domenica 28 luglio 2013

Europa cannibale: prima divoratrice mondiale di foreste


In meno di vent’anni, tra il 1990 e il 2008, i consumi europei hanno causato l’abbattimento di foreste in varie parti del mondo per un’estensione pari ad almeno 9 milioni di ettari, una superficie paragonabile a quella dell’Irlanda. Peggio ancora di Usa e Canada: siamo noi europei i primi consumatori di foreste al mondo. Un triste primato, registrato il 2 luglio dalla stessa Unione Europea nel rapporto “The impact of Ee consumption on deforestation”. Secondo il Wwf, «emergono prove inquietanti su come l’Unione importi prodotti derivanti dalla deforestazione in quantità superiore a quella prevista, nonostante il suo impegno a ridurre la deforestazione tropicale del 50% entro il 2020». E dire che Bruxelles aveva promosso lo studio nel 2011 per contribuire a contrastare i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità a livello mondiale. Obiettivo: valutare l’impatto del consumo europeo sulla perdita delle foreste nel mondo. A quanto pare, i migliori boschi del pianeta li divoriamo alla velocità della luce: più che il legname, ci interessa il pascolo che si ottiene radendo al suolo gli alberi.
L’analisi dell’Ue, spiega Alessandro Graziadei in un report su “Unimondo”, ripreso da “Megachip”, verifica le importazione di beni di consumo legati deforestazioneall’abbattimento delle foreste, soprattutto quelle di Amazzonia, Sud-Est asiatico e Africa. Noi di fatto «non importiamo legname, ma registriamo enormi consumi soprattutto di prodotti alimentari come carne, latte, caffè e tutti quei prodotti alimentari che trasformano definitivamente le foreste in pascoli o in piantagioni». Prodotti alimentari, si legge nel rapporto, «che sono oggi riconosciuti come i maggiori responsabili della deforestazione». Se è vero che la maggior parte delle colture e dei prodotti animali connessi con la deforestazione nei paesi di origine sono consumati a livello locale o regionale, precisa Graziadei, risulta però che negli ultimi 18 anni, nel mondo, sono stati esportati principalmente da paesi in via di sviluppo il 33% dei raccolti e l’8% del bestiame prodotti proprio grazie alla deforestazione. Di questi, l’Europa ne ha importato e consumato il 36%. Mentre, nello stesso periodo, i più limitati consumi di Usa e Canada hanno complessivamente causato l’abbattimento “solo” di 1,9 milioni di ettari di foreste. Tutta l’Asia orientale, compresa la Cina e il Giappone, è responsabile dell’abbattimento di 4,5 milioni di ettari.

Per il Wwf, inoltre, le stime sul peso europeo nella deforestazione sono caute, e andrebbero riviste al rialzo, tenendo conto anche delle importazioni legate a prodotti tessili e servizi vari. «L’aumento dei consumi di colture come la soia, l’olio di palma e prodotti connessi, così come il consumo di carne, sono la causa principale della deforestazione nelle aree tropicali». Alla luce di questi dati – sostiene Dante Caserta, presidente di Wwf Italia – le autorità europee «devono agire subito». Dello stesso avviso anche Chiara Campione di “Greenpeace”: «Se la nostra impronta forestale continuerà a crescere e l’Europanon cambia subito rotta rischiamo di compromettere l’intero ecosistema: dovremmo cominciare a dare il buon esempio, eliminando la deforestazione per la quale siamo direttamente responsabili». Surreale la risposta della Commissione Europea, massima responsabile della catastrofe economica che sta mettendo alla corda tutto il Sud Europa, con la più spietata politica di rigore mai attuata nella storia: greci, spagnoli, portoghesi e italiani possono pure affondare nella disperazione, mentre per Dante Casertale foreste Bruxelles è disponibile a giocare la sua immagine,  impegnandosi per misure concrete in materia di sviluppo sostenibile.
«E’ chiaro che se l’Unione Europa vuole tornare ad atteggiarsi a prima della classe in campo ambientale – rileva Graziadei – deve mettere mano ad alcune delle questioni evidenziate nello studio, come ad esempio l’impatto del settore alimentare, le abitudini di consumo e una migliore informazione e sensibilizzazione presso consumatori e industriali». E qui si scende sul terreno del ridicolo: la stessa Commissione Europea che impone agli Stati il pareggio di bilancio, senza alcuna trasparenza sulle proprie decisioni centrali, sul futuro delle foreste annuncia addirittura «un’ampia consultazione pubblica via web per raccogliere i pareri aggiuntivi in tutta l’Unione con l’obiettivo di raccogliere ulteriori suggerimenti e di valutare criticamente future iniziative politiche». Propaganda a parte, ricorda “Unimondo”, tra i problemi reali sul tappeto c’è quello dei biocarburanti, che ora costituiscono circa il 5,7% delle miscele di benzina e gasolio, ma dovranno arrivare al 10% entro il 2020 sfruttando per l’operazione unChiara Campioneterreno agricolo più grande del Belgio. «I biocarburanti dovrebbero esser amici del clima, ma solo in teoria».
Coltivare piante per biocombustibili «richiede trattori, macchinari, concimi, pesticidi e soprattutto nuove terre sottratte alle foreste o alle coltivazioni alimentari». In questo caso, un terreno agricolo “grande più del Belgio” da trovare in qualche parte del mondo sarà «adibito a “sfamare” le vetture europee, e i poveri del mondo tireranno ulteriormente la cinghia». Inoltre, «i terreni coltivati saranno ulteriormente ampliati a spese delle foreste». La direttiva Ue ora in vigore raccomanda che non vengano incentivati biocarburanti prodotti distruggendo le foreste, «ma è probabile – sottolinea Graziadei – che i biocarburanti cresciuti su terreni freschi di deforestazione non prenderanno la strada dell’Europa, lasciando inalterato il risultato planetario». Ma allora, come contrastare questo modello consumistico? Le associazioni ambientaliste preoccupate per questa ingombrante leadership europea non hanno dubbi: «O proseguiamo in una autodistruttiva deforestazione, o mettiamo energie e volontà politica in una lungimirante decrescita felice». Magari, appunto, meno drammatica di quella – feroce – imposta dalla Troika ai “prigionieri” dell’Eurozona.

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