Fino a pochi mesi fa, se si chiedeva in giro “a chi giova l’austerità?”, la risposta sarebbe stata scontata: “alla Germania”, ovviamente! La qual cosa non era peraltro priva di fondamento, stanti i livelli dell’economia tedesca in rapporto a quelli del resto d’Europa.
Grazie all’euro ed alle politiche di contenimento della spesa pubblica nell’area Ue, la Germania ha potuto beneficiare per alcuni anni di un reale vantaggio competitivo sui mercati del continente ed anche su quelli emergenti. Da un lato il tasso di cambio reale effettivo nell’area euro ribassato del 15-20% rispetto all’ipotesi del mantenimento della divisa nazionale, dall’altra il deprezzamento della moneta unica rispetto al dollaro ed allo yen, hanno fatto sì che le esportazioni tedesche spiccassero il volo, dentro e fuori i confini dell’Europa, passando dal disavanzo al surplus della bilancia commerciale.
Prima dell’introduzione dell’euro le esportazioni tedesche verso i paesi europei costituivano il 25% del totale, poi, almeno fino al 2012, la percentuale è salita fino al 70% (dato Bundesbank 2011). Sennonché, approfittando proprio dei vantaggi derivanti da un euro debole, negli ultimi tempi la Germania ha puntato molto anche su alcuni mercati emergenti, Cina in primis, abbandonando quote di quello che potremmo definire il mercato “di cortile”.
Fin qui quel che è stato. Ed ora? Due fattori concomitanti rischiano di far finire questa lunga e bella luna di miele. La crisi prolungata nei paesi europei ed il rallentamento dell’economia cinese, stanno minando alla radice alcune certezze dei governanti tedeschi, a cominciare dall’infallibilità delle politiche di rigore.
Secondo i dati forniti dall’Ufficio federale di statistica tedesco (Destatis), le esportazioni sono calate a maggio 2013 complessivamente del 2,4%, la più vistosa contrazione delle esportazioni tedesche dal dicembre 2009, contro una previsione degli esperti che non andava oltre lo 0,4%. Il surplus della bilancia commerciale di maggio si è attestato così a 14,1 miliardi di euro, contro i 17,5 miliardi di euro di aprile. Segnali. Come segnali da prendere in considerazione sono quelli che giungono dall’economia. Certo, stiamo parlando ancora di un sistema in salute, solido, ma alcuni dati permettono di ragionare anche su ipotesi di prospettiva. In questo quadro non sono da sottovalutare il fatto che il Prodotto interno lordo abbia visto solo un debole +0,1% nel primo trimestre 2013, contro lo 0,7% del 2012 e l’1,5% del 2011, che a maggio la produzione è calata dell’1% e sono calati anche gli ordinativi alle aziende, che si è registrato un -1% nelle assunzioni rispetto all’anno precedente.
Cosa ha determinato questa contrazione nella produzione e nelle esportazioni? Alcuni analisti più inclini ad assecondare le ragioni della Cancelliera Merkel e dei fautori del rigore si sono subito affrettati ad imputare questo passo indietro ai problemi di domanda che si registrano nel mercato cinese. Ed in parte è vero. Ma questo non spiega tutto. Per quanto ridottosi l’interscambio con i paesi della Ue, esso costituisce ancora una quota rilevantissima del totale (40%), e la forte recessione che investe alcuni partner commerciali europei, compresa l’Italia, sta avendo un effetto molto negativo sulla capacità di esportazione della Germania. Lo dicono i numeri: – 3,6% le esportazioni nei paesi dell’area euro negli ultimi cinque mesi, soprattutto per il vacillare dei partner commerciali storici, come la Francia, l’Italia e la Spagna.
Chi di austerità ferisce, di austerità perisce? Non è un’ipotesi peregrina, in base alle leggi più elementari dell’economia, o della macroeconomia, se si preferisce. D’altronde non servono grandi sistemi di analisi per capire che se non c’è domanda non ci sono consumi e che senza consumi non c’è produzione ed occupazione. Molto efficace a tal riguardo l’espressione usata da Paul Krugman in un suo recente saggio: “La tua spesa è il mio reddito, la mia spesa è il tuo reddito”. Una regoletta semplicissima a cui nemmeno la Germania può sottrarsi.
Alcuni osservatori, con un certo ottimismo, sostengono che a metà anno le cose dovrebbero andar meglio, ma se il rallentamento del Pil[1] continuasse ai ritmi attuali tra due trimestri la Germania sarebbe da considerarsi ufficialmente in recessione, il che avrebbe un effetto non secondario sulla tenuta dell’attuale impalcatura euro-finanziaria, se non altro per i rivolti psicologici di una simile evenienza al netto dei problemi economici reali che di fatto comporterebbe.
Torna allora il tema di come uscire da questa crisi e di cosa dovrebbe fare la Germania per propiziare tale evenienza. C’è un’unica soluzione, ancora oggi: allentare la morsa dei vincoli di bilancio, consentendo ai singoli paesi politiche di stimolo all’economia attraverso la leva degli investimenti pubblici, in linea generale; per la Germania, ed altri paesi in surplus, come l’Olanda ad esempio, si tratterebbe, attraverso lo stimolo alla domanda interna, anche di incrementare il livello delle importazioni, a vantaggio della ripresa di competitività dei paesi dell’Eurozona maggiormente colpiti dalla crisi.
Diversamente sarà difficile mantenere in piedi l’attuale costruzione euro-monetaria, che scricchiola in parecchi punti e si è fatta già parecchi nemici. Senza una riforma della Bce, che trasformi l’istituto in prestatore di ultima istanza, e una drastica rivisitazione del patto di stabilità dell’Unione, nel prossimo futuro è immaginabile un solo default: quello dell’euro.
E nelle condizioni date non è detto che quest’ultima sia l’evenienza più temibile per il futuro dei popoli europei.
[1] Per il 2014 la Bundesbank prevede una crescita dell’1,4%, contro una previsione dell’1,9%. Ma sarà proprio così?
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