Da una parte l'offensiva dello Stato islamico, dall'altra la storica
lotta con Ankara. In mezzo la sofferenza di un popolo che da secoli
combatte per i propri diritti calpestati. Tra povertà, sogni, e
corruzione del potere.
repubblica.it a.sofri
ERBIL (KURDISTAN IRACHENO)
- In una barzelletta, lo sfollato arabo scrive al parente lontano che a
Shaqlawa si sta bene, "però ci sono parecchi curdi". Il fatto è che
Shaqlawa è una cittadina di montagna curda di 25mila abitanti, diventata
ora di 50mila per l'arrivo degli arabi sunniti scappati al Califfato
nero, soprattutto da Falluja. La battuta potrebbe estendersi all'intero
Kurdistan iracheno (Krg). Shaqlawa è rinomata per le antichità assire,
il paesaggio e il clima temperato d'estate: che quest'anno, quando a
Erbil si toccano i 46 gradi, vuol dire una serata ad appena 35.
Per la festa di venerdì c'è un ingorgo di Toyota e Kia bianche nella
cinquantina di chilometri fra Erbil e Shaqlawa. Famiglie si accalcano
alla cascata di Gali Ali Beg, mortificata dalla siccità: sotto c'è una
breve pozza recintata, si rema su minuscoli canotti che si urtano come
nell'autoscontro di un luna park - nostalgia del mare. Dopo altri 50
chilometri, alla più robusta cascata di Bekhal, stessa folla, stesso
traffico congestionato. Eppure, a poche decine di chilometri, questo
paese sta combattendo contro il Califfato nero una guerra accanita.
Al mare vero i curdi potrebbero aspirare, se un giorno lo Stato che non
hanno mai avuto li unisse: la striscia curda siriana di Qamishli e
Kobane, ricucita in parte dalla riconquista di Al Abyad, scivola come un
fiume verso il Mediterraneo a ridosso di Alessandretta. Il Kurdistan
andrebbe dal mare di petrolio di Kirkuk al mare d'acqua europeo. È l'incubo della Turchia,
e non riesce a essere il sogno dei curdi, che invece coltivano
tenacemente le rivalità che li portarono negli anni '90 a trucidarsi a
vicenda.Sono trascorsi 14 mesi dall'avanzata
bruciante dell'Is, che scosse le porte di Erbil, e il bilancio militare è
passabilmente positivo: il Krg ha consolidato i confini - ma
scaramucce e scontri duri sono quotidiani - e inglobato Kirkuk,
abbandonata dall'esercito iracheno nel primo clamoroso sbandamento. Il
bilancio politico invece è allarmante. C'è un'antica diarchia fra Pdk,
Partito Democratico del Kurdistan, che tiene le province di Erbil e
Dohuk, e Puk, Unione Patriottica del Kurdistan, e il partito nato da una
sua scissione, Goran, Cambiamento, che tengono Suleimaniya e ora anche
Kirkuk. (C'è un'inflazione di sigle: me ne scuso). I due schieramenti
sono ai ferri cortissimi. La posta apparente è la stessa che spacca la
Turchia (e turba, a suo modo, l'Italia): il Pdk esige l'elezione diretta
del presidente, gli altri difendono il regime parlamentare. I critici
lo descrivono come un conflitto fra una monarchia, di Barzani e della
sua dinastia, e un'oligarchia, i contitolari di Puk-Goran, i Talabani, i
Kosrat, i Nawshirwan.
Masud Barzani, figlio di Mustafa, il profeta del movimento nazionale
curdo, è il presidente in carica fino allo scorso 20 agosto; suo nipote
Nechirvan è il primo ministro, suo figlio Masrur è a capo della
sicurezza. Dopo due mandati e un rinnovo biennale, in tutto 10 anni,
Barzani aspira a un nuovo rinnovo di due anni. Che non troverebbe
ostacoli, senza la rivendicazione presidenzialista. Si consumano
riunioni quotidiane fra i partiti. Se l'accordo mancasse si andrebbe
anche qui a elezioni anticipate - ancora come in Turchia. La virulenza
delle rivalità induce a paventare perfino il riaccendersi della guerra
fra i clan che fanno capo a Erbil e a Suleimaniya: una prospettiva
demenziale, e figuriamoci con l'Is alle porte. A distanza di oltre
vent'anni Pdk e Puk conservano gelosamente poteri separati, a cominciare
dalle armi: a ciascuno i propri peshmerga. I buoni propositi ispirati
dalla minaccia dell'Is sono lettera morta. In un Kurdistan iracheno che,
pur favorito nell'aspirazione all'indipendenza dalla catastrofe
geopolitica segnata dall'Is, resta un vaso di coccio, la divisione si
modella sulle rivalità internazionali.Barzani tiene a procurare al Krg, oltre
l'autonomia, un'indipendenza di diritto, e Bagdad è sempre più lontana.
Ma intanto il suo Pdk è legato alla Turchia, unico sbocco allo smercio
del petrolio, che dal 1° luglio il Krg gestisce in proprio, senza
passare per Bagdad. Il Puk è legato all'Iran con cui confina. Ma Turchia
e Iran sono nemici giurati nel vicino oriente che si sfarina, a
cominciare dalla Siria. Così, Barzani protesta fiocamente contro i raid
aerei turchi sui suoi monti Qandil, ridotta dei combattenti del Pkk in
esilio - la Turchia dichiara di averne uccisi in un mese quasi 800, e
ci sono state vittime civili locali - e ingiunge al Pkk di rientrare
in Turchia, mentre il Puk se ne guarda. Oltretutto furono i peshmerga
del Pkk e del Pyd siriano a resistere al momento della rotta di fronte
all'avanzata dell'Is a Mosul e sul monte Sinjar. (Nel filoiraniano
gruppo dirigente Pkk, che ha una tradizione marx-leninista estranea alle
distinzioni religiose e di genere, c'è peraltro una componente di
origine alauita).
La guerra di Erdogan contro il Pkk ha preso in ostaggio il Partito dei
popoli pro-curdo Hdp, il cui successo elettorale a giugno insabbiò la
marcia neo-ottomana: in questa strategia della tensione, Erdogan mira a
una rivincita nelle elezioni anticipate di novembre, e nel Pkk
prevalgono le resistenze alla via parlamentare e nonviolenta. Però ieri,
martedì, il Partito dei Popoli ha dichiarato che il Pkk è pronto a
deporre le armi.
Così la partita fra Pdk pro-turco e Puk pro-iraniano evoca accuse di
tradimento nazionale. Nelle file di Puk e Goran si arriva a diffidare
dell'attaccamento del Pdk a Kirkuk: ricca com'è di popolazione e di
petrolio (ma il petrolio e il gas stanno dovunque sotto il Kurdistan),
la città squilibra il rapporto di forze a vantaggio del Puk. Gli
americani, che hanno fissato ai confini curdi la linea rossa rispetto al
califfato, sono finiti anche loro in questa stretta: non possono
congedarsi da Erdogan, e però senza i combattenti curdi, Pkk
"terrorista" e Pyd siriano compresi, gli F16 sono senza stivali e senza
occhi sul terreno. Masud Barzani assicura che la controversia fra i
partiti sta nella normalità e non influenza il morale dei peshmerga
contro l'Isis. C'è da sperarlo.
La guerra ai confini impedisce anche, finora, gli sconfinamenti della
crisi sociale. Il petrolio è al prezzo minimo. Gli stipendi pubblici non
sono pagati da tre mesi. La fame aguzza interrogativi seccanti sulla
corruzione. È un paese amabile: lo straniero stenta a credere all'onestà
per così dire ingenua che impronta la vita quotidiana. Il denaro, anche
transazioni milionarie, si cambia per strada su banchetti da gioco
delle tre carte, senza vigilanti, che espongono mucchi di banconote di
ogni paese e taglio: un milione di euro e un ragazzino dotato di una
calcolatrice a mano e una macchinetta contasoldi a gestirlo. Il tasso è
quello del momento, nessuno prova a fregarvi, nessuno riconta. In una
centrale telefonica dove si paga solo in dinari o in dollari, e avevo
solo euro, hanno derogato per gentilezza, e hanno chiesto a me a quanto
andava l'euro. Il mio pusher di pistacchi mi ha rincorso perché avevo
dimenticato un restuccio, e quando gli ho chiesto come mai fosse così
ligio, prima non ha capito la domanda, poi mi ha spiegato che se fosse
disonesto Allah lo farebbe fallire. Una versione capovolta dell'idea di
Weber sull'origine del capitalismo dal protestantesimo. Forse per questo
qui non si origina il capitalismo. In cambio, la corruzione nel potere è
ritenuta ubiqua e onnivora.
Domenica è stato rilasciato su cauzione un giovane, Shivan Azad,
arrestato due giorni prima per aver postato su Facebook un video in cui
esortava a ribellarsi e sfidava: "Morire è preferibile alla vita sotto
il vostro giogo". C'era stata una manifestazione, decine di avvocati si
erano offerti di difenderlo. Si è rievocato un giornalista di 23 anni,
Zardasht Othman, assassinato nel maggio 2010. Oppositore satirico, aveva
anche scritto un articolo intitolato: "Ho una storia con la figlia di
Barzani", figurando i vantaggi che dalla prossima parentela immaginata
sarebbero venuti a lui e ai suoi. Sequestrato platealmente all'uscita
dall'Università, fu torturato e abbandonato cadavere, tre giorni dopo, a
Mosul. Le autorità respinsero i sospetti di un coinvolgimento della
loro sicurezza.
Il contrasto fra l'onestà commovente della vita quotidiana e la
corruzione della vita pubblica non si spiega, penso, con un arcaismo
della prima e una modernità della seconda. Certo, Erbil conosce oggi una
crisi ma si allena a diventare una Dubai continentale, e la "Borsa del
dollaro" dei banchetti di Shekhallah verrà rimpiazzata da un appropriato
Stock Exchange.
D'altra parte, la corruzione della vita pubblica non è ancora quella che
imperversa da noi. La classe dirigente del Krg, in tutte le fazioni, è
anziana, ringiovanisce solo per successioni familiari, ed è reduce da
una vicenda di persecuzioni, lutti, galera, esilio, coraggio e lotte. È
fatta di ex partigiani, di uomini della montagna. Fanno confusione fra
il bene comune, il potere pubblico, e ciò che è dovuto a loro e alle
loro famiglie. Succede.
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venerdì 28 agosto 2015
Le tre guerre del Kurdistan: tra Is, ostilità turca e conflitti tra clan.
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