lunedì 1 luglio 2013

Milioni tanti, bonifiche zero

C'è una società pubblica, la Sogesid, incaricata di risanare i siti inquinati. Peccato che spenda montagne di euro (nostri) per produrre solo carte e piani faraonici mai realizzati. Con la solita greppia delle consulenze agli amici.

l'espresso di Francesca Sironi
L'Italia "promuove e impone la bonifica delle terre", è scritto nella Costituzione. Ma da Brescia, dove gli agricoltori si ritrovano la diossina nel sangue, a Siracusa, dove chi vive intorno al petrolchimico scopre nei figli malformazioni congenite, l'eredità dell'industrializzazione selvaggia non viene mai sanata. Persino la società creata dal ministero dell'Ambiente per trovare soluzioni rapide e concrete si è trasformata in un impero autonomo, che pare quasi sfuggito al controllo delle istituzioni centrali. Da sei anni la Sogesid, una Spa a capitale pubblico e gestione privata, va sulla sua strada. Accumulando progetti tanto costosi quanto irrealizzabili, consulenze milionarie e interventi della magistratura, secondo criteri che paiono lontanissimi dall'urgenza di bonificare i veleni d'Italia.
Il ruolo di Sogesid dovrebbe essere quello di braccio destro del governo, di ente tecnico che risolve problemi, velocizza procedure, inizia bonifiche in tempi ragionevoli superando gli ingorghi della burocrazia. Per questo il ministero le ha affidato la gestione degli appalti in alcuni dei luoghi più inquinati d'Italia: Taranto, Pianura, Brescia, Mantova, Siracusa, per citarne alcuni.

SPA IMMORTALE. Ma più che strumento per risparmiare tempo Sogesid sembra diventata una macchina divora quattrini: dal 2008 al 2011 ha incassato più di 400 milioni di euro di fondi pubblici, finiti in progetti faraonici che difficilmente vedranno la luce. Oppure in consulenze: 1.600 in quattro anni e mezzo. Costo? Oltre 35 milioni di euro, praticamente 648 mila euro al mese: un record nel panorama degli sprechi italici. «Ma tutto è stato fatto nel rispetto della normativa», ribattono da Sogesid.
Come abbia fatto a conquistare tanto spazio lo spiega Gianfranco Mascazzini, ex direttore generale del ministero, indagato in Campania per l'avvelenamento di Bagnoli, che dopo essere andato in pensione è diventato consulente eccellente di Sogesid. Parlando della società alla commissione parlamentare d'inchiesta sui rifiuti, afferma: «Io devo portare a casa i soldi, non cercare di fare un progettino per spendere cinque euro in meno e indire la gara con 64 ricorsi». Grazie a questo approccio, in pochi anni la Sogesid ha costruito una rete di appalti, consulenze e progetti così solida da permetterle di passare indenne sotto la scure di Monti: è stata pure esclusa dalla spending review perché - come puntualizzano dal suo vertice - «produce servizi di interesse generali per il perseguimento delle finalità istituzionali del ministero». Invece la scorsa estate lo stesso ministro dell'Ambiente Corrado Clini ha tentato di tutto per riuscire a chiuderla. Secondo Clini gli appalti gestiti da Sogesid «non hanno dato risultati». Non solo: le risorse affidate alla società sarebbero finite in «atti che non generano risultati per l'ecosistema ma producono migliaia di metri cubi di carta e distribuiscono milioni in consulenze». Un'offensiva inutile: il Parlamento uscente con voto bipartisan l'ha salvata.

A fare i conti con questa eredità è arrivato ora Andrea Orlando. Anche lui ha denunciato nel primo discorso le macerie da cui bisogna affrontare le emergenze ambientali. I dipendenti del ministero si sono ridotti a poco più di 500, da 928 che erano nel 2003, i tecnici sono un centinaio, e le risorse sono state decurtate del 72 per cento. Mentre il dicastero è stato smantellato, l'armata di Sogesid si è fatta sempre più possente: è passata da 40 a 126 dipendenti, ha 285 collaboratori a progetto oltre a 1.500 consulenti esterni, un quartier generale a Roma e 5 sedi regionali. «Siamo una società di ingegneria vera e propria», ha dichiarato il presidente Vincenzo Assenza: «Abbiamo un grado di assenteismo del 3 per cento, vale a dire metà delle imprese private. E agiamo con mezzi nostri, senza un euro di fido da parte delle banche». Nel 2012 le sono state affidate - spiegano - attività per un valore della produzione pari a 23,1 milioni, che caleranno di pochissimo quest'anno. Solo che invece di usare dinamicità e fondi per risolvere i guasti che lo Stato non riesce ad affrontare, Sogesid come una vera Spa persegue i suoi interessi.
GRANDE MURAGLIA. A Mantova c'è un problema: i laghi da cui è circondata la città sono minacciati dal petrolio, un'onda sotterranea di idrocarburi ereditata da vecchi impianti che dall'area industriale potrebbe arrivare fino alle mura dei Gonzaga. Come fermarla? La proposta di Sogesid è costruire un muro sotterraneo. Una barriera profonda 20 metri che circondi l'intero polo petrolchimico, grande dieci chilometri quadrati, venti volte il Vaticano. Su questa muraglia, ben piantata in profondità, tutta l'acqua della falda andrebbe a sbattere, tornerebbe indietro e verrebbe spedita in un depuratore a ripulirsi. Far elaborare da Sogesid questo piano è costato allo Stato un milione e 413 mila euro. Spesi per immaginare la "cinturazione totale", come viene chiamata in gergo, un'opera che potrebbe arrivare a costare 110 milioni l'anno solo di manutenzione. Ossia un miliardo in un decennio. Chi ce li ha tutti questi soldi? Nessuno. E infatti il progetto, presentato per la prima volta nel 2007, non è passato. A marzo, dopo continue richieste di modificare il piano, gli enti locali hanno dato il via libera a un piccolo stralcio, chiedendo alla società del ministero di "cinturare" solo le due aziende più inquinanti, con una spesa di 16 milioni. «La scelta degli amministratori locali va nella direzione giusta», commenta Paolo Rabbitti, consulente tecnico delle procure nei più importanti casi di inquinamento: «L'idea di recintare tutta l'area industriale non aveva senso: la contaminazione è pesante ma concentrata in alcuni punti, individuati da tempo. E' su quelli che bisogna intervenire». Peccato che per arrivare a questa conclusione ci siano voluti 5 anni e milioni spesi in analisi, studi e proposte. E ora la palla è di nuovo nelle mani di Sogesid, perché i tecnici della regione Lombardia si sono accorti che i costi previsti nel progetto erano più alti del 30 per cento rispetto a quanto richiesto dalle aziende lombarde per gli stessi lavori.

EMERGENZA CERCASI. Il modello della "cinturazione totale" di Sogesid non è una novità. Era stato proposto, identico ma in scala inferiore, nel mezzo dell'emergenza ambientale della laguna di Grado e Marano, in provincia di Udine, anche se qui la parola "emergenza" è da usare con cautela. La gestione dell'inquinamento nella palude friulana infatti è al centro di un'indagine della procura, secondo la quale, dal 2002 a oggi, commissari, politici e aziende avrebbero divorato decine di milioni per risolvere una sciagura inesistente: una catastrofe inventata a tavolino, almeno nella sua estensione. Nella laguna il problema c'è davvero. Ed è la presenza di mercurio intorno a un canale che dall'azienda chimica Caffaro di Torviscosa porta al mare. Ma quando nel 2002 il governo Berlusconi decise di rendere la palude un "Sin", un Sito d'interesse nazionale da sanare urgentemente, l'area contaminata venne estesa a tutta la laguna. Anche a zone in cui, secondo i pm, di mercurio velenoso non c'è traccia. Nessuno si premurò di verificare che l'inquinamento fosse davvero tanto diffuso e per anni i commissari hanno gestito budget milionari.

Dopo un decennio di emergenza e nessuna bonifica, è intervenuta la procura e l'area del "Sin" è stata ridotta alla sola zona intorno alla Caffaro. Ma la soluzione per il vero inquinamento ancora non c'è. O meglio è bloccata al Tar. La Sogesid infatti, dopo costosi studi, ha proposto la stessa barriera interrata presentata a Mantova, un muro per bloccare le infiltrazioni di mercurio intorno all'azienda. Cinturare il piccolo stabilimento chimico secondo il disegno della Spa costerebbe 230 mila euro, una spesa che la Caffaro dovrebbe rimborsare, secondo il principio per cui "chi inquina paga". Il problema è che la Caffaro ha già vinto in passato due ricorsi contro lo stesso progetto. A imporlo allora non era Sogesid, ma il ministero dell'Ambiente, quando dirigente era Gianfranco Mascazzini. Il suo piano è stato bocciato dal Consiglio di Stato perché violerebbe «i principi di proporzionalità e sostenibilità dei costi», ma Mascazzini l'ha fatto riproporre da Sogesid e ora è per la terza volta al Tar. A ingolfare i tribunali mentre i veleni continuano a scorrere.
Anche a Siracusa è in campo la solita proposta: una lunghissima barriera sottomarina al largo delle industrie. Un pezzo di costa da barricare, per cifre esorbitanti. Il piano di Sogesid è ancora in discussione, dopo che un deputato regionale del Pd ha sollevato la questione del gigantismo dell'opera. Inclusa in un altrettanto faraonico programma che attribuisce a Sogesid oltre 700 milioni fra appalti e lavori da gestire. «Per la corretta individuazione degli obiettivi di bonifica occorrerebbe definire quali funzioni si intendono preservare», si difende la Spa: «Al momento non esistono indicazioni chiare e si tende a individuare soluzioni che a volte possono risultare eccessive rispetto all'utilizzo futuro dell'area interessata». Date ai tecnici degli obiettivi insomma. Altrimenti continueranno a immaginare grandi muraglie. Mentre le bonifiche, quelle vere, quelle che servono alla salute della gente, saranno sempre più lontane.

Nessun commento:

Posta un commento