Il suo nome è molto noto in Turchia, ma egli resta in larga misura un
mistero per il resto del mondo. Egli è un eroe per molti kurdi e un
criminale assetato di sangue per la maggioranza dei turchi. Abdullah
Öcalan è il leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). Ex
praticante del terrorismo, Öcalan ha riflettuto sulle mutevoli fortune
della sua organizzazione dopo il suo arresto ad opera dello stato turco.
Ha proseguito una svolta drammatica, che ebbe inizio negli anni ’90, da
figura leonina del PKK a intellettuale che in gran parte rifugge dalla
violenza del proprio passato. La transizione è notevole, dal momento che
Öcalan era il nemico numero uno in Turchia dal 1984, anno in cui ebbe
inizio la sollevazione violenta del PKK, fino allo spettacolare
sequestro a Nairobi nel 1999, con conseguente arresto da parte delle
autorità turche. Öcalan attualmente risiede nella prigione turca di
Imrali, laddove ha redatto la sua opera in tre volumi Scritti del
Carcere (Öcalan, 2007, 2011, 2012).
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Per circa 15 anni Öcalan ha languito in
una prigione turca quale unico detenuto, sorvegliato da 1500 soldati
turchi. Abdullah Öcalan è una figura solitaria, collocata in una remota
prigione turca al largo del Mar di Marmara.
Egli ha pertanto moltissimo
tempo a disposizione per ripensare le strategie della lotta per i
diritti del popolo kurdo e per l’indipendenza. Egli ha anche riflettuto
su altre questioni di cruciale importanza: la guerriglia violenta e le
tattiche terroristiche e le strategie del PKK, di ispirazione marxista
(compresi gli attacchi dinamitardi suicidi, le brutali uccisioni di
“collaboratori” presenti nei propri ranghi e le uccisioni indiscriminate
di civili), la natura dello stato turco e i suoi fondamenti ideologici,
le divisioni e la struttura feudale esistenti fra i kurdi, la storia
della civiltà,e i nuovi modelli per risolvere la Questione Kurda e i
problemi dell’umanità in generale. “Il PKK ha lanciato la maggior parte
dei suoi attacchi nei confronti delle forze di sicurezza turche, ma ha
anche attaccato altri siti turchi, in patria e all’estero, nonché civili
kurdi che non cooperavano con il gruppo”, ha scritto Greg Bruno (2007)
del Council of Foreign Relations.
Robert Pape (2003, p. 361) ha precisato
che negli anni ’80 e ’90 il ricorso alla tattica del terrorismo suicida
crebbe su scala mondiale “in larga misura perché i terroristi hanno
appreso che è una tattica pagante”. Nonostante le credenziali secolari,
il PKK di Öcalan si impegnò nel praticare il terrorismo suicida.
Tuttavia, tale forma di terrorismo non era centrale nell’ambito delle
operazioni del PKK. La campagna di attacchi suicidi del PKK ebbe inizio
il 30 giugno 1995 e si concluse il 5 luglio 1999. Circa due terzi degli
attacchi – una cifra fra 11 e 14 – furono intrapresi da donne e
condussero a meno di 20 morti (Kurth Cronin, 2003, p. 17). Il PKK
nutriva una preferenza, piuttosto, per la guerra di guerriglia, forma
bellica irregolare nell’ambito della quale un piccolo gruppo di
combattenti, quali civili armati o irregolari, utilizzano tattiche
militari come imboscate, incursioni, attacchi mordi-e-fuggi, come anche
ricorrono a una grande mobilità per combattere contro una forza militare
tradizionale e più vasta. Nel 1984 le operazioni di guerriglia del PKK
hanno inizio e comprendono un’incursione in una stazione di polizia
presso Siirt, il 17 agosto, che fu seguita da un attacco con l’uccisione
di tre membri della Guardia Presidenziale del Generale Evren a
Yüksekova e da un’imboscata in cui furono uccisi otto soldati turchi a
Çukurca. Quantunque fossero adottate dal PKK tattiche di guerriglia, ciò
non significava che non si commettessero anche attacchi terroristici,
il cui principale obiettivo erano dei civili. Quantunque la maggioranza
delle attività del PKK volgesse l’attenzione nei confronti di guardiani
di villaggio, poliziotti, postazioni militari, membri del PKK hanno
altresì fatto ricorso alla tattica degli attacchi dinamitardi suicidi in
località turistiche e in centri commerciali nelle città della Turchia
occidentale, in special modo durante la stagione turistica. In aggiunta
il PKK si è impegnato in attacchi terroristici suicidi contro civili,
fra i quali è incluso uno attuato a Istanbul il 25 dicembre 1991 (11
morti, 20 feriti); e vi è un presunto attacco del PKK in data 27 luglio
2008 (17 morti, 154 feriti).
I terroristi suicidi usano la “logica
strategica” del terrorismo suicida perché essa può strappare concessioni
politiche come l’espulsione di “forze occupanti” dal proprio territorio
o una limitata autonomia. Terroristi suicidi cercarono di indurre le
truppe israeliane a lasciare il Libano negli anni ’80, a lasciare la
Striscia di Gaza e la West Bank negli anni ’90; mentre altri hanno
premuto sul governo dello Sri Lanka perché si creasse uno stato
indipendente Tamil, dagli anni ’90 in avanti. Tuttavia Pape (2003, p.
361) insiste nel rilevare il fallimento del PKK quandò esso ricorse alla
tattica del terrorismo suicida: “In tutti i casi, fatto salvo quello
della Turchia, la causa politica terroristica ha prodotto guadagni
maggiori dopo il ricorso a operazioni suicide rispetto a quel che
avveniva prima”. Vale a dire che la tattica dell’attacco dinamitardo
suicida non ha consentito di conseguire concreti guadagni quali
l’autonomia o l’indipendenza per i kurdi, mentre ironicamente la cattura
di Öcalan ad opera dello stato turco ha configurato lo scenario per una
storica soluzione del conflitto turco-kurdo.
Per essere un uomo che ha vissuto con
un’arma al fianco, Öcalan dedica pochissime pagine alla violenza nel suo
scritto in tre volumi. Elemento nuovo di Öcalan è il suo approccio
storico ai kurdi e, in senso più ampio, alle civiltà mediorientali.
Questo documento porta avanti un’interpretazione gramsciana di Öcalan,
fondata sui suoi numerosi scritti successivi alla cattura da parte dello
stato turco; tuttavia argomenta anche che il leader del PKK si è
sprostato verso una più di “autonomia democratica”, in tal modo
scavalcando l’ex leader comunista italiano. Focalizzo in special modo
l’attenzione sulla Road Map di Öcalan, perché essa determina il quadro
contestuale per storici negoziati fra Öcalan e lo stato turco, al fine
di dare soluzione al conflitto di lunga data fra turchi e kurdi.
Nato ad Ales, in Sardegna (Italia) nel
1891, Antonio Gramsci fu un teorico politico e un leader del Partito
Comunista Italiano. Un eroe per i marxisti, in Italia e nel mondo, a
causa della sua resistenza al regime fascista di Benito Mussolini,
Gramsci scrisse le sue note dal carcere mentre era detenuto e morì in
una clinica di Roma controllata dalgoverno nel 1937 (Gramsci, 1971,
1992, 1996, 2007). Utilizzo Gramsci per agevolare nella comprensione dei
mutamenti nell’ambito culturale e civile che consentono di creare
spazio politico per nuove sintesi ideologiche (Gramsci, 1971, pp. 445;
506-507). Seguendo Gramsci, utilizzo gli scritti di Öcalan per
sottolineare il ruolo degli intellettuali nella storia. Idee
intellettueli rivestono un ruolo-chiave nel conformare la storia e nel
generare consenso fra la popolazione, nella società civile, in favore
oppure contro un contesto ideologico regnante. Un intellettuale è
persona la cui professione è incentrata sulla produzione e diffusione di
idee.
Gramsci (1971, pp. 131-133) ha distinto
fra intellettuali “organici” e “tradizionali”, con i primi congiunti a
una particolare classe sociale (borghesia o proletariato) e i secondi
collegati a un antico ordine socio-economico e a una “progetto
egemonico”. Öcalan non è un agente della borghesia e tantomeno del
proletariato in un senso dogmaticamente marxista, in quanto egli ha
criticato proprio il dogmatismo partitico dei Paesi comunisti e il
socialismo di mentalità ristretta del PKK in passato. Così, ad esempio,
nella prima parte degli scritti Öcalan (2007, pp. 234-236) ha asserito
che movimenti di liberazione socialisti e nazionali “hanno fatto un
eccessivo utilizzo della violenza”; lo stato comunista monopartitico era
uno “strumento per una stringente attuazione della comprensione
totalitaria dell’attività di governo”; la “dittatura del proletariato”:
era uno slogan “in larga misura motivato da scopi propagandistici”; e
non può esservi “alcun socialismo senza la democrazia”.
I fattori teoretici che esercitano
influenza su Öcalan sono svariati. La teoria democratica, l’anarchico
ecologista Murray Bookchin, Immanuel Wallerstein, la Nuova Sinistra, la
teoria femminista, Marx ed Hegel influenzano il pensiero di Öcalan.
Così, ad esempio, l’attenzione di Öcalan è focalizzata in anni recenti
sul confederalismo democratico e sull’autonomia democratica al di là
dello stato, sotto l’influenza dell’anarchico ecologista Murray Bookchin
(Akkaya, Jongerden, 2013). Il suo obiettivo è un modello di
civilizzazione nel quale “la civiltà democratica” è un traguardo del
modello di civilizzazione nel quale la “civiltà democratica” sarà
meramente una componente di una sintesi civilizzatrice che ancora è
nell’atto di emergere sul piano globale. Öcalan è favorevole alla
“democrazia contemporanea” e ai principi federalisti, e nel contempo
desidera una nuova sintesi storica delle civiltà mondiali (2007, pp.
255-256). Una nuova “democrazia del popolo”, argomenta Öcalan (2007,
p.237), fallirà in Medio Oriente se non sarà “superiore” alla democrazia
occidentale. Tale audace asserzione rafforza l’idea hegeliana che la
storia si dispiega verso un progresso universale e civilizzatore e che
la “democrazia contemporanea” è per il momento la più alta espressione
di tale progresso. Se una nuova sintesi civilizzatrice emerge, sostiene
Öcalan, essa avrà bisogno di costruirsi imperniata su un reale progresso
storico, realizzato come conseguenza dell’emergere di una “civiltà
democratica”: individualismo, stato di diritto, governo del popolo,
secolarismo e diritti delle donne.
Sia nei suoi giorni di praticante della
lotta armata che in quelli trascorsi nella sua cella di detenuto, Öcalan
è figura unica per il fatto che il mondo ne sa poco. Lo stesso non può
dirsi di Begin e Arafat, due eminenti leader mediorientali che hanno
fatto ricorso alla lotta armata per “liberare” i loro popoli. Inoltre,
mentre Öcalan è indiscutibilmente una voce della coscienza del popolo
kurdo, perché invece la questione kurda è relegata al rango di questione
secondaria in ambito internazionale, se comparata, per dire, con quella
palestinese o tibetana o basca o persino con quella nazionale del
Quebec? In un’epoca definita da Zbigniew Brzezinski (2007, pp.205-208)
come “era anti-imperialista” (vale a dire un’era di “risveglio
geopolitico a livello globale” e di decolonizzazione, nella quale non è
più accettabile che si governino altri popoli, in ragione dei principi
di autodeterminazione nazionale e di sovranità), appare alquanto strano
che i kurdi siano stati tenuti fuori dalla lista di nazioni meritevoli
di uno stato. A detta di un esperto riguardo ai kurdi, David Romano
(2008, pp. 346), “i kurdi sono spesso descritti come ‘la più grande
nazione del mondo priva di stato’,” e circa la metà dei 28 milioni di
kurdi in Medio Oriente provengono dall’interno del territorio
controllato dalla Turchia. Un altro eminente specialista riguardo ai
kurdi, Michael Gunter (2000, pp. 849), puntualizza che i kurdi
ricomprendono almeno il 20% della popolazione totale della Turchia e che
la cattura di Öcalan “ha segnato un inizio del tutto nuovo del
tentativo di risolvere il persistente problema kurdo della Turchia”. La
tragedia dei kurdi è consistita in una storia di brutale repressione
statale nonché di complicazioni pratiche nel cercare di conseguire
diritti culturali o il riconoscimento statale da quattro stati sovrani:
Turchia, Iraq, Iran e Siria.
Collegare Gramsci e Öcalan
Come sopra evidenziato, lo scopo di questo documento è di analizzare da una prospettiva gramsciana il terzo volume di scritti carcerari di Öcalan: la Road Map verso i negoziati. Utilizzo gli scritti carcerari di Gramsci, il suo esempio e le sue intuizioni teoretiche, al fine di spiegare la trasformazione del pensiero di Öcalan. In aggiunta, suggerisco che i contenuti della Road Map offrono ai kurdi, ai turchi e agli altri popoli nel Medio Oriente una via d’uscita dai percorsi senza sbocchi dell’autoritarismo, del nazionalismo acritico e dell’assimilazionismo statuale. Lo stato turco e il PKK hanno a disposizione una storica opportunità, offerta dalla Road Map, e potrebbero cogliere il frangente favorevole al fine di mutare radicalmente le relazioni turco-kurde. Qualora questo favorevole momento storico fosse colto, anche il destino dei kurdi al di fuori della Turchia potrebbe essere trasformato. In aggiunta, la Road Map ci offre un modello per la soluzione di conflitti etnici di lunga data nella regione, quantunque non vi siano due conflitti che possano essere risolti in maniera simile. Nel primo volume di scritti carcerari, Öcalan (2007, pp. 296-297) argomenta che “abbiamo raggiunto un momento storico nel quale possiamo “tentare una soluzione della Questione Kurda con mezzi democratici e pacifici”, mentre insiste nel sostenere che i kurdi costituiranno “una fondamentale forza apportatriche di pace e democrazia” per l’intero Medio Oriente.
Come sopra evidenziato, lo scopo di questo documento è di analizzare da una prospettiva gramsciana il terzo volume di scritti carcerari di Öcalan: la Road Map verso i negoziati. Utilizzo gli scritti carcerari di Gramsci, il suo esempio e le sue intuizioni teoretiche, al fine di spiegare la trasformazione del pensiero di Öcalan. In aggiunta, suggerisco che i contenuti della Road Map offrono ai kurdi, ai turchi e agli altri popoli nel Medio Oriente una via d’uscita dai percorsi senza sbocchi dell’autoritarismo, del nazionalismo acritico e dell’assimilazionismo statuale. Lo stato turco e il PKK hanno a disposizione una storica opportunità, offerta dalla Road Map, e potrebbero cogliere il frangente favorevole al fine di mutare radicalmente le relazioni turco-kurde. Qualora questo favorevole momento storico fosse colto, anche il destino dei kurdi al di fuori della Turchia potrebbe essere trasformato. In aggiunta, la Road Map ci offre un modello per la soluzione di conflitti etnici di lunga data nella regione, quantunque non vi siano due conflitti che possano essere risolti in maniera simile. Nel primo volume di scritti carcerari, Öcalan (2007, pp. 296-297) argomenta che “abbiamo raggiunto un momento storico nel quale possiamo “tentare una soluzione della Questione Kurda con mezzi democratici e pacifici”, mentre insiste nel sostenere che i kurdi costituiranno “una fondamentale forza apportatriche di pace e democrazia” per l’intero Medio Oriente.
Inoltre, argomento che la Road Map è un
testo collegato alla vocazione meta-politica gramsciana. “Vocazione
meta-politica” implica qui quanto segue: (1) intellettuali che rifiutino
interventi politici diretti e attivismo di stampo parlamentare ed
extraparlamentare e focalizzino le loro energie sul mutamento di cuori e
menti e sulla “conquista”della società civile; (2) un attaccamento a
quella che Robert Nozick (1974 in Zaibert, 2004, p. 113) ha argomentato
essere “la fondamentale questione di filosofia politica, questione
previa agli interrogativi su come lo stato dovrebbe essere organizzato”;
e (3) una forma sofisticata di politica che non è allontanamento dalla
politica, ma prosecuzione della “guerra” mediante strumenti
“non-violenti” (Bar-On, 2013, p.3). Al fine di distanziarsi da strategie
fasciste o bolsceviche di “assalto frontale allo stato”, Öcalan fa
avanzare la nozione di “guerra di posizione” di Gramsci, ovvero la
centralità di una politica di lotta ideologica (Bar-On, 2013, p. 3).
Gramsci (1971, p. 481) puntualizzò che
la lotta politica è “enormemente piùcomplessa” della guerra perché
include entrambi gli elementi, consenso e forza. Inoltre, Gramsci (1971,
pp. 479-480) insisteva nel sostenere che “più grande è la misura
dell’apocalittico, maggiore è il ruolo che deve essere rivestito da
forze illegali”, o in senso opposto “quanto più grandi siano le forze
istruite e politicamente organizzate, tanto più è necessario ‘coprire’
lo stato legale”. Gramsci (1971, p. 481) puntualizzò che vi erano “tre
forme di guerra”: guerra di movimento, guerra di posizione, attività di
guerra sotterranea. Egli spiega che la resistenza passiva di Gandhi è
“una guerra di posizione, che in taluni momenti diviene guerra di
movimento e in altri attività sotterranea” (Gramsci, 1971, p.481). Egli
sottolinea anche che i boicottaggi rientrano nell’ambito delle guerre di
posizione, gli attacchi sono un tipo di guerra di movimento, e la
preparazione svolta in segreto di armi e truppe da combattimento è
considerata come guerra sotterranea (Gramsci, 1971, p. 481).
La comprensione, da parte di Öcalan,
della “guerra di posizione” è invero mutata a partire dalla sua cattura
ad opera dello stato turco. Dovremmo ricordare che un novero di gruppi
terroristici -dall’OLP all’IRA all’ETA- ha “in misura crescente
rinunciato alla violenza e a obiettivi massimalisti alla luce della fine
della Guerra Fredda, del venir meno dell’Unione Sovietica
marxista-leninista e di cicli di violenza terroristica che hanno portato
al rafforzamento della potenza degli stati” (Bar-On, 2009, p.257).
L’appello di Öcalan per la diffusione globale della civiltà democratica,
le mordenti critiche al nazionalismo di ristrette vedute e al marxismo
dogmatico e il rifiuto dell’utilizzo della violenza dovrebbero essere
considerate nel contesto di questi cambiamenti globali. Il processo di
“conversione” di Öcalan dovrebbe essere analizzato con riferimento a
forze esterne (vale a dire, la lotta armata che non ha funzionato e non
consentirà ai kurdi di conseguire piena autonomia culturale o
indipendenza), in combinazione con riflessioni interiori accelerate
dall’esperienza della prigionia (Bar-On, 2009, p. 258). Quel che Öcalan
condivide con le prospettive hegeliana e marxista è che la storia si
delinea progressivamente in direzioni di contesti socio-economici o
politici, più razionali e più elevati spiritualmente, su scala
universale (Bar-On, 2009, p. 258).
Come Gramsci, Öcalan postula un punto di
vista meno dogmatico riguardo alla storia, nel quale non vi è alcuna
“fine della storia” (Fukuyama, 1989, p. 3-18) e le lotte politiche
restano eternamente aperte e assoggettate a costante movimento e
cambiamento. Egli anche, come Gramsci, è propositore dell’importanza
della conquista della società civile, perché è lì che l’attività
rivoluzionaria dovrebbe essere diretta nel mondo contemporaneo. Per
Öcalan, la società civile “comprende lo strumento delle possibilità
democratiche – che schiude la porta a sviluppi fin qui impossibili”
(Öcalan, 2007, p. 227). È attraverso il terreno della cultura, inclusi i
media, internet e il sistema educativo e la consapevolezza popolare,
che Öcalan spera di condurre il popolo kurdo alla sua “terra promessa”
di liberazione, in una maniera che risultava impossibile mediante la
lotta armata.
L’appello di Öcalan per un
cessate-il-fuoco, lanciato dalla prigione di Imrali nella primavera
2013, ha costituito il prosieguo della sua fede nelle possibilità di un
radicale cambiamento attraverso la società civile e la “guerra di
posizione”. Nello storico appello, Öcalan ha asserito: “Una nuova era ha
inizio su di noi. Una porta si sta aprendo, da un processo di
resistenza armata a uno di politica democratica” (21 marzo 2013). Egli
ha enfatizzato che una “nuova mentalità” sta emergendo, fondata sulla
triade di diritti democratici, libertà ed eguaglianza. Öcalan ha
ribadito il suo rifiuto della violenza, nell’annuncio del
cessate-il-fuoco: “Siamo giunti a un punto in cui diciamo: tacciano le
armi, abbiano voce le opinioni e la politica” (21 marzo 2013).
Tuttavia, come per Gramsci, per Öcalan
l’opzione di una falange armata non è completamente esclusa dal tavolo
delle opzioni. Obiettivi militari e polizieschi sono stati attaccati con
regolarità dal PKK nel 2012. L’utilizzo della falange armata del PKK
dipenderà da se lo stato turco adempirà al proprio impegno verso i
kurdi, nei termini della road map concordata, se rispetterà i diritti
individuali, quali la libertà d’espressione e l’uguaglianza, e se
garantirà ai kurdi diritti collettivi, che includano diritti legali,
linguistici, d’istruzione e di trasmissione. Il desiderio della Turchia
di unirsi all’UE l’ha condotta a cambiare molte delle proprie leggi,
incluso il dispositivo sulla condanna a morte di Öcalan, come anche le
sue norme sui partiti politici, sulla stampa, sulle associazioni
(Alexander et al., 2008, pp. xvii). Tuttavia, con un’iniziativa che è
stata vista come rivolta verso il PKK e i suoi campi terroristici in
Iraq, nel 2007 il Parlamento turco ha revisionato la Legge per la Lotta
al Terrorismo “ampliando sostanzialmente i crimini punibili in quanto
offese terroristiche” (Alexander et al., 2008, p. xxii). Nell’ottobre
2007 il PKK annunciò un cessate-il-fuoco unilaterale, mentre era
simultaneamente impegnato in attacchi terroristici contro la Turchia a
partire dalla proprie basi in Iraq settentrionale. Questi attacchi del
PKK condussero ad attacchi aerei turchi contro obiettivi kurdi in Iraq.
Öcalan (2008) argomenta che
l’indipendenza non è una precondizione necessaria per il rispetto dei
diritti culturali e linguistici dei kurdi: “Eguali diritti all’interno
di una Turchia democratica” è lo slogan. Come Öcalan (2008: 39) ha
scritto: “offro alla società turca una soluzione semplice. Noi chiediamo
una nazione democratica. Noi non ci opponiamo a uno stato unitario e
alla repubblica. Noi accettiamo la repubblica, la sua struttura unitaria
e il laicismo [secolarismo]. Noi crediamo, tuttavia, che essa debba
essere ridefinita come stato democratico rispettoso dei popoli, delle
culture e dei diritti”. Rammentate che la “guerra di posizione” di
Gramsci includeva elementi non-violenti quali i boicottaggi, mentre
l’uso della forza potrebbe anche costituire un’opzione attraverso
“un’attività bellica sotterranea”.
Analisi del terzo volume di scritti dal carcere: la Road Map
In questa sezione analizzo nella sua completezza la parte terza degli scritti dal carcere di Öcalan: la Road Map verso i negoziati. Argomento che la Road Map è coniugata con la vocazione meta-politica gramsciana, ma che i contenuti del documento sono proposte più radicali delle idee dell’ex leader del Partito Comunista Italiano. Come Öcalan ha puntualizzato (2007, 2011, 2012) nei suoi tre volumi di scritti carcerari, i kurdi hanno fronteggiato una duplice tragedia storica: 1) l’eredità dell’assimilazione nazionale e statuale per mano degli stati turco, iraniano, iracheno e siriano; e 2) il protratto fallimento nel risolvere la Questione Kurda in un modo che garantisse ai kurdi indipendenza, autonomia, confederalismo, o uguali diritti –civili, politici e culturali– all’interno dei quattro principali stati-nazione abitati da kurdi. L’eredità dell’assimilazione nazionale e statuale ha persino minacciato i kurdi di estinzione in Turchia, agli inizi del ventesimo secolo, e più recentemente in Iraq. In “Un problema dall’inferno”, Samantha Power (2003) esamina i principali genocidi del ventesimo secolo, includendo la poco nota campagna Al-Anfal, lanciata dal regime ba’athista di Saddam Hussein nel periodo 1986-1989 e che in base alle stime ha comportato l’uccisione di circa 180000 kurdi. Le grottesche fotografie riguardanti attacchi con gas chimici contro donne e bambini indifesi, ad Halabja, hanno prodotto choc nella comunità internazionale, ma pochi in Occidente invocarono l’azione contro il brutale regime ba’athista all’epoca, quando l’Occidente paventava la diffusione di un’altra teocrazia islamista in stile iraniano in Medio Oriente, nel contesto della guerra fra Iran e Iraq (1980-88). In Turchia, i kurdi come anche i turchi hanno pagato un prezzo gravoso. Dal 1984 al 1999, periodo dell’insurrezione del PKK, vu furono fra 31000 e 37000 morti (in maggioranza kurdi), 3000 villaggi distrutti e circa 3 milioni di sfollati interni (Gunter, 2000, p.849; 2007, pp. 166-167).
In questa sezione analizzo nella sua completezza la parte terza degli scritti dal carcere di Öcalan: la Road Map verso i negoziati. Argomento che la Road Map è coniugata con la vocazione meta-politica gramsciana, ma che i contenuti del documento sono proposte più radicali delle idee dell’ex leader del Partito Comunista Italiano. Come Öcalan ha puntualizzato (2007, 2011, 2012) nei suoi tre volumi di scritti carcerari, i kurdi hanno fronteggiato una duplice tragedia storica: 1) l’eredità dell’assimilazione nazionale e statuale per mano degli stati turco, iraniano, iracheno e siriano; e 2) il protratto fallimento nel risolvere la Questione Kurda in un modo che garantisse ai kurdi indipendenza, autonomia, confederalismo, o uguali diritti –civili, politici e culturali– all’interno dei quattro principali stati-nazione abitati da kurdi. L’eredità dell’assimilazione nazionale e statuale ha persino minacciato i kurdi di estinzione in Turchia, agli inizi del ventesimo secolo, e più recentemente in Iraq. In “Un problema dall’inferno”, Samantha Power (2003) esamina i principali genocidi del ventesimo secolo, includendo la poco nota campagna Al-Anfal, lanciata dal regime ba’athista di Saddam Hussein nel periodo 1986-1989 e che in base alle stime ha comportato l’uccisione di circa 180000 kurdi. Le grottesche fotografie riguardanti attacchi con gas chimici contro donne e bambini indifesi, ad Halabja, hanno prodotto choc nella comunità internazionale, ma pochi in Occidente invocarono l’azione contro il brutale regime ba’athista all’epoca, quando l’Occidente paventava la diffusione di un’altra teocrazia islamista in stile iraniano in Medio Oriente, nel contesto della guerra fra Iran e Iraq (1980-88). In Turchia, i kurdi come anche i turchi hanno pagato un prezzo gravoso. Dal 1984 al 1999, periodo dell’insurrezione del PKK, vu furono fra 31000 e 37000 morti (in maggioranza kurdi), 3000 villaggi distrutti e circa 3 milioni di sfollati interni (Gunter, 2000, p.849; 2007, pp. 166-167).
Nel leggere la Road Map si ricava una
distinta sensazione che i kurdi e la Turchia sono sull’orlo di un
precipizio che conduce a una storica soluzione per la Questione Kurda in
Turchia. Come Öcalan scrive (2012, p. 14) nella prefazione alla Road
Map, lo spirito di ottimismo ha permeato persino lo stato turco, con il
Presidente Abdullah Gül che è giunto ad asserire quanto segue, nel 2009,
riguardo alla Questione Kurda: “Dorà essere risolta – Non c’è altra
via”. La guerra di guerriglia fra stato turco e PKK ha portato
all’uccisione di molte persone innocenti. Tuttavia, invero si costruisce
la pace fra ex nemici. Chi sarebbe stato in grado di immaginare gli
Accordi di Oslo fra il leader dell’OLP, Yasser Arafat, e l’ex Primo
Ministro israeliano Yitzhak Rabin? Chi avrebbe sognato di negoziati
segreti fra lo stato turco e Abdullah Öcalan? Per molti turchi Öcalan è
un terrorista e un criminale di guerra; un uomo che ha ordinato
raccapriccianti attacchi dinamitardi suicidi contro civili turchi e
soldati; un traditore della nazione turca. Per molti kurdi, d’altro
canto, lo stato turco punta allo sterminio dei kurdi e Öcalan è un eroe
perché si batte per la causa kurda.
La Road Map è un documento storico
unico. Narra la storia del processo di dialogo segreto fra Öcalan e lo
stato turco. Tali negoziati ebbero inizio nel 2009, ma furono interrotti
a metà del 2011. Le proposte della Road Map per la soluzione del
conflitto hanno poco a che fare con il marxismo o il nazionalismo del
passato del PKK. Tali soluzioni certamente non minacciano il governo
nazionalista, secolare e di orientamento islamista del turco Recep
Tayyip Erdoğan alla stessa stregua di uno stato kurdo indipendente.
Tuttavia l’interrogativo resta: la Turchia è preparata ad acconsentire
alle proposte della Road Map di Öcalan per una “nazione democratica” e
“una patria comune” per i Kurdi? Tali proposte più moderate –che
respingono la lotta armata e il marxismo e fanno appello per uguali
diritti politici, civili e culturali per i kurdi all’interno della
Turchia– sono ancora troppo terrificanti per lo stato turco? Tali
proposte sono inoltre problematiche per gli altri stati nella regione
alle prese con un “problema kurdo”? Costituiscono una minaccia per le
grandi potenze?
La Road Map è suddivisa in sei sezioni:
introduzione, concetti, quadro teoretico e principi, il problema della
democrazia e la soluzione di una costituzione democratica in Turchia, la
Questione Kurda e le prospettive per la sua soluzione, piano d’azione,
conclusioni. Il libro contiene anche utili note editoriali da parte di ,
organizzazione con sede a Colonia responsabile per la pubblicazione
della Road Map. Infine, la prefazione alla Road Map è scritta da
Immanuel Wallerstein (nato nel 1930), teorico di sistemi globali di
rinomanza mondiale, che combina intuizioni del marxismo e del
neo-marxismo, dello storico francese Fernand Braudel (1902-85) e della
teoria della dipendenza.
La nota editoriale redatta
dall’Iniziativa Internazionale rileva che le dure condizioni di
detenzione di Öcalan a Imrali (egli, ad esempio, non può scrivere o
ricevere lettere; non può effettuare nemmeno chiamate telefoniche, né
ricevere visite, fatte salve quelle dei suoi avvocati e di fratelli e
sorelle) hanno fatto guadagnare alla prigione il “soprannome” di
“Guantanamo d’Europa” (Öcalan, 2012, p. 5). Ci viene anche detto che una
delegazione statale turca “ha assicurato a Öcalan che Erdogan si è
trovato d’accordo con il 95% della Road Map” (Öcalan, 2012, p. 7). Dopo
le elezioni parlamentari del giugno 2011 il Partito della Giustizia e
dello Sviluppo guidato da Erdogan (Adalet ve Kalkınma Partisi – AKP) ha
conseguito il suo terzo mandato governativo, mentre il PKK stava
predisponendo il proprio disarmo e Öcalan redigeva brevi protocolli
volti all’istituzione di una commissione per la verità e la
riconciliazione e alla creazione di una costituzione democratica
(Öcalan, 2012, p. 7). Il governo turco non diede alcuna risposta scritta
o verbale alle misure proposte da Öcalan, conducendo in tal modo il
leader del PKK a ritirarsi dai colloqui nel luglio 2011 (Öcalan, 2012,
p. 7). Lo stato turco ha riavviato le sue operazioni militari contro
aree kurde (sono da annoverare accuse riguardo all’utilizzo di armi
chimiche), conducendo alla perdita di ulteriori vite di civili, mentre
arresti di massa hanno preso di mira membri di partiti politici kurdi,
scrittori, accademici, giornalisti. In aggiunta, l’accresciuto
isolamento di Öcalan, dal momento che 36 dei suoi legali sono stati
arrestati e nessuno fra i suoi legali poteva fargli visita (Öcalan,
2012, p. 7). Come risultato, scrive ironicamente l’Iniziativa
Internazionale in riferimento alle condizioni di prigionia di Öcalan:
“Parlando in senso stretto, nessuno sa se sia ancora vivo” (Öcalan,
2012, p. 8). Le note editoriali si concludono ad ogni modo con una nota
di maggior speranza, suggerendo che, quantunque “l’islamo-nazionalismo
sia destinato a diventare componente intrinseca della società turca”,
Öcalan “impersona la voce della ragione”; “la Road Map è ancora valida”;
e s’insiste sul dato che “è la sola soluzione non-militare che sia
stata proposta da qualcuno” (Öcalan, 2012, p. 8).
La prefazione di Wallerstein è un buon
punto di partenza per la Road Map di Öcalan. Essa ci introduce alle
principali questioni teoretiche di The Road Map, che sono più ampie
della Questione Kurda. Studioso dell’economia mondiale capitalista con
radici nell’Europa del 16esimo secolo e dell’emergeredi moderno sistema
mondiale, Wallerstein scorge in tale sistema quattro contraddizioni: 1)
la ricerca della sovranità statale; 2) il desiderio di tutti gli stati
di diventare nazioni; 3) le richieste che gli stati siano democratici; e
4) le modalità con cui il capitalismo conserva il proprio equilibrio al
fine di sopravvivere (Wallerstein, in Öcalan, 2012, p.10). Come Marx,
Karl Kautsky (1854-1938) e Öcalan, Wallerstein è convinto che “l’azione
politica avrà effetto sulla lotta in ambito mondiale riguardo a quale
tipo di sistema sostituirà il sistema capitalistico mondiale ora
condannato” (Wallerstein in Öcalan, 2012, p. 13). Tuttavia, prima che il
sistema capitalistico mondiale decada, Wallerstein insiste nel
sostenere che la soluzione della Questione Kurda in Turchia dipenderà
dalla potente spinta dello stato turco per rafforzare la propria
sovranità, sia all’interno che verso l’esterno; dal desiderio di molti,
in Turchia, nello stato come nella società civile, di riaffermare un
giacobinismo dogmatico che non riconosce il pluralismo nazionale o
etnico; e dal modo in cui le lotte nel mondo intero incideranno sulla
spinta kurda in favore dei diritti democratici e dell’autonomia. Sotto
tale aspetto, è possibile che la crisi finanziaria del 2008-2009, Occupy
Wall Street, il movimento degli Indignati in Spagna e Portogallo, le
proteste popolari antigovernative in Grecia e la Primavera Araba abbiano
tutte il potenziale per incidere sulla lotta kurda. Invero, le proposte
di Öcalan per la soluzione della Questione Kurda riecheggiano
preoccupazioni dei summenzionati dimostranti, in termini di desiderio di
democrazia diretta piuttosto che rappresentativa, critica del potere
sproporzionato del denaro nel processo politico, richiesta più radicale
di democratizzare la società andando “oltre i precedenti progetti
politici modernisti” e così mettere fine alla divisione fra governanti e
governati (Gill, 2008, p.245). Mentre Gramsci e Öcalan un tempo
vedevano il Partito Comunista come elemento-chiave nell’azione di lotta
contro-egemonica, oggi Öcalan è un profeta di una democrazia
maggiormente radicale e popolare, che sfida sia gli stati che le élites
dogmatiche di sinistra. Öcalan è un propositore di “autonomia
democratica”, la quale è una forma della democrazia che considera i
cittadini nell’ambito della società civile come suo punto di partenza;
si muove oltre le elezioni come elemento centrale per la democrazia; e
sfida i rappresentanti intesi come agenti-chiave del processo
democratico (ad esempio, i leader dei partiti, i politici, i funzionari
statali, …).
In quanto sostenitore “dell’autonomia
democratica”, Öcalan ritiene che società civile (includendovi le
minoranze, i gruppi culturali, le comunità religiose, …) e forme dirette
di democrazia sostituiscano élites politiche “rappresentative” quali
agenti principali della democrazia e del mutamento sociale. Come Öcalan
(2008, p. 32) scrisse in Guerra e Pace in Kurdistan, in riferimento alla
“autonomia democratica” gli agenti “di questo tipo di autogoverno non
sono autorità a base statuale”, bensì i popoli sovrani che cercano di
conseguire l’autogoverno democratico in tutti gli aspetti della loro
vita. Tale posizione riecheggia una tradizione democratica di lunga
data, che argomenta che vi sono “diverse strade verso la democrazia”;
democrazia non ricomprende elezioni meramente formali”; e la democrazia
diretta è maggiormente rappresentativa ed equa, se comparata con forme
“elitarie” di democrazia rappresentativa (Rosanvallon, 2008).
Ahmet Hamdi Akkaya e Joost Jongerden
(2012) confermano l’orientamento di Öcalan verso la “democrazia
radicale”, e argomentano che esso ha condotto a una profonda
trasformazione ideologica del PKK negli anni 2000. Tali autori
sostengono che il progetto per la democrazia radicale è fondato
sull’idea di “politica oltre lo stato, politica oltre il partito,
soggettività politica oltre la classe”. Come risultato, tale concezione
della politica è in grado di minare, concepibilmente, la tradizione
centralista presente nel sistema politico turco, come anche di sfidare
la prospettiva statuale e dogmatica di classe della Sinistra in Turchia.
Mentre in passato l’obiettivo del PKK
era una “lotta di liberazione nazionale” con la finalità di uno stato
kurdo indipendente in Turchia, il suo fine oggi è un progetto di
“democrazia radicale”. Democrazia radicale, sostengono Akkaya e
Jongerden (2013) delinea il concetto di democrazia oltre la nazione e lo
stato. In aggiunta, la democrazia radicale può essere sviluppata in tre
dimensioni: la repubblica democratica (di Turchia), il confederalismo
democratico (collegando i kurdi in Turchia con i kurdi presenti nel
resto del Medio Oriente) e autonomia democratica (con entrambe le
comunità, kurda e non kurda, che promuovono una società civile
democratica oltre lo stato) (Akkaya e Jongerden, 2013). Nei suoi
tentativi di superare uno sterile e dogmatico marxismo, Öcalan ha
provato a pensare a prassi democratice al di fuori dello stato, del PKK
(movimento o partito) e dell’attenzione focalizzata restrittivamente su
una classe (Akkaya e Jongerden, 2013). Tale “democrazia radicale” non
solo prova a lottare contro le istituzioni politiche esistenti e il
pensiero della Vecchia Sinistra, ma offre un’alternativa al progetto
neoliberale nel quale la civiltà del mercato soppianta crescentemente la
democrazia. Il progetto di “democrazia radicale” non soltanto sta
cambiando il PKK, ma sta anche influenzando i movimenti radicali,
sociali e politici di sinistra, dai “movimenti di liberazione”
dell’America Latina alle manifestazioni di protesta antiglobalizzazione
in Nordamerica e in Europa (Akkaya e Jongerden, 2013).
Cengiz Gunes (2012, pp. 463-464)
puntualizza che il PKK ha svolto un ruolo nei processi di
democratizzazione in Turchia. L’annuncio del cessate-il-fuoco da parte
del PKK nel 1999, sostiene Gunes (2012, p. 463), “ha prodotto una
significativa riduzione della violenza politica nella regione.
L’occasionale scoppio di violenza nel decennio scorso non è stato
continuo né grave come le violenze precedenti”. Quantunque la violenza
politica non sia scomparsa, fra PKK e stato turco, l’apertura
democratica è stata importante nel limitare la violenza fra le due
entità. “Il successo di qualsiasi iniziativa democratica per mettere
fine al conflitto poggia sulla capacità della Turchia di generare un
consenso in ambito nazionale per riconoscere e accogliere le richieste
nazionali kurde e i diritti, come l’educazione nella lingua madre, il
riconoscimento costituzionale dell’identità kurda, l’ampliamento dei
diritti di trasmissione”, scrive Gunes (2012, p. 468). Egli puntualizza
anche che una commissione per la verità e la riconciliazione potrebbe
risultare necessaria una volta che la violenza si sia bloccata, al fine
di trattare della violenza turca contro i kurdi, incluse le uccisioni
extragiudiziali durante gli anni ’90 di 17500 persone, in base a stime,
come anche della violenza esercitata nel colpo di stato del 1980 e, nel
1938, durante la rivolta di Dersim (2012, p. 468).
L’introduzione alla Road Map rende
chiaro che democrazia e democratizzazione non sono tendenze meramente
occidentali, bensì universali, “intrinseche in tutti gli esseri umani” e
in tutte le società (Öcalan, 2012, p. 15). Tuttavia, in contrasto con
la spinta universale per la democrazia, la Turchia è stata piagata da un
“grave nazionalismo” e da “una dittatura burocratica oligarchica” che
risale al periodo costituzionale nell’Impero Ottomano, 1908-1922
(Öcalan, 2012, p. 16). Öcalan formula l’accusa che in Turchia “per un
secolo un’autocrazia oligarchica si è annidata nello stato” (Öcalan,
2012, p. 17). Insiste sostenendo che i processi di Ergenekon
“determineranno il destino della democrazia turca” (Öcalan, 2012, p.
17). Ergenekon rappresenta uno stato all’interno dello stato, ovvero
quella che Öcalan definisce “un’organizzazione clandestina, kemalista,
ultranazionalista in Turchia, collegata con l’apparato militare, le
forze di sicurezza, i politici e i media” (Öcalan, 2012 p. 17). Tale
stato nello stato, argomenta Öcalan, è ricorso a colpi di stato e altre
manovre politiche al fine di minare i diritti umani, i diritti dei
kurdi, le lotte “delle classi oppresse”. Per Öcalan (2012, p. 17) il
fine dello stato nello stato è stato di distruggere la democrazia e, più
spietatamente, “di sradicare ogni cosa che sia correlata all’essere
kurdi e al Kurdistan”.
Storicamente i kurdi erano considerati
dai turchi come “turchi di montagna” (Gunter, 2000, p. 854). L’identità
comunitaria kurda fu del tutto negata o denigrata, mentre
l’assimilazionismo nazionalista fu in generale la regola in Turchia
dagli anni ’20 agli anni ’90. Il PKK fu un prodotto delle aspre linee
politiche assimilazioniste dello stato turco. Come argomenta Ertan
Efegil (2011, pp. 27-28), tali indirizzi politici possono essere fatti
risalire al fondatore dello stato turco, Mustafa Kemal (Atatürk), il
quale perseguì una linea politica di “unità culturale” negli anni ’20,
che condusse all’emergere di sollevazioni kurde, all’etichettatura dei
kurdi come “separatisti etnici” e a misure militari su vasta scala per
sopprimere tali ribellioni. Tale posizione è proseguita fino al 1992,
allorquando il Presidente turco Turgut Özal criticò questa linea
politica assimilazionista portata avanti dalle élites statali e
descrisse il problema di crescente gravità come “questione” kurda e fece
appello per il miglioramento delle condizioni dei kurdi in Turchia
(Efegil, 2011, p. 28). L’apertura verso i kurdi fu proseguita
nell’agosto 2005, in un discorso tenuto a Diyarbakır nel quale il Primo
Ministro Erdoğan argomentò in favore di maggiori diritti democratici per
il popolo kurdo.
Le speranze di democratizzazione in
Turchia, tuttavia, sono state recentemente sostenute da potenze
importanti quali gli Stati Uniti e l’Unione Europea, che scorgono i loro
interessi come minacciati e sono “ora più ricettive riguardo a
soluzioni democratiche” (Öcalan, 2012, p. 18). La prospettiva di Öcalan è
stata corroborata da Cuma Çiçek, che argomenta che “le nuove condizioni
geopolitiche”, come anche le aspirazioni regionali dell’AKP neoliberale
e pro-islamico, facilitano “la conclusione del conflitto kurdo in
Turchia” e la ricostruzione di relazioni fra kurdi iracheni e kurdi
turchi (Çiçek, 2011, p. 15). Ad ogni modo Öcalan argomenta che la
Turchia avrà bisogno di rimuovere le catene di Ergenekon e adottare una
costituzione civile che garantisca i diritti fondamentali (per esempio,
le libertà d’espressione e di associazione), e nel contempo di
salvaguardare “gli attributi democratici, sociali e giuridici della
Repubblica” (Öcalan, 2012, p. 18). Öcalan è cristallino nell’asserire
che una tale costituzione sarebbe d’aiuto per reperire soluzioni per
l’intera società turca e non condurrebbe a una secessione kurda, dal
momento che saranno garantiti i diritti individuali e sociali dei kurdi.
Nella parte seconda Öcalan delinea i
suoi concetti-chiave, i quadri teoretici e i principi, che
consentirebbero presumibilmente la democratizzazione della Turchia e più
in generale del Medio Oriente. Öcalan (2012, p. 19) in modo cristallino
afferma che “soluzioni costituzionali” sono richieste in Turchia al
fine di risolvere la Questione Kurda. Egli rileva anche che mentre la
nozione di Kurdistan “ancora suscita paura”, fu tuttavia riconosciuta
sia dai selgiuchidi che dagli ottomani (Öcalan, 2012, p. 19). Qualsiasi
tentativo turco di negare l’uso di parole “kurdo” o “Kurdistan”
condurrebbe unicamente a uno situazione senza vie d’uscita, insiste il
leader del PKK.
Come Gramsci in altra epoca, Öcalan ha
lasciato il mondo del marxismo dogmatico. Argomenta che la
democratizzazione non è meramente “la dittatura del proletariato” o la
guerra di classe, ma la protezione del discorso libero e del libero
associarsi per tutti gli individui, indipendentemente dall’appartenenza
di classe, dalla cultura, dalla lingua, dall’etnia o dalla fede
religiosa (Öcalan, 2012, p. 20). Inoltre, mentre insiste nel dire che il
problema kurdo può essere risolto all’interno del contesto di una
repubblica turca secolare, Öcalan respinge altresì l’idea che su di esso
si possa decidere definitivamente attraverso il progetto di
stato-nazione (Öcalan, 2012, p. 20). Per Öcalan uno stato-nazione
rappresenta l’omogeneizzazione, l’assimilazione e, nella versione
peggiore, lo spettro del genocidio. Öcalan (2012, p. 21) sostiene
insistentemente che la Turchia possa diventare persino “una nazione di
nazioni”. È chiarissimo nel dire che i diritti collettivi dei kurdi o
dei turchi devono essere in equilibrio con il rispetto dei diritti
individuali.
Nella seconda parte Öcalan (2012, p.
28-35) delinea dieci principi per un sistema politico maggiormente
democratico in Turchia: 1) nazione democratica; 2) una terra madre
comune; 3) una repubblica democratica; 4) una costituzione democratica;
5) soluzione democratica; 6) principio di unità dei diritti individuali e
collettivi e delle libertà; 7) indipendenza ideologica e libertà; 8)
principio della storicità e del presente; 9) moralità e principio della
coscienza; 10) autodifesa nella democrazia.
Una nazione democratica connota
“identità culturali aperte e nazionalità flessibili”; non è forzosamente
costruita da governanti e rispetta sia i cittadini che la società
civile (Öcalan, 2012, p. 28). Ciò suona piuttosto simile al
multiculturalismo sancito dallo stato in Canada. Öcalan è tuttavia
interessato ad andare oltre la democrazia rappresentativa come correlata
allo stato e ad andare verso la fioritura dell’attivismo democratico ai
livelli più bassi della società civile.
Una patria comune negherebbe l’idea
“fascista” d’una “cittadinanza uniforme”, mentre sarebbe
“multilinguistica, multinazionale e plurireligiosa” (Öcalan, 2012,
p.28). Tale posizione è ovviamente delineata la venerazione quasi
religiosa del turco e della turchità all’interno della moderna e
secolare repubblica turca.
Lo stato ideale per Öcalan (2012, p. 29) è una repubblica che non sia uno stato-nazione, ma piuttosto uno stato democratico. La repubblica democratica non può essere collegata all’etnicità, argomenta Öcalan. Turchità, curdità e islam sarebbero rispettati nella società civile ma non potrebbero far parte dei parametri costituzionali dello stato (Öcalan, 2012, p.29).
Lo stato ideale per Öcalan (2012, p. 29) è una repubblica che non sia uno stato-nazione, ma piuttosto uno stato democratico. La repubblica democratica non può essere collegata all’etnicità, argomenta Öcalan. Turchità, curdità e islam sarebbero rispettati nella società civile ma non potrebbero far parte dei parametri costituzionali dello stato (Öcalan, 2012, p.29).
Una costituzione democratica
proteggerebbe la società civile dalle tendenze assimilazioniste dello
stato come anche “dall’enorme concentrazione di potere nello stato”
(Öcalan, 2012, p. 29). Qui Öcalan focalizza l’attenzione sul potere del
popolo e della società contro il potere egemonico dello stato. Egli
ribadisce l’importanza della nozione di “autonomia democratica”.
Il principio della soluzione democratica
proverà a democratizzare la società civile, mentre la società civile
non punterà a rovesciare lo stato (Öcalan, 2012, p. 30). La soluzione
democratica sgorga dalle forze della società civile piuttosto che da un
congegno a guida statale. Cerca di proteggere la società civile;
costituzionalmente è adibito alla salvaguardia di istituzioni
democratiche; e non negherebbe l’esistenza dello stato. L’attenzione
posta da Öcalan sulla società civile quale motore basilare per il
mutamento storico riecheggia Gramsci ma anche Rosanvallon e altri
propositori di forme più dirette di democrazia. Vi è persino una
sfumatura anarchica nel pensiero del leader del PKK, con la critica del
potere statale, delle burocrazie e del marxismo dogmatico, e con il
desiderio di una partecipazione democratica dal basso verso l’alto.
Nessuna soluzione politica funzionerà,
argomenta Öcalan, senza un adeguato equilibrio fra diritti collettivi
(stato, società civile, kurdi, …) e diritti individuali. Con toni
gramsciani Öcalan argomenta (2012, p. 31) che “l’egemonia ideologica” di
quel che chiama “modernità capitalista” e “positivismo” deve essere
superata. Sotto tale aspetto, la società civile può rivestire un
ruolo-chiave nel minare la prevalente egemonia ideologica pro-statuale e
pro-capitalista.
Il principio della storicità e del presente fa riferimento all’idea che la “modernità capitalista prova a distruggere la memoria umana e presenta il presente come se fosse eterno o, piuttosto, la fine del tempo” (Öcalan, 2012, p.33). Conseguentemente le soluzioni democratiche prenderanno in considerazione la società presente e la storia delle esperienze trascorse.
Il principio della storicità e del presente fa riferimento all’idea che la “modernità capitalista prova a distruggere la memoria umana e presenta il presente come se fosse eterno o, piuttosto, la fine del tempo” (Öcalan, 2012, p.33). Conseguentemente le soluzioni democratiche prenderanno in considerazione la società presente e la storia delle esperienze trascorse.
Il principio di moralità e coscienza
racchiude l’importanza della religione e della moralità nel prendere
decisioni in ambito democratico. La ragione astratta e le soluzioni
amministrative semplicemente aggraveranno i problemi o, al peggio,
condurranno a genocidi (Öcalan, 2012, pp. 33-34). Qui Öcalan rende
indirettamente omaggio a La Dialettica dell’Illuminismo (1944), scritto
di Adorno e Horkheimer (2002). La modernità era un processo dialettico
consistente sia in avanzamenti culturali che in barbarie, argomentarono
Adorno e Horkheimer. Per Horkheimer e Adorno, i tentativi del moderno
Illuminismo di contrastare il mito con la ragione ha condotto alla
“mitologia” di un mondo moderno dominato da fiducia eccessiva nella
“ragione strumentale”. Sotto questa prospettiva, gli orrori
dell’Olocausto possono essere interpretati come mero prosieguo del
progetto di modernità, con la sua fede estrema e utopica nella “ragione
strumentale” e il progresso tecnologico. Per Öcalan, la “modernità
capitalista” racchiude anche, in modo contradditorio, processi talora
progressivi talaltra barbarici, in cui l’orientamento conservatore e
feudale dei kurdi può essere superato e in cui tuttavia le nuove
strutture di dominio sono imposte attraverso la diffusione universale
del capitalismo.
Infine, il principio di autodifesa nelle
democrazie significa sfidare la modernità capitalista,
l’industrialismo, “l’oppressione monopolista e lo sfruttamento dello
stato-nazione” e la “guerra” contro l’ambiente (Öcalan, 2012, p.34-35).
In futuro individui avranno bisogno di resistere al capitalismo e allo
stato vivendo in “unità di autodifesa” (Öcalan, 2012, p. 35).
Presumibilmente tali “unità di autodifesa” sarebbero condotte da
organizzazioni della società civile piuttosto che dal PKK, al quale
Öcalan ha rivolto critiche per la lotta armata, il dogmatismo e i
principi socialisti ciechi verso le realtà storiche (ad esempio, la
caduta dell’Unione Sovietica comunista).
Nonostante una maggiore apertura del
governo turco verso la problematica kurda, non vi è stato “alcuno
sviluppo positivo rilevante verso una soluzione della Questione Kurda”
(Çiçek, 2011, p.15). Nel 2009 e nel 2010 lo stato turco arrestò 1500
esponenti politici kurdi, compresi sindaci, vicepresidenti, ex
parlamentari e direttoti della sede centrale e di sedi locali dal
Partito della Società Democratica (DTP). La Corte Costituzionale mise
anche al bando il DTP per presunti legami con organizzazioni
terroristiche e per aver “messo in discussione “l’indivisibile
integrità” dello stato. Vi furono anche arresti di membri dell’Unione
delle Comunità del Kurdistan (KCK), una “unità di autodifesa” del PKK,
come anche ebbe luogo la persecuzione giudiziale di ragazzi di età
ricompresa fra i 13 e i 18 anni, in tribunali per adulti, nell’ambito
della legge sul controterrorismo, per aver lanciato pietre contro membri
delle forze di polizia. Alcuni ragazzi sono stati condannati alla
carcerazione per alcuni anni (Çiçek, 2011, p.16).
La parte terza tratta del problema della
democrazia e della soluzione di una costituzione democratica. Öcalan
argomenta che le moderne democrazie rappresentative, inclusa l’UE,
costituiscono avanzamenti nella storia umana, ma “lo stato monopolista
mantiene dal vertice il suo dominio” (Öcalan, 2012, p. 36). Le libertà
individuali sono state, paradossalmente, ridotte nell’era moderna a
causa di una triade formata da capitalismo, industrialismo e monopolio
del potere burocratico statale. Ecco perché Öcalan insiste nel sostenere
che le nuove libertà possono essere conseguite attraverso “l’autonomia
democratica” delle voci della società civile.
Il problema della democrazia della
Turchia deriva dall’adozione dell’Islam, insiste Öcalan. Da un lato,
l’aristocrazia militare e religiosa ha ricevuto privilegi dal monopolio
statale del potere. Dall’altro, i poveri nelle città e nei villaggi sono
stati esclusi dal potere statale. Mentre l’Islam sunnita divenne
ideologia ufficiale delle classi dominanti, pochissimi nell’ambito della
società civile poterono resistere all’egemonia ideologica della
dottrina sunnita.
Il moderno stato turco combina il potere ideologico delle antiche civiltà storiche (l’Islam, ad esempio) e altresì la modernità capitalista. A detta di Öcalan, lo stato turco è così divenuto “capitalista, fascista e borghese” (Öcalan, 2012, p. 39). Inoltre egli insiste nel sostenere che il Comitato d’Unione e Progresso divenne il prototipo del Partito Fascista Italiano e del Partito Nazional-Socialista Tedesco? Brutali guerre di classe e genocidi contro armeni e kurdi furono merce corrente dello stato turco. Öcalan non fornisce alcuna prova di come lo stato turco costituì un prototipo per i regimi fascista e nazista. Inoltre, mentre lo stato turco è stato storicamente monopolista e autoritario, l’asserzione di Öcalan che lo stato turco sia divenuto fascista suscita la domanda su quando ciò sia avvenuto? Se il fascismo, nella sua forma di regime, fu creato in Italia nel 1919, quando fece la sua apparizione in Turchia? E suscita altri interrogativi: la Turchia è ancora uno stato fascita? O è meramente uno stato semi-autoritario? O è una democrazia? In che modo gli storici del fascismo classificano lo stato turco, sia agli inizi del 20esimo secolo che più recentemente? Ha Öcalan una tendenza, comune agli studiosi marxisti (o ex-marxisti), a considerare tutti i regimi capitalisti e modernisti come fascisti, oscurando in tal modo le differenze fra regimi fascisti e non-fascisti, come anche fra regimi totalitari e autoritari? (Payne, 1995)
Il moderno stato turco combina il potere ideologico delle antiche civiltà storiche (l’Islam, ad esempio) e altresì la modernità capitalista. A detta di Öcalan, lo stato turco è così divenuto “capitalista, fascista e borghese” (Öcalan, 2012, p. 39). Inoltre egli insiste nel sostenere che il Comitato d’Unione e Progresso divenne il prototipo del Partito Fascista Italiano e del Partito Nazional-Socialista Tedesco? Brutali guerre di classe e genocidi contro armeni e kurdi furono merce corrente dello stato turco. Öcalan non fornisce alcuna prova di come lo stato turco costituì un prototipo per i regimi fascista e nazista. Inoltre, mentre lo stato turco è stato storicamente monopolista e autoritario, l’asserzione di Öcalan che lo stato turco sia divenuto fascista suscita la domanda su quando ciò sia avvenuto? Se il fascismo, nella sua forma di regime, fu creato in Italia nel 1919, quando fece la sua apparizione in Turchia? E suscita altri interrogativi: la Turchia è ancora uno stato fascita? O è meramente uno stato semi-autoritario? O è una democrazia? In che modo gli storici del fascismo classificano lo stato turco, sia agli inizi del 20esimo secolo che più recentemente? Ha Öcalan una tendenza, comune agli studiosi marxisti (o ex-marxisti), a considerare tutti i regimi capitalisti e modernisti come fascisti, oscurando in tal modo le differenze fra regimi fascisti e non-fascisti, come anche fra regimi totalitari e autoritari? (Payne, 1995)
Il problema di democrazia della Turchia
fu, storicamente, aggravato da Mustafa Kemal e dalla fondazione della
Repubblica Turca, nonché dalla tendenza giacobina dello stato turco.
Öcalan argomenta che il giacobinismo favorì l’avanzata degli interessi
della borghesia, ma che si trattava di un movimento popolare che aveva
tendenze dittatoriali e che contrassegnava diversi regimi, dalla moderna
Turchia alla Rivoluzione Francese, e persino l’Unione Sovietica
bolscevica e la Germania nazista.
Nonostante la natura autoritaria dello
stato turco, Öcalan cita le opportunità perdute in riferimento al
problema kurdo. Argomenta che sia Mustafa Kemal che la Grande Assemblea
Nazionale Turca, rispettivamente nel 1924 e nel 1922, accettarono
l’autonomia kurda. Puntualizza che l’Impero Britannico giocò un
ruolo-chiave, unitamente allo stato turco, nel minare l’autonomia kurda.
I britannici provarono a escludere, nella nuova Repubblica Turca
guidata da Mustafa Kemal, la rappresentanza kurda, socialista e
islamista; Kemal era invece un realista che accettava il nuovo patto.
Dal 1950 al 2007, la Turchia fu sotto la sfera d’influenza degli Stati
Uniti e della Gladio. Öcalan sta provando a conquistarsi il favore dei
suoi interlocutori turchi, asserendo che a potenze straniere, piuttosto
che alla Turchia, sia principalmente da imputare la storica oppressione
nei confronti dei kurdi? In aggiunta, non sovrastima Öcalan i poteri
delle forze straniere nel minare i desideri di autonomia e autogoverno
dei kurdi?
Quando l’Unione Sovietica comunista
crollò, argomenta Öcalan, “vi fu un progetto per utilizzare la Turchia
quale modello per la modernizzazione della tradizione islamica” (Öcalan,
2012, p. 51). È vero che un partito islamista, il Partito della
Giustizia e dello Sviluppo (Adalet ve Kalkınma Partisi – AKP) ha
governato la Turchia dal 2002 e che essa comunque conserva una
tradizione secolare e repubblicana, con estesi legami con l’Occidente.
La lotta del PKK non è per il socialismo o per l’indipendenza, insiste
nel sostenere Öcalan, ma contro tendenze anti-democratiche dells
giacobina Repubblica Turca. In aggiunta, il leader del PKK puntualizza
che Mustafa Kemal ha provato a contrastare l’ispirazione del fascismo
italiano nell’ambito del Partito Repubblicano del Popolo. Non è questo,
ancora una volta, un tentativo di conquistari il favore dei turchi che
considerano Mustafa Kemal quale eroe turco del ventesimo secolo? Quando
fu catturato dalle autorità turche, Öcalan asserì sorprendentemente
quanto segue: “Amo realmente la Turchia e il popolo turco. Mia madre era
turca. Sinceramente, farò tutto quel che posso per essere d’aiuto” (in
Gunter, 2000, p. 852). I vari scritti di Öcalan hanno insistito sulla
conservazione dell’unità, dell’indipendenza e dell’integrità
territoriale della Turchia. Risalendo fino al 1993, quando dichiarò un
cessate-il-fuoco unilaterale, la posizione di Öcalan si è evoluta da
allora: dall’esplicita separazione dei kurdi verso un rifiuto del
separatismo e un’attenzione focalizzata sulla storica “fratellanza” fra
kurdi e turchi.
Öcalan, tuttavia, argomenta che lo stato
turco essere collocato all’interno del contesto delle maggiori potenze
egemoniche: gli imperativi dell’Impero Britannico, dal 1925 al 1945,
degli Stati Uniti, dal 1945 al 2010, e delle strutture capitalistiche
globali (ad esempio, FMI e Banca Mondiale), unitamente alla Gladio della
NATO, che Öcalan definisce come “reali governanti” della Turchia
(Öcalan, 2012, p. 55). Quale risultanza delle tendenze assimilazioniste e
giacobine dello stato turco e dell’influenza delle potenze egemoniche,
la Turchia ha “annichilito” i membri del Partito Comunista nel periodo
della Guerra Fredda (Öcalan, 2012, p. 55). Anche gli islamisti furono
presi di mira cn arresti e deportazioni, ma un processo di
modernizzazione islamista ha condotto alla creazione del movimento di
Erbakan, nel 1969, e infine alla sua partecipazione al governo sotto la
guida del Primo Ministro Necmettin Erbakan (1926-2011), nel 1996-97. Il
governo di Erdoğan ha cementato la Turchia come modello di islamismo
secolare in Medio Oriente. Fu dato per assunto che alla Questione Kurda
si era “messo fine” dopo il periodo delle ribellioni che decorse dal
1920 al 1938, ma il PKK avviò il processo volto a evidenziare
l’esistenza dei kurdi mediante metodi violenti, e in seguito con
ulteriori metodi non violenti, dal 1980 al 2010 (Öcalan, 2012, pp.
56-57).
Nella quarta sezione Öcalan evidenzia le
questioni cruciali che circondano il problema turco e le prospettive di
soluzione della questione turca. Öcalan un tempo pensava che uno stato
fosse la risposta ai mali dei kurdi, ma ora ritiene che “lo stato è la
fonte maggiore di problemi” (Öcalan, 2012, p. 63). Tale posizione,
ancora una volta, dovrebbe essere vista alla luce del rifiuto, da parte
di Öcalan, della democrazia rappresentativa e del sostegno a una
“autonomia democratica” procedente dal basso verso l’alto. In breve, lo
stato assimilazionista negava l’esistenza di kurdi, mentre si ricercava
protezione culturale mediante la preservazione di stili di vita kurdi,
con attenzione focalizzata su agricoltura e allevamento, e il “rifugio”
delle montagne (Öcalan, 2012, p. 64). In breve, la cultura kurda era
preservata al di fuori dello stato, nella società civile. Egli insiste
nel sostenere che i kurdi vogliono superare i periodi in cui si era
molto vicini al “genocidio culturale” ad opera dello stato turco, e nel
contempo vogliono diventare “amici strategici” o “partner” dei turchi
(Öcalan, 2012, pp. 68-69).
Öcalan sostiene di aver appreso dallo
stato turco e dalla sua carcerazione. Per Öcalan la lotta armata è
identificata come “una lotta per la verità” (Öcalan, 2012, p.78). Del
resto, non ha forse anche Gramsci appreso dalla prigionia, attraverso i
suoi scritti e il ripensamento delle strategie finalizzate a sconfiggere
il capitalismo? La “verità” che la lotta armata ha svelato non è quella
che i kurdi hanno bisogno di uno stato (dal momento che un tale stato
potrebbe riprodurre lo stato turco assimilazionista), ma piuttosto
“l’esistenza dei kurdi” (Öcalan, 2012, p. 78). Il PKK è oggi
maggiormente impegnato nel reperire soluzioni democratiche all’interno
della Turchia piuttosto che interessato alla lotta armata, al
conseguimento di uno stato-nazione o al socialismo. Sotto questo
aspetto, Öcalan ha sopravanzato l’attaccamento di Gramsci al Partito
Comunista Italiano. Tuttavia permangono interrogativi riguardo alla
personalità autoritaria di Öcalan e alla repressione sessuale associata
all’organizzazione. Ad esempio, Romano puntualizza che negli anni ’90
“mentre un’Assemblea Nazionale Kurda sarebbe stata d’aiuto per
sviluppare istituzioni kurde autonome e la legittimazione delle
richieste dei gruppi kurdi, Öcalan era amareggiato dall’idea, nel
momento in cui diveniva palese che tali istituzioni non sarebbero
rimaste sottoposte al suo pieno controllo” (Romano, 2008, p. 347;
Marcus, 2007). “L’autonomia democratica” e le soluzioni basate sulla
società civile che Öcalan propone nella Road Map minerebbero il potere
dello stato turco, del PKK e di tutti i cosiddetti rappresentanti
“democratici” dei Kurdi.
Tre soluzioni principali sono state
proposte per la Questione Kurda: assimilazione nazionale (o
annichilimento), uno stato-nazione federalista kurdo che ricmprenda
Turchia, Siria, Iraq e Iran, e una soluzione di nazione democratica.
Öcalan chiama all’ultima opzione indicata, nel contesto dei dieci
principi evidenziati precedentemente.
Il nome che Öcalan indica per la
soluzione di “autonomia democratica” è KCK. KCK è acronimo che indica
l’Unione delle Comunità del Kurdistan (Koma Civaken Kurdistan),
gruppo-ombrello che racchiude organizzazioni kurde democratiche presenti
nella società civile. Come precisato in precedenza, gli arresti di
esponenti del KCK si sono intensificati nel 2009 e nel 2010. È il KCK
che, presumibilmente, prenderà il posto del PKK allorché la lotta armata
non sarà più necessaria. È in questa importantissima sezione che Öcalan
insiste nel sostenere, in maniera non ambigua, che la soluzione
democratica significa che egli accetta “istituzioni e confini attuali
della Repubblica Turca come legittimi” (Öcalan, 2012, p. 93). Egli
respinge altresì l’idea di una Turchia unitaria, federale o confederale.
Argomenta, invece, che “gli aspetti democratici, di uguaglianza e di
libertà della cittadinanza della Repubblica Turca non debbano essere
unicamente definiti nella costituzione e nelle norme, ma debbano anche
essere attuati in ambito istituzionale” (Öcalan, 2012, p. 93). La
soluzione deve rispettare i diritti culturali, sia individuali che
collettivi, ma deve anche coinvolgere l’intera società, piuttosto che
risultare da un approccio incentrato sullo stato e procedente dall’alto
verso il basso. I kurdi, inoltre, dovrebbero avere il loro posto
all’interno del “Popolo” o della “Nazione” di una Turchia
costituzionalmente definita (Öcalan, 2012, p. 94).
Come parte della soluzione del KCK,
Öcalan puntualizza che l’esercito deve essere utilizzato unicamente per
far fronte a minacce esterne, piuttosto che contro i kurdi. Inoltre, il
KCK può essere allargato per includervi altre comunità culturali in
Turchia – Armeni, Assiri, Turcomanni – mentre una confederazione
flessibile può comprendere Turchia, Siria e Iraq. La Grande Assemblea
Nazionale deve assumere, nella soluzione del KCK, un ruolo-guida.
La quinta sezione delinea il piano
d’azione per l’attuazione della soluzione kurda di Öcalan. È
interessante che Öcalan parli contro il Governo Regionale del Kurdistan
iracheno in quanto la finalità di questo è di “controllare Iraq, Siria,
Iran e Turchia” (Öcalan, 2012, p. 102). Nella prima fase, Öcalan è
pronto a imbrigliare i suoi combattenti del PKK al fine di pervenire a
una soluzione democratica. Nella seconda fase una commissione per la
verità e la riconciliazione dovrebbe essere condotta dalla Grande
Assemblea Nazionale Turca. Nella terza fase, argomenta Öcalan (2012, p.
104), un ricorso alle armi non sarà necessario, i kurdi potranno far
ritorno dall’esilio, gli ex-combattenti del PKK e i rifugiati potranno
conseguire uno status di piena cittadinanza, nel contesto del KCK.
Öcalan insiste nel sostenere che Stati Uniti, UE e ONU possono prestare
assistenza alla transizione verso una soluzione democratica.
Tuttavia Öcalan (2012, p. 104)
puntualizza che se vi fosse una Commissione per la Verità e la
Riconciliazione, egli dovrebbe essere rilasciato. Saranno pronti i
turchi, che guardano Öcalan con sospetto poiché in passato ha sostenuto
la lotta armata, gli attacchi suicidi, il nazionalismo kurdo e il
marxismo, per compiere un tale balzo di fede?
Nella conclusione Öcalan (2012, p. 107)
dichiara che, qualora l’attuale governo del partito AKP risolvesse la
Questione Kurda, “la Turchia avrebbe l’opportunità di costituire un
modello” per l’intero Medio Oriente. Kurdi e palestinesi, come anche
altre minoranze mediorientali, dai copti agli assiri in Iraq,
giustamente domandano dove sia la loro Primavera Araba? Quei gruppi
finora trascurati insistono nel sostenere che i processi di
democratizzazione devono anche concedere loro uno status eguale sul
piano politico. Öcalan (2012, p. 108) argomenta che una finestra di
opportunità è stata aperta per risolvere la problematica kurda, allorché
le operazioni della Gladio turca collegate alla NATO, agli Stati Uniti,
a Israele e all’UE si sono concluse nel 2007. Qualora questa finestra
sia lasciata aperta, i negoziati segreti avviati fra lo stato turco e
Öcalan condurranno i kurdi fuori da una storia fatta di occupazione,
assimilazione, colonialismo e invasione, in direzione della democrazia,
verso l’uguaglianza e la libertà.
Conclusioni
Questo documento ha analizzato la Road Map di Abdullah Öcalan sotto una prospettiva gramsciana. Ho argomentato che la Road Map è pervasa di numerose influenze, da “autonomia democratica” e femminismo a Immanuel Wallerstein ed Hegel. Tuttavia una lettura gramsciana della Road Map ci consente di scorgere come i cambiamenti nelle mentalità e nella società civile siano il preludio a un mutamento politico rivoluzionario. Gramsci ha sottolineato il ruolo di idee egemoniche e contro-egemoniche nella società civile piuttosto che meramente quello dell’apparato repressivo statale nella conservazione delle democrazie liberali e capitaliste. Öcalan è convinto che per la prima volta nella storia il conflitto kurdo-turco possa essere risolto attraverso le discussioni e senza ricorrere alle armi. Tale posizione si è rafforzata, quale risultato della carcerazione di Öcalan nel 1999, ma ha la propria origine nel rivolgersi, da parte di Öcalan, verso “l’autonomia democratica” agli inizi degli anni ’90. La sua pretesa è che la “civiltà democratica” si stia diffondendo nel mondo intero e che ciò sarà d’aiuto ai kurdi nella loro lotta per i propri diritti.
Questo documento ha analizzato la Road Map di Abdullah Öcalan sotto una prospettiva gramsciana. Ho argomentato che la Road Map è pervasa di numerose influenze, da “autonomia democratica” e femminismo a Immanuel Wallerstein ed Hegel. Tuttavia una lettura gramsciana della Road Map ci consente di scorgere come i cambiamenti nelle mentalità e nella società civile siano il preludio a un mutamento politico rivoluzionario. Gramsci ha sottolineato il ruolo di idee egemoniche e contro-egemoniche nella società civile piuttosto che meramente quello dell’apparato repressivo statale nella conservazione delle democrazie liberali e capitaliste. Öcalan è convinto che per la prima volta nella storia il conflitto kurdo-turco possa essere risolto attraverso le discussioni e senza ricorrere alle armi. Tale posizione si è rafforzata, quale risultato della carcerazione di Öcalan nel 1999, ma ha la propria origine nel rivolgersi, da parte di Öcalan, verso “l’autonomia democratica” agli inizi degli anni ’90. La sua pretesa è che la “civiltà democratica” si stia diffondendo nel mondo intero e che ciò sarà d’aiuto ai kurdi nella loro lotta per i propri diritti.
Quel che è notevole, riguardo alla Road
Map di Öcalan, è il fatto che ha presentato allo stato turco un quadro
per la soluzione del “problema kurdo”. Pur con la sua difesa strenua dei
palestinesi, il Primo Ministro Erdoğan non ha difeso i kurdi in simile
maniera all’interno del suo Paese e potrebbe aver perduto una storica
opportunità non considerando seriamente le proposte di Öcalan. Lo stato
turco prosegue nel negare l’esistenza del genocidio armeno. Ciò non
depone bene al fine del riconoscimento dei diritti culturali e delle
minoranze da parte dello stato turco. Il recente fallimento dello stato
turco nel sostenere con serietà i kurdi di Kobani (Siria) contro il
genocida Stato Islamico (IS) provoca ulteriori tensioni fra kurdi e
turchi. Öcalan, dall’altro lato, emerge come costruttore di pace. Questa
è una notevole transizione per un uomo che una volta viveva con l’arma
al fianco; un uomo che per un periodo ha attribuito valore alla tattica
letale degli attacchi suicidi; un uomo che si è impegnato nella lotta
armata e ha provveduto all’esecuzione di “traditori” all’interno dei
propri ranghi. La prigione di Imrali è una pillola amara da inghiottire
per Öcalan, ma ha forse trasformato il leonino leader del PKK in un
autentico Gramsci dei nostri tempi.
L’appello di Öcalan per il
cessate-il-fuoco, nella primavera del 2013, ha ulteriormente cementato
la sua evoluzione dalla lotta armata verso la nonviolenza e l’importanza
“dell’autonomia democratica”. Öcalan è stato impegnato a propugnare una
“rinascita” del Medio Oriente, distante dallo statalismo e
dall’autoritarismo, ben prima che avesse inizio in Tunisia nel dicembre
2010 la Primavera Araba. La Road Map di Öcalan offre speranza per i
kurdi, per i turchi e per tutte le forze “subalterne” presenti in Medio
Oriente. Öcalan è un nuovo frutto degli intellettuali organici a “forze
subalterne che aiutano a organizzare i lavoratori, i contadini e i
popoli indigeni”, come anche altri gruppi finora trascurati, nella
società civile: dalle donne ai kurdi in Mdio Oriente (Gill, 2008, p.
182). Öcalan rappresenta una più vasta ondata di movimenti nel nuovo
millennio, che Stephen Gill, studioso di Gramsci, ha definito “Principe
postmoderno”, ovvero “un insieme di forze politiche progressiste in
movimento” (Gill, 2008, p. 182). Tali movimenti, includenti una serie di
movimenti indigeni in America Latina, Occupy Wall Street, taluni
elementi nell’ambito della Primavera Araba, stanno proponendo forme
maggiormente innovative di azione politica, che mettono in discussione
la divisione fra governanti e governati (Gill, 2008, p. 237-248).
Mentre l’attenzione posta da Öcalan
verso l’importanza della società civile riecheggia le sue proposte
contenute nella Road Map, per una forma maggiormente pluralista,
inclusiva e flessibile di politica, che respinga la globalizzazione
neoliberale, il nazionalismo statalista, e il Partito Comunista
trasforma le idee dell’eroe comunista italiano. Tale trasformazione
contraddice il ritratto che Marcus (2007, p. 181) delinea di Öcalan: un
uomo assorbito da stesso, lacunoso, leader spietato, determinato a
togliere di mezzo qualsiasi attività “che potrebbe sottrarre la lotta
kurda al suo diretto controllo”. Nonostante la sua carcerazione, Öcalan
ha “singolarmente dato forma alla questione kurda all’interno della
repubblica turca” (Kiel, 2011, p. 1). Tuttavia, le sue proposte
democratiche radicali per un, se attuate, condurranno a una perdita di
potere reale da parte di Öcalan, del PKK e dei leader e degli stati
mediorientali. Nell’abbracciare “l’autonomia democratica”, dal basso
verso l’alto, e nel respingere il dogmatismo del partito o dello stato,
Öcalan è più rivoluzionario di Gramsci. Come ho scritto precedentemente,
“la ‘conversione’ di Öcalan alla ‘civiltà democratica’ è autentica,
dato che proviene da una serie di crisi, incluse quelle relative alla
dismissione del marxismo-leninismo quale ideologia animatrice, dopo il
1989, alla sua ignominiosa cattura e all’intransigenza politica sia del
PKK che dello stato turco, nel contesto di una guerra di guerriglia
(Bar-On, 2009, p. 250). In aggiunta, la sua conversione alla democrazia
radicale è basata su “acume tattico nel contesto di circostanze
politiche mutate. La carcerazione ad opera dello stato ha accelerato la
conversione di Öcalan, con la sua fuoriuscita dall’orbita dogmatica
marxista”. (Bar-On, 2009, p. 258)
Tuttavia, una “conversione” politica
coronata da successo, nel contesto di una “sacralizzazionedella
politica” (Gentile, 2006), è un processo complesso che richiede maggiore
ricerca. In un precedente scritto (Bar-On, 2009, 244-245), ho
evidenziato numerosi prerequisiti per “conversioni” politiche
vittoriose: (1) una serie di importanti crisi e il crollo
(politico-istituzionale, socio-economico, ideologico, culturale,
spirituale, generazionale o un invasione esterna); (2) una crisi di fede
nella prevalente ideologia egemonica (vale a dire, la capacità di
ispirare fiducia ed entusiasmo si dissolve nel tempo, emergono nuove
circostanze in assenza del passato fervore rivoluzionario e vi è
mutamento generazionale); (3) la “conversione” dell’ideologo alla nuova
fede (con propaggini della vecchia ideologia che forse affiorano nel
nuovo quadro ideologico); (4) spazio politico per la nuova ideologia;
(5) propositori dinamici dell’ideologia capaci di attirare una massa o
elementi-chiave di una elite al seguito; (6) un ambito cultural-civile
che promuova le nuove idee in una sorta di “contagio mimetico”; (7) la
forza di volontà di “reali credenti” devoti a qualsiasi costo; (8)
coesione organizzativa che conduca l’ideologia a un nuovo apice di
successo; (9) collusione o parziale collusione delle autorità istituite;
e (10) una dose di quel che Machiavelli ha definito fortuna (vale a
dire, buona sorte, opportunità, ovvero circostanze al di fuori del
proprio controllo).
Sarebbe interessante utilizzare tale
menzionato modello al fine di seguire la traccia dell’inusuale
conversione di Öcalan dal marxismo dogmatico alla democrazia radicale.
Una simile analisi potrebbe evidenziare l’autenticità o la non
autenticità della conversione di Öcalan alla democrazia radicale; le
crisi che tale conversione ha prodotto; e, infine, se tale conversione
influenzerà i kurdi, i turchi e l’intera area. È anche importante notare
che le conversioni politiche significano anche che la “conversione”
dell’ideologo si dirige verso “una nuova fede”, con appendici della
vecchia ideologia che forse affiorano nel nuovo contesto ideologico. Nel
caso di Öcalan, quel che è rimasto del suo passato ideologico è il
sostegno al secolarismo e all’egualitarismo, il potere del popolo di
fare la storia e l’idea hegeliana che la storia si evolve, il disdegnare
il capitalismo, e il bisogno di nuovi contesti politici ed economici
per l’umanità.
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