domenica 7 luglio 2013

Spread, la legge dei ricchi

La differenza della spesa tra imprenditori e operai è stata di oltre 1.100 euro al mese. Ma i più penalizzati sono i lavoratori «in proprio». Cresce anche il divario nord-sud: tra Sicilia e Trentino il gap è di 1.300 euro. Nell’anno del governo Monti la recessione ha divorato 2.419 euro alla spesa media mensile delle famiglie italiane.

il manifesto Roberto Ciccarelli 
L’unico spread calcolato fino ad oggi è stato quello tra il rendimento dei Bund tedeschi e quello dei Btp, i Buoni del tesoro poliennali italiani di durata decennale. Nel suo nome si sono cambiati governi e maggioranze politiche come calzini. Da quando l’ex presidente del consiglio Monti e i suoi protettori politici l’hanno reso universalmente noto, sono stati in pochi a capire che dietro il loro vangelo quotidiano si nascondeva l’ indice che misura la lotta di classe dei ricchi contro i poveri. O meglio, visto che le categorie di «ricco» e di «povero» devono essere contestualizzate in una società complessa ma in crisi come la nostra, diciamo che oggi lo spread rappresenta la quantità della ricchezza collettiva espropriata dal capitalismo finanziario ai redditi da lavoro. In questa cornice i soldi non vengono spesi perché non ci sono e perché sono finiti nelle tasche di qualcun altro.

Ieri l’Istat ha fornito un parametro interessante per comprendere, in maniera immediata, le dimensioni dell’espropriazione in corso: quello della riduzione della spesa delle famiglie per i consumi. Tale riduzione ha diminuito la spesa delle famiglie più abbienti del 5,7% (3.280 euro al mese a fronte dei 3.477 del 2011), ma ha allargato di oltre 1.110 euro il divario che separa la spesa media degli imprenditori e dei liberi professionisti (3.489 euro) da quella delle famiglie degli operai (2.329 euro). Nel 2012 questi ultimi hanno speso il 4,2% in meno rispetto al 2011. Una diminuzione identica viene riscontrata nelle famiglie con disoccupati che si attesta su 1.827 euro. Alle differenze di classe si aggiungono quelle tra territori. Tra Sicilia e Trentino il gap della spesa è di 1.300 euro. Il dato può essere spiegato anche alla luce dell’aumento della disoccupazione che ha colpito il lavoro dipendente, e quindi anche quello operaio. Per l’Inps le domande per la disoccupazione sono aumentate tra il 2012 e il 2013 del 26,5% raggiungendo il totale di 119.868. Mancando il salario, diminuiscono logicamente anche le occasioni di spesa per i consumi domestici (arredamenti, elettrodomestici, servizi per la casa: -4,8% del 2012, -5,4% del 2010); per l’alimentazione (la spesa ai discount è salita al 12,3%, cioè dell’1,8% dal 2011); per l’acquisto di abbigliamento e calzature (dal 5,4% si scende al 5%, nel Sud dal 6,6% al 5,7%). In compenso aumentano le spese per combustibili ed energia del 3,9%, perché bisogna pur illuminare casa e muoversi con benzina e tariffe per treni che aumentano in maniera irrazionale, mentre diminuiscono del 5,4% le spese per tempo libero e cultura, musei cinema e teatro in particolare. Chiaramente spendono meno le famiglie con uno o più figli (-4% e -6,3%), mentre spendono il 5% in più le coppie di anziani, che hanno uno stile di vita consolidato ma devono affrontare l’aumento delle spese sanitarie e dei ticket in particolare.
In questo scenario recessivo sono le famiglie dei lavoratori «in proprio» ad essere le più penalizzate. La riduzione della spesa media mensile è stata del 7,1%, 200 euro in meno rispetto al 2011. La sproporzione nella spesa tra dipendenti e lavoratori autonomi, precari o intermittenti sposati (il 4,2% contro il 7,1%) è uno degli indici più veritieri della crisi italiana. Chi non ha un’occupazione «non standard», cioè non ha la possibilità di richiedere nemmeno la disoccupazione o l’Aspi, rinuncia alle spese dovendo già immaginare – nei casi più fortunati – come pagare un mutuo (in media 503 euro al mese). È facile immaginare che nei casi dei single precari, o delle coppie non ufficialmente registrate o in affitto, la capacità di spesa sarà stata annientata. Per la Confederazione italiana agricoltori il crollo della spesa per i consumi avvenuto nel 2012 è stato il più catastrofico dal 1997. Nell’anno più cupo, fin’ora, della crisi ha registrato -2,8% per famiglia, cioè 2.419 euro al mese. Tutto questo è accaduto nell’Anno I dello spread, quando al governo c’era Monti, «l’uomo che doveva salvare l’Italia» (definizione del Times). Aspettiamo i dati per il 2013, quello del governo larghe intese, nell’anno in cui lo spread tra ricchi e poveri continuerà a regnare sovrano.

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