Trenta artisti e intellettuali di fama internazionale hanno firmato un duro atto d'accusa, pubblicato su una intera pagine di The Times, contro il premier turco Recep Tayyip Erdogan di cui denunciano il ''regime dittatoriale'.
La lettera aperta a Erdogan, sottoscritta fra gli altri attore come David Lynch, Sean Penn, Vanessa Redgrave, Susan Sarandon, dalla scrittrice irlandese Edna O'Brien, dallo storico Andrew Mango, dal regista britannico di origini turche Fuad Kavur o dal musicista turco di fama mondiale Fazil Say (condannato tre mesi fa per ‘blasfemia’ da una corte di Istanbul), denuncia ''la brutale repressione da parte della polizia contro manifestanti pacifici''. Le direttive del premier turco, affermano i firmatari del manifesto, hanno ''portato alla morte di cinque giovani innocenti'', di cui Erdogan potrebbe dover rispondere davanti alla Corte europea dei diritti umani. Il j'accuse paragona anche i comizi oceanici tenuti da Erdogan a Istanbul e Ankara per rispondere alle manifestazioni dei movimenti popolari ai raduni della Germania hitleriana. ''Solo pochi giorni dopo avere sgomberato Piazza Taksim e Gezi Park con indicibile brutalità avete organizzato un raduno a Istanbul che ricordava quelli di Norimberga, con totale disprezzo verso i cinque morti il cui solo crimine era di opporsi alla vostra dittatura''.
I firmatari della lettera aperta rilevano anche che oggi ci sono in Turchia più giornalisti detenuti che in Iran e Cina insieme e condannano Erdogan per aver definito i giovani manifestanti ''vandali'', ''terroristi'' o ''hooligans'' e più recentemente “pietosi ratti”. ''In realtà sono solo ragazzi che vogliono che la Turchia rimanga una Repubblica Secolare come indicato dal suo fondatore Mustafa Kemal Ataturk'' scrivono i vip dimostrando forse una conoscenza superficiale del variegato movimento che si oppone al regime dell’Akp. Intanto l’organizzazione internazionale Reporters Senza Frontiere ha declassato la Turchia al 154mo posto nella sua classifica sul rispetto della libertà di stampa su un totale di 179 paesi censiti. Secondo il leader del partito di opposizione Chap, Kilicdaroglu, la Turchia "é tornata indietro di 105 anni" (in riferimento al periodo passato da quando ufficialmente è stata abolita la censura sui media) per la libertà di stampa.
Sulla questione della persecuzione dei giornalisti turchi e stranieri in Turchia è intervenuto con una nota anche il fotoreporter italiano Mattia Cacciatori, che i tribunali di Ankara vorrebbero processare. ''Il 6 luglio 2013 sono stato arrestato ad Istanbul dalla polizia turca durante una manifestazione per rioccupare Gezi Park. Stavo svolgendo il mio lavoro di fotografo e mi trovo oggi a dover affrontare i tribunali turchi perché accusato di aver impedito alle forze dell'ordine di compiere il proprio lavoro e di aver preso parte alla marcia non autorizzata'' scrive Cacciatori all’associazione Articolo21. ''Dopo due giorni di carcere - aggiunge - dunque devo subire ulteriori accuse. Compio una scelta politica chiara e decisa: non ho intenzione di rispondere ai tribunali turchi. Come non ho intenzione di presentarmi ai processi e non sto attivando avvocati in mia difesa. Ritengo che qui sia stata deturpata e sradicata la libertà di stampa e a tal proposito mi muoverò, in risposta alle accuse lanciatemi, solamente attraverso i mezzi di informazione. Che attacchino l'informazione, la parola e la stampa. La mia difesa si baserà solamente su esse. Deve essere un atto di forza preso da tutti noi 'messaggeri' per far comprendere al mondo, e alle dittature, che l'informazione, quale base sulla quale poggiano le democrazie, non può essere violata e tanto meno manipolata''. ''Articolo21 e la Fnsi - afferma il portavoce dell'associazione Giuseppe Giulietti - hanno subito accolto l'appello. Il segretario della Fnsi Franco Siddi ha preannunciato l'intenzione di assumere, nei limiti delle facoltà concesse dal diritto turco, la tutela politica e legale di Mattia Cacciatori''. ''Nei prossimi giorni - ha annunciato lo stesso Siddi - la Federazione Internazionale invierà nuovamente (come fa periodicamente per i processi di Istanbul per i giornalisti) una sua delegazione, non solo in relazione a questo caso, ma anche per non far mancare attenzione e solidarietà internazionale agli oltre trenta cronisti ancora detenuti nelle carceri turche''.
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