Oggi, riferendomi sempre alla situazione italiana, mi permetto di
sollevare in forma irrituale un’altra questione che ritengo decisiva,
almeno sul piano dell’analisi: quella della presenza di una sorta di
“fascismo trasversale” che informa la realtà delle maggiori forze
politiche del nostro Paese, la maggioranza del PD raccolta attorno al
personalismo di Renzi, il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord.
In precedenza all’entrare nel merito di questa affermazione, che molti troveranno perlomeno “inusuale”, deve comunque essere rilevato come l’insieme della situazione politica sia condizionato dal suffragarsi di due fallimenti di vasta portata e di forte incidenza, non solo sull’attualità ma anche sul futuro: il fallimento della cosiddetta ipotesi “federalista” che l’allora centrosinistra aveva mutuato allo scopo di inseguire presunti successi elettorali della Lega Nord, da realizzarsi sulla base di impulsi – alla fine – meramente razzisti, e al riguardo della quale l’intero sistema politico si è dimostrato del tutto incapace di costruire un nuovo assetto di relazioni istituzionali tra centro e periferia. Le Regioni si sono così palesate come un voracissimo centro di potere di spesa e di diffusione di nomine di stampo clientelare: un luogo nel quale si è ulteriormente accentuato il già evidente degrado morale imperante nel ceto politico.
Il secondo fallimento è quello dell’Unione Europea.
Sarebbe troppo lungo e complicato descrivere gli elementi che hanno determinato questo fatto sul piano delle dinamiche economico – politiche a livello globale, a partire dallo sviluppo inaudito del processo di finanziarizzazione speculativa dell’economia, dell’affermarsi di una concezione di privilegio per la costruzione di borghesie “compradore” nei paesi a sviluppo emergente (un fenomeno che oggi mostra la corda, a partire dalla crisi cinese), dal pronunciarsi con evidenza – in particolare nella fase nella quale gli USA hanno recitato la parte dell’unica superpotenza – di fenomeni bellici che stanno all’origine degli apparentemente inarrestabili fenomeni migratori, del trasferimento del primato della politica a quello dell’economia, dalla perdita di ruolo degli organismi sovranazionali a partire dall’ONU e dal suo Consiglio di Sicurezza.
Nella sostanza appare ormai del tutto inadeguata e lontana dalla realtà l’analisi di un Unione Europea afflitta da un “deficit di democrazia” che andrebbe colmato attraverso un ritorno alla “politica”.
Un progetto del tutto utopico perché ormai l’Unione Europea è da considerarsi fallita e chi la difende ancora ha degli interessi poco chiari da mantenere, oppure lo fa per una stanca ripetitività della propria incapacità di aggiornamento dell’analisi e per non smentire anni di rituale propaganda.
All’interno di questo quadro così sommariamente descritto si è sviluppato quel fenomeno di una sorta di “fascismo trasversale” cui accennavo all’inizio e che interessa, principalmente, i tre maggiori soggetti politici operanti in questo momento in Italia.
Come si è formato e realizzato, allora, questo fascismo trasversale?
In modo assolutamente irrituale e del tutto diverso dal fascismo del ventennio, eppure appartenente a quelle categorie del “sovversivismo delle classi dirigenti” e della “biografia di una nazione” a suo tempo analizzate da Gramsci e Togliatti.
Biografia di una nazione che ci accorgiamo adesso non essere stata modificata appieno neppure dalla Resistenza.
PdR (Partito di Renzi, secondo la definizione di Ilvo Diamanti), M5S e Lega Nord sono trasversalmente accomunati, nel loro esistere, da una volontà di potere assoluto non corrispondente ad alcuna matrice di carattere teorico sul piano storico – filosofico e di riferimento a precise categorie sociali in nome delle quali approntare un progetto di società.
Tutto questo nel PdR, nel M5S, nell’attuale Lega Nord (molto diversa da quella originaria fondata da Umberto Bossi e naufragata nei diamanti della Tanzania) non esiste: esiste soltanto la volontà del potere assoluto in quanto totale, lottando per acquisirlo semplicemente allo scopo di sostituirsi ad altri.
“Cerchio magico” su “Cerchio magico”.
In questo modo il “fascismo trasversale” (da non confondere con il “fascismo universale” di Ruggero Zangrandi”) si afferma in questi soggetti: non c’è alcun principio da difendere, nessuna distinzione tra destra e sinistra, nessun modello da modificare seguendo tutti – sul piano economico e sociale – quello del liberismo tachteriano imposto dalla Commissione di Bruxelles e dalla BCE attraverso lettere e memorandum (che cos’era, se non questo la lettera di Draghi e Trichet dell’estate 2011, o il memorandum imposto alla Grecia nell’estate 2015 e accettato , com’era facilmente prevedibile, dal governo Tsipras?).
Esiste soltanto il potere da esercitarsi per il potere, senza opposizione politica e confronto con corpi intermedi (sia pure di ispirazione corporativa): per far questo, tra l’altro, si escogitano anche operazioni di puro svuotamento delle istituzioni, di ri-centralizzazione dello Stato (del cui significato si è persa conoscenza ed esistenza) e sistemi elettorali ancor più truffaldini della stessa legge Acerbo che inaugurò la lunga stagione della dittatura (1924).
Fuori da questo quadro di fascismo trasversale si muove poco o nulla: Forza Italia legata ancora a un’idea populistica di “rassemblemant” di difesa dei ceti privilegiati del consumo individualistico in omaggio alla sua matrice pubblicitaria; la minoranza del PD e le aree circostanti (Manifesto, SeL, “c’è vita a sinistra”) pallidamente legate a una qualche ipotesi movimentista da “beni comuni” ma del tutto sconcertate, ormai da più di 20 anni, dall’indeterminatezza politica sulla base della quale fu sciolto il PCI. Un’indeterminatezza mortale dovuta dall’abbraccio con il canto della sirena della “governabilità” e dello “sblocco del sistema politico”.
Mi rendo ben conto di aver offerto il solito quadro d’analisi che forse molti condividono (almeno in parte) e di non essere riuscito a elaborare una proposta per il futuro.
Ciò risulta, almeno a mio giudizio, impossibile perché non si riesce, all’interno del quadro italiano in una visione internazionalista sia pure di tipo “classico”, a suscitare un movimento e una capacità critica consistente da rivolgere in direzione della costruzione di un’adeguata soggettività politica fondata sulla contraddizione principale dello sfruttamento: certo, ci sarebbe poi, da analizzare e da concretizzare in un progetto politico il rapporto tra la contraddizione principale e quelle definite post-materialiste (ambiente, genere) e ancora con la realtà mutata di quella che definivamo sovrastruttura (in particolare sul ruolo delle istituzioni, dell’informazione, dei nuovi meccanismi nella formazione di massa del consenso).
Il freno vero alla possibilità di descrivere un’ipotesi rivolta al futuro deriva però dalla constatazione, amara, dell’assenza di volontà politica verso la costruzione di un soggetto posto sul piano teorico e su quello pratico nel solco di un discorso di “continuità/innovazione” con la complessa storia del movimento operaio italiano e del ruolo da questo avuto nel quadro europeo.
In precedenza all’entrare nel merito di questa affermazione, che molti troveranno perlomeno “inusuale”, deve comunque essere rilevato come l’insieme della situazione politica sia condizionato dal suffragarsi di due fallimenti di vasta portata e di forte incidenza, non solo sull’attualità ma anche sul futuro: il fallimento della cosiddetta ipotesi “federalista” che l’allora centrosinistra aveva mutuato allo scopo di inseguire presunti successi elettorali della Lega Nord, da realizzarsi sulla base di impulsi – alla fine – meramente razzisti, e al riguardo della quale l’intero sistema politico si è dimostrato del tutto incapace di costruire un nuovo assetto di relazioni istituzionali tra centro e periferia. Le Regioni si sono così palesate come un voracissimo centro di potere di spesa e di diffusione di nomine di stampo clientelare: un luogo nel quale si è ulteriormente accentuato il già evidente degrado morale imperante nel ceto politico.
Il secondo fallimento è quello dell’Unione Europea.
Sarebbe troppo lungo e complicato descrivere gli elementi che hanno determinato questo fatto sul piano delle dinamiche economico – politiche a livello globale, a partire dallo sviluppo inaudito del processo di finanziarizzazione speculativa dell’economia, dell’affermarsi di una concezione di privilegio per la costruzione di borghesie “compradore” nei paesi a sviluppo emergente (un fenomeno che oggi mostra la corda, a partire dalla crisi cinese), dal pronunciarsi con evidenza – in particolare nella fase nella quale gli USA hanno recitato la parte dell’unica superpotenza – di fenomeni bellici che stanno all’origine degli apparentemente inarrestabili fenomeni migratori, del trasferimento del primato della politica a quello dell’economia, dalla perdita di ruolo degli organismi sovranazionali a partire dall’ONU e dal suo Consiglio di Sicurezza.
Nella sostanza appare ormai del tutto inadeguata e lontana dalla realtà l’analisi di un Unione Europea afflitta da un “deficit di democrazia” che andrebbe colmato attraverso un ritorno alla “politica”.
Un progetto del tutto utopico perché ormai l’Unione Europea è da considerarsi fallita e chi la difende ancora ha degli interessi poco chiari da mantenere, oppure lo fa per una stanca ripetitività della propria incapacità di aggiornamento dell’analisi e per non smentire anni di rituale propaganda.
All’interno di questo quadro così sommariamente descritto si è sviluppato quel fenomeno di una sorta di “fascismo trasversale” cui accennavo all’inizio e che interessa, principalmente, i tre maggiori soggetti politici operanti in questo momento in Italia.
Come si è formato e realizzato, allora, questo fascismo trasversale?
In modo assolutamente irrituale e del tutto diverso dal fascismo del ventennio, eppure appartenente a quelle categorie del “sovversivismo delle classi dirigenti” e della “biografia di una nazione” a suo tempo analizzate da Gramsci e Togliatti.
Biografia di una nazione che ci accorgiamo adesso non essere stata modificata appieno neppure dalla Resistenza.
PdR (Partito di Renzi, secondo la definizione di Ilvo Diamanti), M5S e Lega Nord sono trasversalmente accomunati, nel loro esistere, da una volontà di potere assoluto non corrispondente ad alcuna matrice di carattere teorico sul piano storico – filosofico e di riferimento a precise categorie sociali in nome delle quali approntare un progetto di società.
Tutto questo nel PdR, nel M5S, nell’attuale Lega Nord (molto diversa da quella originaria fondata da Umberto Bossi e naufragata nei diamanti della Tanzania) non esiste: esiste soltanto la volontà del potere assoluto in quanto totale, lottando per acquisirlo semplicemente allo scopo di sostituirsi ad altri.
“Cerchio magico” su “Cerchio magico”.
In questo modo il “fascismo trasversale” (da non confondere con il “fascismo universale” di Ruggero Zangrandi”) si afferma in questi soggetti: non c’è alcun principio da difendere, nessuna distinzione tra destra e sinistra, nessun modello da modificare seguendo tutti – sul piano economico e sociale – quello del liberismo tachteriano imposto dalla Commissione di Bruxelles e dalla BCE attraverso lettere e memorandum (che cos’era, se non questo la lettera di Draghi e Trichet dell’estate 2011, o il memorandum imposto alla Grecia nell’estate 2015 e accettato , com’era facilmente prevedibile, dal governo Tsipras?).
Esiste soltanto il potere da esercitarsi per il potere, senza opposizione politica e confronto con corpi intermedi (sia pure di ispirazione corporativa): per far questo, tra l’altro, si escogitano anche operazioni di puro svuotamento delle istituzioni, di ri-centralizzazione dello Stato (del cui significato si è persa conoscenza ed esistenza) e sistemi elettorali ancor più truffaldini della stessa legge Acerbo che inaugurò la lunga stagione della dittatura (1924).
Fuori da questo quadro di fascismo trasversale si muove poco o nulla: Forza Italia legata ancora a un’idea populistica di “rassemblemant” di difesa dei ceti privilegiati del consumo individualistico in omaggio alla sua matrice pubblicitaria; la minoranza del PD e le aree circostanti (Manifesto, SeL, “c’è vita a sinistra”) pallidamente legate a una qualche ipotesi movimentista da “beni comuni” ma del tutto sconcertate, ormai da più di 20 anni, dall’indeterminatezza politica sulla base della quale fu sciolto il PCI. Un’indeterminatezza mortale dovuta dall’abbraccio con il canto della sirena della “governabilità” e dello “sblocco del sistema politico”.
Mi rendo ben conto di aver offerto il solito quadro d’analisi che forse molti condividono (almeno in parte) e di non essere riuscito a elaborare una proposta per il futuro.
Ciò risulta, almeno a mio giudizio, impossibile perché non si riesce, all’interno del quadro italiano in una visione internazionalista sia pure di tipo “classico”, a suscitare un movimento e una capacità critica consistente da rivolgere in direzione della costruzione di un’adeguata soggettività politica fondata sulla contraddizione principale dello sfruttamento: certo, ci sarebbe poi, da analizzare e da concretizzare in un progetto politico il rapporto tra la contraddizione principale e quelle definite post-materialiste (ambiente, genere) e ancora con la realtà mutata di quella che definivamo sovrastruttura (in particolare sul ruolo delle istituzioni, dell’informazione, dei nuovi meccanismi nella formazione di massa del consenso).
Il freno vero alla possibilità di descrivere un’ipotesi rivolta al futuro deriva però dalla constatazione, amara, dell’assenza di volontà politica verso la costruzione di un soggetto posto sul piano teorico e su quello pratico nel solco di un discorso di “continuità/innovazione” con la complessa storia del movimento operaio italiano e del ruolo da questo avuto nel quadro europeo.
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