venerdì 28 agosto 2015

Le tre guerre del Kurdistan: tra Is, ostilità turca e conflitti tra clan.

Da una parte l'offensiva dello Stato islamico, dall'altra la storica lotta con Ankara. In mezzo la sofferenza di un popolo che da secoli combatte per i propri diritti calpestati. Tra povertà, sogni, e corruzione del potere.

Le tre guerre del Kurdistan: tra Is, ostilità turca e conflitti tra clanrepubblica.it a.sofri
ERBIL (KURDISTAN IRACHENO) - In una barzelletta, lo sfollato arabo scrive al parente lontano che a Shaqlawa si sta bene, "però ci sono parecchi curdi". Il fatto è che Shaqlawa è una cittadina di montagna curda di 25mila abitanti, diventata ora di 50mila per l'arrivo degli arabi sunniti scappati al Califfato nero, soprattutto da Falluja. La battuta potrebbe estendersi all'intero Kurdistan iracheno (Krg). Shaqlawa è rinomata per le antichità assire, il paesaggio e il clima temperato d'estate: che quest'anno, quando a Erbil si toccano i 46 gradi, vuol dire una serata ad appena 35.

Per la festa di venerdì c'è un ingorgo di Toyota e Kia bianche nella cinquantina di chilometri fra Erbil e Shaqlawa. Famiglie si accalcano alla cascata di Gali Ali Beg, mortificata dalla siccità: sotto c'è una breve pozza recintata, si rema su minuscoli canotti che si urtano come nell'autoscontro di un luna park  -  nostalgia del mare. Dopo altri 50 chilometri, alla più robusta cascata di Bekhal, stessa folla, stesso traffico congestionato. Eppure, a poche decine di chilometri, questo paese sta combattendo contro il Califfato nero una guerra accanita.


Al mare vero i curdi potrebbero aspirare, se un giorno lo Stato che non hanno mai avuto li unisse: la striscia curda siriana di Qamishli e Kobane, ricucita in parte dalla riconquista di Al Abyad, scivola come un fiume verso il Mediterraneo a ridosso di Alessandretta. Il Kurdistan andrebbe dal mare di petrolio di Kirkuk al mare d'acqua europeo. È l'incubo della Turchia, e non riesce a essere il sogno dei curdi, che invece coltivano tenacemente le rivalità che li portarono negli anni '90 a trucidarsi a vicenda.Sono trascorsi 14 mesi dall'avanzata bruciante dell'Is, che scosse le porte di Erbil, e il bilancio militare è passabilmente positivo: il Krg ha consolidato i confini  -  ma scaramucce e scontri duri sono quotidiani  -  e inglobato Kirkuk, abbandonata dall'esercito iracheno nel primo clamoroso sbandamento. Il bilancio politico invece è allarmante. C'è un'antica diarchia fra Pdk, Partito Democratico del Kurdistan, che tiene le province di Erbil e Dohuk, e Puk, Unione Patriottica del Kurdistan, e il partito nato da una sua scissione, Goran, Cambiamento, che tengono Suleimaniya e ora anche Kirkuk. (C'è un'inflazione di sigle: me ne scuso). I due schieramenti sono ai ferri cortissimi. La posta apparente è la stessa che spacca la Turchia (e turba, a suo modo, l'Italia): il Pdk esige l'elezione diretta del presidente, gli altri difendono il regime parlamentare. I critici lo descrivono come un conflitto fra una monarchia, di Barzani e della sua dinastia, e un'oligarchia, i contitolari di Puk-Goran, i Talabani, i Kosrat, i Nawshirwan.

Masud Barzani, figlio di Mustafa, il profeta del movimento nazionale curdo, è il presidente in carica fino allo scorso 20 agosto; suo nipote Nechirvan è il primo ministro, suo figlio Masrur è a capo della sicurezza. Dopo due mandati e un rinnovo biennale, in tutto 10 anni, Barzani aspira a un nuovo rinnovo di due anni. Che non troverebbe ostacoli, senza la rivendicazione presidenzialista. Si consumano riunioni quotidiane fra i partiti. Se l'accordo mancasse si andrebbe anche qui a elezioni anticipate  -  ancora come in Turchia. La virulenza delle rivalità induce a paventare perfino il riaccendersi della guerra fra i clan che fanno capo a Erbil e a Suleimaniya: una prospettiva demenziale, e figuriamoci con l'Is alle porte. A distanza di oltre vent'anni Pdk e Puk conservano gelosamente poteri separati, a cominciare dalle armi: a ciascuno i propri peshmerga. I buoni propositi ispirati dalla minaccia dell'Is sono lettera morta. In un Kurdistan iracheno che, pur favorito nell'aspirazione all'indipendenza dalla catastrofe geopolitica segnata dall'Is, resta un vaso di coccio, la divisione si modella sulle rivalità internazionali.Barzani tiene a procurare al Krg, oltre l'autonomia, un'indipendenza di diritto, e Bagdad è sempre più lontana. Ma intanto il suo Pdk è legato alla Turchia, unico sbocco allo smercio del petrolio, che dal 1° luglio il Krg gestisce in proprio, senza passare per Bagdad. Il Puk è legato all'Iran con cui confina. Ma Turchia e Iran sono nemici giurati nel vicino oriente che si sfarina, a cominciare dalla Siria. Così, Barzani protesta fiocamente contro i raid aerei turchi sui suoi monti Qandil, ridotta dei combattenti del Pkk in esilio  -  la Turchia dichiara di averne uccisi in un mese quasi 800, e ci sono state vittime civili locali  -  e ingiunge al Pkk di rientrare in Turchia, mentre il Puk se ne guarda. Oltretutto furono i peshmerga del Pkk e del Pyd siriano a resistere al momento della rotta di fronte all'avanzata dell'Is a Mosul e sul monte Sinjar. (Nel filoiraniano gruppo dirigente Pkk, che ha una tradizione marx-leninista estranea alle distinzioni religiose e di genere, c'è peraltro una componente di origine alauita).

La guerra di Erdogan contro il Pkk ha preso in ostaggio il Partito dei popoli pro-curdo Hdp, il cui successo elettorale a giugno insabbiò la marcia neo-ottomana: in questa strategia della tensione, Erdogan mira a una rivincita nelle elezioni anticipate di novembre, e nel Pkk prevalgono le resistenze alla via parlamentare e nonviolenta. Però ieri, martedì, il Partito dei Popoli ha dichiarato che il Pkk è pronto a deporre le armi.

Così la partita fra Pdk pro-turco e Puk pro-iraniano evoca accuse di tradimento nazionale. Nelle file di Puk e Goran si arriva a diffidare dell'attaccamento del Pdk a Kirkuk: ricca com'è di popolazione e di petrolio (ma il petrolio e il gas stanno dovunque sotto il Kurdistan), la città squilibra il rapporto di forze a vantaggio del Puk. Gli americani, che hanno fissato ai confini curdi la linea rossa rispetto al califfato, sono finiti anche loro in questa stretta: non possono congedarsi da Erdogan, e però senza i combattenti curdi, Pkk "terrorista" e Pyd siriano compresi, gli F16 sono senza stivali e senza occhi sul terreno. Masud Barzani assicura che la controversia fra i partiti sta nella normalità e non influenza il morale dei peshmerga contro l'Isis. C'è da sperarlo.

La guerra ai confini impedisce anche, finora, gli sconfinamenti della crisi sociale. Il petrolio è al prezzo minimo. Gli stipendi pubblici non sono pagati da tre mesi. La fame aguzza interrogativi seccanti sulla corruzione. È un paese amabile: lo straniero stenta a credere all'onestà per così dire ingenua che impronta la vita quotidiana. Il denaro, anche transazioni milionarie, si cambia per strada su banchetti da gioco delle tre carte, senza vigilanti, che espongono mucchi di banconote di ogni paese e taglio: un milione di euro e un ragazzino dotato di una calcolatrice a mano e una macchinetta contasoldi a gestirlo. Il tasso è quello del momento, nessuno prova a fregarvi, nessuno riconta. In una centrale telefonica dove si paga solo in dinari o in dollari, e avevo solo euro, hanno derogato per gentilezza, e hanno chiesto a me a quanto andava l'euro. Il mio pusher di pistacchi mi ha rincorso perché avevo dimenticato un restuccio, e quando gli ho chiesto come mai fosse così ligio, prima non ha capito la domanda, poi mi ha spiegato che se fosse disonesto Allah lo farebbe fallire. Una versione capovolta dell'idea di Weber sull'origine del capitalismo dal protestantesimo. Forse per questo qui non si origina il capitalismo. In cambio, la corruzione nel potere è ritenuta ubiqua e onnivora.

Domenica è stato rilasciato su cauzione un giovane, Shivan Azad, arrestato due giorni prima per aver postato su Facebook un video in cui esortava a ribellarsi e sfidava: "Morire è preferibile alla vita sotto il vostro giogo". C'era stata una manifestazione, decine di avvocati si erano offerti di difenderlo. Si è rievocato un giornalista di 23 anni, Zardasht Othman, assassinato nel maggio 2010. Oppositore satirico, aveva anche scritto un articolo intitolato: "Ho una storia con la figlia di Barzani", figurando i vantaggi che dalla prossima parentela immaginata sarebbero venuti a lui e ai suoi. Sequestrato platealmente all'uscita dall'Università, fu torturato e abbandonato cadavere, tre giorni dopo, a Mosul. Le autorità respinsero i sospetti di un coinvolgimento della loro sicurezza.

Il contrasto fra l'onestà commovente della vita quotidiana e la corruzione della vita pubblica non si spiega, penso, con un arcaismo della prima e una modernità della seconda. Certo, Erbil conosce oggi una crisi ma si allena a diventare una Dubai continentale, e la "Borsa del dollaro" dei banchetti di Shekhallah verrà rimpiazzata da un appropriato Stock Exchange.

D'altra parte, la corruzione della vita pubblica non è ancora quella che imperversa da noi. La classe dirigente del Krg, in tutte le fazioni, è anziana, ringiovanisce solo per successioni familiari, ed è reduce da una vicenda di persecuzioni, lutti, galera, esilio, coraggio e lotte. È fatta di ex partigiani, di uomini della montagna. Fanno confusione fra il bene comune, il potere pubblico, e ciò che è dovuto a loro e alle loro famiglie. Succede.

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