Dalla «Escuela de Verano» parte l’idea di una rivista internazionale di studi «gramsciana». Mentre nelle università italiane si ritiene «superato», il resto del mondo lo riscopre per interpretare l’attualità
La città natale di Pablo Ruiz Picasso, oggetto negli ultimi decenni di una devastazione ambientale che certo poco sarebbe piaciuta all’autore delle Demoiselles d’Avignon, con costruzione di giganteschi alberghi (che i giornali locali vantano come primato nazionale), non è solo luogo di vacanza, anche se, malgrado la crisi economica, qui si percepisca ancora la dolcezza del vivere. Malaga ha una università di medie dimensioni, nata quarant’anni fa, molto vivace, e una cattedra Unesco, che organizza da sei anni dei corsi estivi, su varie tematiche, in diverse discipline, sempre con finalità fortemente connotate sul piano civile e indirettamente politico. Si crede, qui, insomma, in una cultura che abbia come meta ultima non il mero accrescimento di conoscenze, e men che meno l’acquisizione di competenze tecniche, bensì la formazione della cittadinanza.
Quest’anno la “Escola de Verano” comprendeva dodici corsi, che coprivano discipline come il Diritto pubblico, la Comunicazione, la Pedagogia, la Biologia, il Diritto penale, la Scienza politica. E per la prima volta anche i fumetti, nella loro dimensione politica. Alcuni docenti che collaborano alla Cattedra Unesco, in memoria di Francisco Fernandez Buey, uno studioso morto prematuramente meno di un anno fa, proposero al direttore della cattedra, Bernardo Diaz Nosty, un corso su Antonio Gramsci. Qualcuno espresse perplessità giudicando il corso troppo specialistico, ma alla fine la proposta passò. Risultato: il corso su Gramsci ha avuto di gran lunga il maggior numero di iscritti, e addirittura il maggior numero di partecipanti di tutta la storia della Scuola estiva.
Una sorpresa un po’ per tutti, anche perché il titolo del corso, “La vigencia del pensamento de Antonio Gramsci”, era molto “tagliato”, e dava quasi un messaggio politico, al punto che qualche studioso italiano contattato per svolgere il ruolo di docente ha rifiutato. E ha fatto male. Perché il corso, diretto da Ana Jorge Alonso, ha rappresentato una esperienza entusiasmante. Innanzi tutto per il pubblico frequentante: persone di ogni età e professione, dagli studenti ai professori delle Superiori, dai docenti universitari (inimmaginabile da noi che dei docenti vadano a frequentare, come iscritti paganti, una Summer School della loro università) ai sindacalisti, dai militanti di sinistra a semplici appassionati. Ogni lezione era seguita da un dibattito intensissimo, pieno di curiosità, dove non si facevano comizi, ma si ponevano domande intelligenti, che traducevano un’autentica volontà di sapere. E molti cominciavano i loro interventi nella discussione spiegando il loro Gramsci: ossia come l’avevano conosciuto e che cosa sapevano di lui. Un insegnante di scuola media ha detto che di Gramsci sapeva a mala pena il nome, e quando ha visto qualche mese fa il programma del corso, è andato a cercare informazioni su Wikipedia e altri siti, ed è rimasto «impressionato» da ciò che ha trovato e letto (così ha detto). Ha deciso di iscriversi: ha seguito l’intera settimana, occupando sempre lo stesso posto – stessa fila, stesso banco – prendendo appunti, facendo domande, diligente e attivo, testimoniando, giorno dopo giorno, il proprio crescente entusiasmo. Notevole la presenza di laureandi, dottorandi, docenti di discipline che si potrebbero immaginare (sbagliando) estranee all’universo gramsciano, come il Diritto, la Linguistica, la Traduzione, la Psicologia.
In tutti i partecipanti (oltre 40, alcuni provenienti dal circondario, qualcuno addirittura da città distanti fino a un centinaio di chilometri), è visibilmente andato crescendo l’interesse per la vita, il pensiero e la fisionomia politica di questo rivoluzionario pensoso, di questo marxista critico, di questo comunista umanistico, la cui fortuna attuale scaturisce precisamente dalla differenza tra la sua posizione e il suo pensiero rispetto alla dogmatica marxista e il socialismo reale, la sua distanza da ciò che chiamiamo, semplificando, stalinismo. Si è insistito, da vari punti di vista, precisamente sulla «diversità» di Gramsci, e ci si è interrogati sulla sua «attualità», anche se la risposta che personalmente darei è di assoluta inattualità ma nel contempo di drammatica necessità. Difficile immaginare oggi, tanto a livello nazionale, quanto sovranazionale, una estraneità così assoluta: il rigore etico, l’onestà intellettuale, la coerenza politica, la stessa ricchezza umana, di cui la vita, l’azione e il pensiero di Antonio Gramsci sono prova provata, duramente provata, appaiono distanti anni luce dalle regole e dalle prassi del tempo presente. Eppure quanto bisogno vi sarebbe precisamente di questi tratti, per fare cultura, una cultura disinteressata, ossia non finalizzata a una carriera accademica o al mercato, ma nel contempo una cultura che miri a comprendere, come scriveva il giovane studente dell’università di Torino nel 1916, il nostro posto nel mondo, i nostri diritti e i nostri doveri, per acquisire consapevolezza, apprendere il principio di responsabilità. Tutti passi fondamentali per l’azione politica. Gramsci sarebbe utile, e direi necessario anche per tentare di fare una politica che ricuperi la propria nobiltà, che associ una concezione realistica dei rapporti di forza, con la spinta dell’utopia trasformatrice. Curiosamente, proprio in Italia questa “vigencia” di Gramsci sembra ignorata: una giovane ricercatrice che collabora alla Cattedra Unesco, ma ha rapporti con l’Università di Torino, mi racconta che, venuta appunto sotto la Mole, avendo annunciato il corso su Gramsci al gruppo di docenti e ricercatori torinesi, ha ricevuto un gelido commento: «Da noi Gramsci è superato». E costoro sono scienziati della politica…
A dispetto del giudizio di costoro, il corso malagueño ha confermato di vedere nell’elaborazione di Gramsci, una eccezionale ricchezza multiversa e un’assoluta originalità: del giornalista rivoluzionario, poi del dirigente politico, infine, nel prigioniero del fascismo che riflette sulla sconfitta del movimento operaio. Per Gramsci il marxismo costituisce una fonte essenziale, ma non è la sola; e il comunismo la prospettiva, ma con caratteri suoi propri: si tratta di due etichette insufficienti, in definitiva, anche se entrambe corrette. Con Gramsci ha inizio un’era nuova nella storia del pensiero occidentale: tale il messaggio che Malaga lancia oggi. Per diffonderlo, alla conclusione del corso, si è deciso, unanimemente, di radunare la comunità gramsciana nel luogo ideale in cui gli intellettuali sempre si incontrano e lanciano le loro idee: non un nuovo centro studi (ne esistono), non una cattedra (ce ne sono, specie in America Latina), non un’associazione (la International Gramsci Society nacque negli Usa nel 1989, grazie a Joseph Buttgieg, e ha una vivace Sezione italiana, presieduta fino alla morte dal compianto Giorgio Baratta, ora da Guido Liguori); nulla di tutto questo. Ma, semplicemente, una rivista, che si chiamerà classicamente Gramsciana, ospiterà contributi in diverse lingue, avrà un Consiglio di direzione e un Comitato scientifico internazionali. Alla rivista Malaga affida il compito di riprendere il discorso della “Escola de Verano” 2013.
Quest’anno la “Escola de Verano” comprendeva dodici corsi, che coprivano discipline come il Diritto pubblico, la Comunicazione, la Pedagogia, la Biologia, il Diritto penale, la Scienza politica. E per la prima volta anche i fumetti, nella loro dimensione politica. Alcuni docenti che collaborano alla Cattedra Unesco, in memoria di Francisco Fernandez Buey, uno studioso morto prematuramente meno di un anno fa, proposero al direttore della cattedra, Bernardo Diaz Nosty, un corso su Antonio Gramsci. Qualcuno espresse perplessità giudicando il corso troppo specialistico, ma alla fine la proposta passò. Risultato: il corso su Gramsci ha avuto di gran lunga il maggior numero di iscritti, e addirittura il maggior numero di partecipanti di tutta la storia della Scuola estiva.
Una sorpresa un po’ per tutti, anche perché il titolo del corso, “La vigencia del pensamento de Antonio Gramsci”, era molto “tagliato”, e dava quasi un messaggio politico, al punto che qualche studioso italiano contattato per svolgere il ruolo di docente ha rifiutato. E ha fatto male. Perché il corso, diretto da Ana Jorge Alonso, ha rappresentato una esperienza entusiasmante. Innanzi tutto per il pubblico frequentante: persone di ogni età e professione, dagli studenti ai professori delle Superiori, dai docenti universitari (inimmaginabile da noi che dei docenti vadano a frequentare, come iscritti paganti, una Summer School della loro università) ai sindacalisti, dai militanti di sinistra a semplici appassionati. Ogni lezione era seguita da un dibattito intensissimo, pieno di curiosità, dove non si facevano comizi, ma si ponevano domande intelligenti, che traducevano un’autentica volontà di sapere. E molti cominciavano i loro interventi nella discussione spiegando il loro Gramsci: ossia come l’avevano conosciuto e che cosa sapevano di lui. Un insegnante di scuola media ha detto che di Gramsci sapeva a mala pena il nome, e quando ha visto qualche mese fa il programma del corso, è andato a cercare informazioni su Wikipedia e altri siti, ed è rimasto «impressionato» da ciò che ha trovato e letto (così ha detto). Ha deciso di iscriversi: ha seguito l’intera settimana, occupando sempre lo stesso posto – stessa fila, stesso banco – prendendo appunti, facendo domande, diligente e attivo, testimoniando, giorno dopo giorno, il proprio crescente entusiasmo. Notevole la presenza di laureandi, dottorandi, docenti di discipline che si potrebbero immaginare (sbagliando) estranee all’universo gramsciano, come il Diritto, la Linguistica, la Traduzione, la Psicologia.
In tutti i partecipanti (oltre 40, alcuni provenienti dal circondario, qualcuno addirittura da città distanti fino a un centinaio di chilometri), è visibilmente andato crescendo l’interesse per la vita, il pensiero e la fisionomia politica di questo rivoluzionario pensoso, di questo marxista critico, di questo comunista umanistico, la cui fortuna attuale scaturisce precisamente dalla differenza tra la sua posizione e il suo pensiero rispetto alla dogmatica marxista e il socialismo reale, la sua distanza da ciò che chiamiamo, semplificando, stalinismo. Si è insistito, da vari punti di vista, precisamente sulla «diversità» di Gramsci, e ci si è interrogati sulla sua «attualità», anche se la risposta che personalmente darei è di assoluta inattualità ma nel contempo di drammatica necessità. Difficile immaginare oggi, tanto a livello nazionale, quanto sovranazionale, una estraneità così assoluta: il rigore etico, l’onestà intellettuale, la coerenza politica, la stessa ricchezza umana, di cui la vita, l’azione e il pensiero di Antonio Gramsci sono prova provata, duramente provata, appaiono distanti anni luce dalle regole e dalle prassi del tempo presente. Eppure quanto bisogno vi sarebbe precisamente di questi tratti, per fare cultura, una cultura disinteressata, ossia non finalizzata a una carriera accademica o al mercato, ma nel contempo una cultura che miri a comprendere, come scriveva il giovane studente dell’università di Torino nel 1916, il nostro posto nel mondo, i nostri diritti e i nostri doveri, per acquisire consapevolezza, apprendere il principio di responsabilità. Tutti passi fondamentali per l’azione politica. Gramsci sarebbe utile, e direi necessario anche per tentare di fare una politica che ricuperi la propria nobiltà, che associ una concezione realistica dei rapporti di forza, con la spinta dell’utopia trasformatrice. Curiosamente, proprio in Italia questa “vigencia” di Gramsci sembra ignorata: una giovane ricercatrice che collabora alla Cattedra Unesco, ma ha rapporti con l’Università di Torino, mi racconta che, venuta appunto sotto la Mole, avendo annunciato il corso su Gramsci al gruppo di docenti e ricercatori torinesi, ha ricevuto un gelido commento: «Da noi Gramsci è superato». E costoro sono scienziati della politica…
A dispetto del giudizio di costoro, il corso malagueño ha confermato di vedere nell’elaborazione di Gramsci, una eccezionale ricchezza multiversa e un’assoluta originalità: del giornalista rivoluzionario, poi del dirigente politico, infine, nel prigioniero del fascismo che riflette sulla sconfitta del movimento operaio. Per Gramsci il marxismo costituisce una fonte essenziale, ma non è la sola; e il comunismo la prospettiva, ma con caratteri suoi propri: si tratta di due etichette insufficienti, in definitiva, anche se entrambe corrette. Con Gramsci ha inizio un’era nuova nella storia del pensiero occidentale: tale il messaggio che Malaga lancia oggi. Per diffonderlo, alla conclusione del corso, si è deciso, unanimemente, di radunare la comunità gramsciana nel luogo ideale in cui gli intellettuali sempre si incontrano e lanciano le loro idee: non un nuovo centro studi (ne esistono), non una cattedra (ce ne sono, specie in America Latina), non un’associazione (la International Gramsci Society nacque negli Usa nel 1989, grazie a Joseph Buttgieg, e ha una vivace Sezione italiana, presieduta fino alla morte dal compianto Giorgio Baratta, ora da Guido Liguori); nulla di tutto questo. Ma, semplicemente, una rivista, che si chiamerà classicamente Gramsciana, ospiterà contributi in diverse lingue, avrà un Consiglio di direzione e un Comitato scientifico internazionali. Alla rivista Malaga affida il compito di riprendere il discorso della “Escola de Verano” 2013.
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