare il processo di installazione, tanto che oggi è tutto molto semplice e amichevole: basta avviare il computer con il CD (o DVD, a seconda delle dimensioni della distribuzione, che dipendono essenzialmente da quanto software preinstallato è stato messo dentro) e seguire la guida passo-passo. Come Windows, ma con alcune differenze che non sono dettagli da poco:
se state cercando di installare Ubuntu (per esempio. Vale per tutte le distribuzioni) in un computer dove è già installato Windows, Ubuntu se ne accorge e vi chiede gentilmente se volete davvero cancellare tutto o se invece volete installare Ubuntu accanto a Windows, decidendo poi all’avvio del PC di volta in volta quale sistema scegliere da una lista che vi comparirà sul monitor. In questo secondo caso pensa a tutto lui (oppure potete scegliere di farvi lasciare i comandi e guidare voi l’installazione, ammesso che sappiate cosa fare), ritagliandosi spazio nell’hard disk e sistemando per bene il sistema. Per inciso, non vale il viceversa: installare Windows su un pc con un sistema Linux equivale a concedere a Windows l’autorizzazione a cancellare tutto, formattare l’hard disk e occupare tutto lo spazio a disposizione. Windows si comporta come Ubuntu solo se trova altre versioni di Windows, ma non se trova altri sistemi operativi. Gentile, vi pare?
probabilmente quello che avete inserito nel lettore è un Live CD (o DVD). Quasi tutte le distribuzioni di Linux nell’ultimo decennio si presentano ormai sotto questa forma. Vuol dire che anziché installare il sistema sull’hard disk potete scegliere di avviarlo come se fosse già installato. Nulla verrà toccato nell’hard disk, ma dopo qualche istante avremo a disposizione un sistema pienamente funzionante, cosa utile per familiarizzare con l’interfaccia e per verificare che tutto l’hardware sia ben supportato e funzionante prima di procedere a un’installazione vera e propria. Unica differenza sarà nelle prestazioni, a causa della minor velocità di accesso ai dati da un supporto ottico (CD e DVD) rispetto a uno magnetico (hard disk), e nella impossibilità di salvare configurazioni e nuovi programmi eventualmente installati. Quest’ultimo problema si può risolvere usando una Live USB, ovvero una distribuzione avviabile da chiavetta USB anziché da CD o DVD. Stesso principio, con il vantaggio di poter riservare spazio (a proposito, utente Windows: lo sapevi che puoi creare partizioni su una chiavetta USB?) per file e configurazioni personali del sistema live. Senza contare il fatto che una chiavetta USB occupa meno spazio di un disco. Davvero hai bisogno del cloud quando il tuo programma puoi tenerlo in tasca e farlo girare su qualsiasi computer?
È altamente probabile, quindi, che un utente Linux giri sempre con una o più chiavette USB in tasca con una qualche distribuzione live installata sopra: per avere sempre un sistema “familiare” a disposizione, magari da infilare nel primo pc a disposizione, ma anche come strumento di disaster recovery, anche (soprattutto?) di sistemi Windows, magari fuori uso e non avviabili per colpa di virus o malware. Infatti in questi casi si può avviare il pc con un sistema Linux Live (non può essere contagiato dagli eventuali virus, ricordate?) e mettere in salvo i dati copiandoli su un supporto esterno prima di procedere a formattazione e reinstallazione del sistema operativo. E dell’antivirus, e delle applicazioni, una ad una…
Adesso non potrete più dire che non lo sapevate!
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