Questa ripresa da zero virgola è comunque una media del pollo: dietro i dati aggregati, tipo la disoccupazione che in Italia è stabile sopra il 12 per cento, ci sono storie molto diverse e opposte. Vari indicatori sembrano suggerire una semplice verità: ci sono e ci saranno nuovi posti di lavoro, ma non per tutti, soltanto per chi ha certe competenze (o è disposto ad accettare certi salari).
Stefano Feltri Vicedirettore de Il Fatto Quotidiano
Non aspettatevi che, se la marea della crescita sale,
prima o poi arriverà anche il vostro turno di migliorare la situazione
attuale. Potrebbe non succedere.
L’Ocse, il think tank dei Paesi ricchi, sta conducendo un’indagine per capire come sta cambiando la produttività. Uno dei fattori della bassa crescita è che in molti Paesi, l’Italia su tutti, dall’inizio del secolo la produttività
(quanto si produce usando una certa dose di fattori, tempo, forza
lavoro, capitale ecc.) è rimasta stagnante. Ma è davvero così?
A giudicare dai grafici dell’Ocse sembra di no. Le
imprese che stanno “alla frontiera”, cioè le migliori nel loro campo,
quelle che hanno investito, che usano le tecnologie più avanzate ecc.,
hanno aumentato la propria produttività moltissimo, mentre quelle
“normali” non ce la fanno più. E oggi sono agli stessi livelli di
produttività di 15 anni fa. Le imprese alla frontiera hanno visto la
loro produttività crescere del 3,5 per cento annuo nel settore manifatturiero, addirittura del 5 in quello finanziario. Le altre hanno variazioni da zero virgola.
In questo mondo sempre più diseguale – con pochi
vincitori e molti vinti – che succede ai lavoratori? Guardiamo come
stanno cambiando le cose negli Stati Uniti, lì la crescita è tornata
(+3,7 per cento nel secondo trimestre 2015). E’ ragionevole pensare che
le tendenze che si registrano là siano solo anticipazioni di quello che
vedremo in Europa. La disoccupazione è arrivata al 5,3 per cento, nel
2014 ogni mese c’erano 250mila posti di lavoro in più. Non tutti uguali,
però. Chi si prende quelli migliori?
La Georgetown University ha classificato come “good jobs” quelli con un salario annuo di 53mila dollari (quello mediano è di 42.000). I lavori “a salario medio” sono quelli tra i 32 e i 53mila dollari. I posti “a basso salario” sono quelli sotto i 32mila. Tenete conto che 32mila euro all’anno possono sembrarvi accettabili in Italia, ma negli Stati Uniti 32mila dollari sono pochi.La domanda è: nel dopo crisi, quali posti di lavoro sono stati creati? Chi era in grado di farsi assumere in quelli migliori?
La prima sorpresa è che, secondo l’analisi della Georgetown University, tra il 2010 e il 2014 su 6,6 milioni di nuovi posti di lavoro creati, ben 2,9 erano “good jobs”, 1,9 middle wage e 1,8 low wage. Chi l’avrebbe detto: nella ripresa ci sono più opportunità nella fascia alta che in quella medio bassa.
Per avere un “good jobs”, aver studiato è il requisito minimo. Bisogna aver almeno finito il college. Per chi ha soltanto un diploma, ci sono meno opportunità di prima della crisi, come mostra questo grafico.
Studiare, d’accordo. Ma cosa? I numeri della Georgetown rivelano che le opportunità ci sono state soprattutto per le professioni manageriali
(manifattura ma anche finanza, sicurezza ecc.). Questo è di gran lunga
il gruppo maggiore, lì sono nati 1,8 milioni di “good jobs” su 2,9
totali. A seguire l’area Stem, cioè scienza, tecnologia, ingegneria, matematica, con 881.000 posti. Per i blue collar,
cioè gli operai, ci sono meno “good jobs” rispetto a prima della crisi.
E ce ne sono parecchi meno anche nell’istruzione, ben 184.000 in meno
rispetto a prima della crisi.
E’ utile guardare anche a cosa succede nella fascia dei salari medi: il grosso dei nuovi posti sono nell’industria del cibo,
che tipicamente ha una filiera lunga (dalla lavorazione della materia
prima alla distribuzione) con molte posizioni pagate così così. Ci sono
anche molti nuovi posti, sempre tra i salari medi nell’istruzione e nel “community service”
(da noi sarebbero assistenti sociali e altre figure del welfare di
territorio). Segno che, in questa fascia, alcuni lavori che prima della
crisi erano pagati molto, oggi sono stati svalutati.Morale: anche quando torna la crescita, i suoi benefici vengono distribuiti in modo diseguale. E, ancor più di prima, verranno premiati quelli che hanno le conoscenze ritenute più necessarie dal mercato (quelle che servono alle imprese “alla frontiera” la cui produttività continua a crescere). Mentre per gli altri ci saranno, nel migliore dei casi, salari medio-bassi.
Siamo tutti avvertiti.
Nessun commento:
Posta un commento