Chi sa se in queste ore il supermanager e amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, continua a pensare che la scelta migliore sia quella di spostare la produzione in aree del mondo dove il costo del lavoro è più basso?
Il direttore del personale di una fabbrica del gruppo indiano Maruti (la cui maggioranza azionaria è di proprietà della giapponese Suzuki) è stato bruciato vivo e decine di altre persone sono rimaste ferite nel corso dei violenti scontri scoppiati tra gli operai e i responsabili dell'azienda. Il corpo carbonizzato del responsabile, Avnish Kumar Dev, è stato identificato dopo il suo ritrovamento nella sala conferenze della fabbrica a Manesar, località a 50 chilometri dalla capitale Nuova Delhi, dopo gli scontri avvenuti ieri.
Secondo l’azienda i disordini sono scoppiati ieri mattina, quando un dipendente ha colpito con violenza un caporeparto. Ma secondo i sindacati è il caporeparto che ha maltrattato l'operaio scatenando la reazione dei suoi compagni che poi si è trasformata in una vera e propria sommossa violenta. La Maruti ha riferito che i dipendenti armati di spranghe hanno poi colpito dei responsabili «alla testa, alle gambe e alla schiena, provocando emorragie e svenimenti».
«La produzione è totalmente sospesa», ha dichiarato un responsabile, precisando di non sapere quando la filiale, dalla quale escono 55mila veicoli ogni anno, riaprirà i battenti. Intanto il titolo del gruppo è precipitato a fine giornata di circa il 9% alla Borsa di Bombay, con gli investitori preoccupati per una possibile chiusura prolungata dello stabilimento.
Maruti Suzuki è il marchio indiano da tempo in fase di avvicinamento al gruppo Fiat. Lo scorso novembre era stato raggiunto un importante accordo per la fornitura di 100mila motori all'anno per tre anni da parte del Lingotto. Fiat India, la joint venture tra Fiat Spa e Tata Motors, è in grado di assemblare fino a 300 mila propulsori a gasolio l'anno nello stabilimento di Ranjangaon, vicino Pune. I sindacati indiani adottano forme di lotta assai più estreme di quelli italiani, è evidente.
Chi sa se in queste ore il supermanager e amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, continua a pensare che la scelta migliore sia quella di spostare la produzione in aree del mondo dove il costo del lavoro è più basso?
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