venerdì 26 luglio 2013

Ma chi sono questi giovani turchi?


Con Matteo Renzi tornato a fare a tempo pieno il Sindaco di Firenze, i renziani che pensavano di essere sul punto di conquistare il partito si sono fatti un po’ da parte. E hanno lasciato gli onori delle cronache alla loro controparte più organizzata: i ‘giovani turchi del Pd. A sinistra del partito, fedeli a Bersani, oppositori di Renzi e del suo ‘liberismo riformista’: il gruppo capitanato da Stefano Fassina si appresta a sbarcare numeroso in Parlamento (si parla di una cinquantina di deputati) grazie al successo alle primarie del Partito Democratico e alla vicinanza con il segretario.
L’obiettivo è dare la linea al Partito in un momento propizio - con il passo indietro di Renzi, l’alleanza con Sel e il gruppone in Parlamento - per evitare che le idee blairiane, moderate, antisindacali prendano il sopravvento nel partito. E spingendo - anzi - in direzione contraria. Ok, ma chi sono questi Giovani Turchi? Oltre al più noto Stefano Fassina, troviamo anche Matteo Orfini, Andrea Orlando e tutti quelli che hanno dato vita alla corrente del Pd “Rifare l’Italia”.


E per considerarsi giovani, quanti anni hanno? Fassina ha 46 anni, Andrea Orlando 44, Matteo Orfini 39. Per i canoni italici si tratta senz’altro di giovani, ma ha più senso considerarli tali perché rappresentano la nuova generazione del partito, cresciuta nelle fila del Pdseguendo tutta la trafila della gavetta partitica. E adesso sentono che è il loro momento. Per la verità, lo sentono già da più di un anno, quando appunto è stato stilato il primo documento programmatico di “Rifare l’Italia”.
Il compito storico che il Pd ha dinanzi a sé, la ragione stessa della sua costituzione, non è semplicemente la costruzione di un’alternativa a questo governo ma la chiusura di un intero ciclo ventennale e l’apertura di una nuova fase della vita del paese. Con il crollo repentino del vecchio sistema politico, il paese si è trovato privo di partiti degni di questo nome e fortemente permeabile dal vento dell’ideologia neoconservatrice. Il risultato è stato un inestricabile intreccio di conservatorismo e “nuovismo” neoliberale che ha reso la politica italiana ipertrofica e impotente (se non di fronte all’azione di ineludibili vincoli internazionali), invadente e al tempo stesso fortemente subalterna di fronte al peso degli interessi costituiti, delle corporazioni, dei localismi.
Dalla lettura del documento se ne deducono i capisaldi dei “turchi”: il berlusconismo non è colpa solo di Berlusconi, anzi, il Cavaliere è stato più che altro un sintomo di una “crisi di sistema” della politica. E quindi non basta liberarsi del Cavaliere, bisogna ripensare tutto. A partire da un bipolarismo costruito non su leader carismatici, ma su solidi partiti di tipo europeo. Importantenon cadere nella trappola del “nuovismo” neoliberale (e qui è chiaro il riferimento a Renzi), sorta di reazione di riflesso causata dal conservatorismo imperante. E per primo il Pd - per recuperare la sua rappresentanza - deve rivolgersi al mondo del lavoro.
Su questo punto, che rapppresenta l’ancora che lega il gruppo alla sinistra tradizionale, i richiami sono chiarissimi: il libro di Fassina si chama “Il lavoro prima di tutto”. Mentre Matteo Orfini dice:
Nel nostro paese serve come il pane uno strumento che consenta a un giovane povero, di una zona povera del Mezzogiorno, di avere un luogo in cui andare per cercare di combattere per cambiare la propria condizione individuale e quella del proprio Paese.
Il cardine di tutto questo è la ricostruzione della ‘democrazia dei partiti’, un attitudine a un “pensiero collettivo” che porti la politica fuori dalle secche di un “individualismo radicale sconfinato in narcisismo”. Questo si legge nel “Manuale dei Giovani Turchi” del giornalista dell’Unita Francesco Cundari e qui si ritrovano alcuni dei punti fondamentali dell’azione di Bersani. Che infatti ha il loro sostegno esplicito.
Con Bersani e contro Renzi, a cui non sono state risparmiate uscite velenose, come quella di Matteo Orfini:
Possiamo dire a un giovane precario che adesso gli riproponiamo la stessa classe dirigente che lo ha portato nelle condizioni in cui è oggi? Oppure gli possiamo proporre uno che parla in dialetto fiorentino e dice oggi che dobbiamo continuare a fare esattamente quello che facevamo venti anni fa
Tutto questo non deve fare però pensare a dei massimalisti radicali, un po’ perché sennò non sarebbero nel Pd, un po’ perché - ad esempio sull’Europa - le loro posizioni sono ben lontane dai pasdaran del postcomunismo e affini. Si legge ancora sul loro documento:
L’unità dell’Europa è la condizione dell’unità dell’Italia e del suo futuro di nazione. Per realizzarla, occorre essere protagonisti di un profondo mutamento nell’indirizzo politico dell’Ue che affermi un nuovo europeismo progressista saldamente ancorato al metodo comunitario e orientato allo sviluppo e alla giustizia sociale. Un indirizzo distante sia dall’attuale linea del centro-destra europeo sia dalla fragile strategia di Lisbona elaborata dai governi progressisti alla fine degli anni novanta
Critici, quindi, con l’indirizzo conservatore a cui l’Europa sembra essere ‘naturalmente’ portata, ma riconoscendo come la Ue e la moneta unica siano imprescindibili. Questa è la ‘new wave’ del Pd che si contrappone ai ‘rottamatori’ forti anche di una maggiore organizzazione. Di sinistra, fedeli a Bersani, (abbastanza) giovani e pronti allo sbarco in Parlamento. Le potenzialità per avere sempre più voce in un partito che va dritto verso il pensionamento della classe politica che lo guida da decenni ci sono tutte.

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