lunedì 30 luglio 2012

Dosi: euro folle, Italia e Spagna respingano il maxi-debito


Spread sopra i 500 punti e curva dei tassi d’interesse che ricomincia ad appiattirsi: i rendimenti dei titoli di Stato a breve durata si avvicinano a quelli a scadenza più lunga, sintomo di alta incertezza sulle prospettive del paese anche nel breve termine. Dopo otto mesi di “cura Monti”, 80 miliardi di manovre solo nel 2011, siamo tornati quasi al punto di partenza: i “mercati” dubitano seriamente della tenuta dell’Italia e della sua capacità di ripagare i prestiti. Secondo l’economista Giovanni Dosi, docente della Scuola Superiore universitaria Sant’Anna di Pisa e collaboratore del premio Nobel Joseph Stiglitz alla Columbia University, il problema è proprio la “terapia” del rigore: dire che l’austerity è condizione necessaria, anche se non sufficiente, per uscire dalla crisi, «a mio parere è assolutamente sbagliato». Come liberarsi dal ricatto del debito? In un solo modo. Italia e Spagna dovrebbero imporsi sulla Germania, “costringendo” la Bce a comportarsi da prestatore di ultima istanza.
Intervistato da Mauro Del Corno per il “Fatto Quotidiano”, il professor Dosi punta il dito contro la struttura e la tenuta dell’unione monetaria europea: Giovanni Dosi«Il sistema sul quale si regge l’euro è delirante», dice l’economista. «C’è una banca centrale legata che è di fatto una “non-banca centrale”, depotenziata fin dalla sua nascita». Bel problema, perché «la Bce dovrebbe invece avere tutti i poteri tipici di una banca centrale, compreso quelli di essere garante di ultima istanza e, se decide di farlo, di comprare debito pubblico». In altre parole, Francoforte dovrebbe poter dire: “Se i titoli di Stato non li vuole nessuno, li compro io”. «Se la Bce avesse gli stessi poteri della Fed statunitense non assisteremmo a tutta questa speculazione». Tutto questo, aggravato dall’atteggiamento ultra-rigido della Germania, che dimostra «una mistura di stupidità e interessi».

«Non riesco a capire quale possa essere la razionalità della politica tedesca in questo momento», insiete Dosi: «Quasi il 60% delle esportazioni della Germania è diretto nei paesi europei. Pensano forse di compensare il venir meno della domanda di questi paesi con l’aumento delle vendite in Cina e Brasile? Mi pare una visione estremamente miope. Tra l’altro – aggiunge l’economista – nessuno ha raccontato ai tedeschi che molte delle misure adottate sinora non servivano per salvare i “fannulloni” greci o spagnoli ma per salvare i sistemi bancari tedesco e francese», che detenevano molti titoli di quei paesi. «Molti dei finanziamenti alla Grecia non sono mai arrivati ad Atene: hanno semplicemente fatto un giro, da Francoforte a Francoforte». E la situazione spagnola? Qui è lecito porsi una domanda: «È giusto salvare le banche?» Non il sistema bancario, ma i singoli istituti che avevano in pancia Mario Draghigrandi quantità di titoli tossici. «Forse andavano lasciati morire, nazionalizzando la parte buona, ossia i depositi e i prestiti, e lasciando con il cerino in mano gli azionisti».
Una possibilità che Dosi contempla anche per l’Italia. Ristrutturare il nostrodebito pubblico, allungando le scadenze dei titoli di Stato e tagliando gli interessi pagati? L’obiezione, ragiona Del Corno, è che a quel punto nessuno presterebbe più soldi all’Italia, quando si presentasse nuovamente sui mercati: è vero che il paese è in avanzo primario, ossia ha entrate che superano le spese (se si toglie la quota di interessi maturati sul debito storico), ma questo avanzo, in caso di ristrutturazione, sarebbe sufficiente a salvaguardare i piccoli risparmiatori? Assolutamente sì, risponde Dosi: «Tenga presente che dalla Rivoluzione industriale in poi tutti i paesi, esclusa l’Inghilterra, hanno fatto default almeno una volta. Non mi preoccupa il fatto di perdere temporaneamente l’accesso ai mercati. Mi preoccupa invece l’eventualità che possa verificarsi una sorta di massiccia manovra politicainternazionale di ritorsione verso l’Italia in cui si dice “per punire lo Stato colpiamo anche le imprese e dunque non prestiamo più soldi alle aziende italiane che si presentano sui mercati”».
Ristrutturare il debito comporterebbe l’uscita dall’euro? Niente affatto: secondo Dosi, è possibile rimodulare il problema-debito senza abbandonare l’Eurozona. Ma il pronlema è un altro: a colpi di “rigore”, di fronte all’ipotesi di ristrutturazione del debito «ci potremmo arrivare comunque ma dissanguati, esattamente come sta accadendo in Grecia». Quantomeno, dovremmo parlarne apertamente, «visto che il nostro debito con questo servizio di interessi è oggettivamente insostenibile». La logica con cui sta operando il governo Monti, dice Dosi, è invece quella di dire: “Se tu fai tanti sacrifici, prima o poi i mercati se ne accorgeranno e smetteranno di speculare contro di te”. Errore: «Ci si dimentica che i sacrifici hanno sempre effetti pesanti sul reddito e dunque peggiorano il denominatore del rapporto tra deficit e Pil». La ristrutturazione del debito, comunque, è una sorta diWolfgang Schäuble“piano B” non certo indolore: «Andrebbe studiato molto bene tecnicamente ed attuato rapidamente a mercati chiusi. Con uno spread un po’ più contenuto forse sarebbe sufficiente un sensibile allungamento delle scadenze».
In caso di ristrutturazione del debito bisognerebbe però poi intervenire sul sistema bancario, visto che gli istituti di credito possiedono ingenti quantità di titoli di Stato. «Le banche andrebbero temporaneamente nazionalizzate – sostiene il professor Dosi – per poi essere di nuovo privatizzate in un secondo momento». Nell’immediato, secondo l’economista, sarebbe fondamentale mantenere il sistema operativo, garantendo i depositi e la possibilità di fare prestiti. «Una soluzione di questo tipo del resto è stata adottata in Svezia all’inizio degli anni ‘90 ed è stata applicata anche nel nostro paese con il Banco Ambrosiano, che fu temporaneamente pubblicizzato scaricando le perdite sugli azionisti». Altre vie d’uscita? «Si può sempre sperare che i tedeschi “vedano la luce” e permettano alla Bce di agire come una vera banca centrale». Tuttavia Giovanni Dosi si dichiara pessimista: «La sola possibilità che vedo perché la Bce diventi una vera banca centrale è che Spagna e Italia minaccino in modo serio e credibile un reprofiling dei loro debiti».

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